Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

intercettazionidi Antonio Ingroia - 2 aprile 2015
Com’era ampiamente prevedibile, direi quasi scontato, all’ennesimo scandalo mazzette è seguita l’ennesima feroce polemica sulle intercettazioni.
O meglio, contro le intercettazioni. E’ un copione ormai vecchio, perché da anni ogni volta che la politica entra nelle inchieste – e ci entra purtroppo con sempre più disarmante puntualità – in Parlamento e al governo si avverte l’irrefrenabile esigenza di intervenire per legare le mani ai magistrati o quantomeno per mettere il bavaglio alla stampa affinché il Paese non sappia. Come a dire che il problema non è il malaffare, non sono comportamenti assolutamente incompatibili con cariche e responsabilità pubbliche, il problema è lo strumento che permette di smascherare l’uno e gli altri.
C’è una vera e propria campagna di disinformazione che viene da lontano e che ha come obiettivo quello di far credere ai cittadini che le intercettazioni non siano una risorsa ma un pericolo. Un ribaltamento delle verità che, a onor del vero, non sorprende nemmeno, vista la classe politica che abbiamo, in cui c’è chi non solo rivendica il diritto di rubare al riparo da ogni controllo ma pretende per legge anche l’impunità e il silenzio. E’ storia vecchia ma tremendamente attuale. Fatto sta che negli ultimi anni l’intervento sulle intercettazioni è tema sempre ricorrente. Dopo il primo indegno assalto di Berlusconi e Alfano, dopo il successivo tentativo del governo Monti, ora a volerci mettere mano è Renzi. Che ha annunciato una riforma entro il 2015 senza fornire però dettagli o anticipare linee di indirizzo. Ma il solo fatto che voglia farla con Alfano autorizza legittime preoccupazioni, basta ricordare l’inqualificabile legge che l’allora ministro della Giustizia preparò per Berlusconi.
In attesa di saperne di più, vale la pena ribadire l’importanza delle intercettazioni sia sul piano delle indagini che su quello della libertà d’informazione e del diritto dei cittadini a essere informati.

Che le intercettazioni, ambientali e telefoniche, siano uno strumento di indagine importantissimo, direi fondamentale, è innegabile. Lo dimostrano i risultati che magistratura e forze dell’ordine hanno ottenuto grazie ad esse nella lotta alla criminalità organizzata e all’illegalità. Penso al Maxiprocesso, alle indagini sulle stragi palermitane del ‘92, alla prima Tangentopoli, a tutte le inchieste che negli ultimi hanno permesso di scoprire corruzione e malaffare: senza le intercettazioni non sarebbe probabilmente stato possibile raccogliere le prove e la maggior parte di quelle inchieste non sarebbe andata in porto. Ma è il caso di ricordare anche che le intercettazioni hanno evitato attentati, hanno consentito di sequestrare capitali illeciti, grandi quantità di armi, montagne di stupefacenti, hanno permesso di svelare l’intreccio tra mafie e colletti bianchi. Dunque, mi auguro davvero che il governo non abbia nessuna intenzione di limitarne l’uso, usando magari la solita parola magica ‘garantismo’ per imporre una stretta ai magistrati. Sarebbe un passo indietro gravissimo, ingiustificabile, imperdonabile.
E veniamo all’altra obiezione che viene sistematicamente sollevata quando si parla di intercettazioni: la loro pubblicazione lede spesso il diritto alla privacy. Premesso che l’obiezione viene sollevata solo quando l’intercettato è il potente di turno, vedi da ultimo l’ex ministro Lupi, c’è un punto da cui non si può assolutamente prescindere nell’affrontare la questione ed è il diritto dei cittadini ad essere informati che deriva dall’articolo 21 della Costituzione. La privacy è sacra, ma qualunque legge che miri a imporre limitazioni alla libertà di stampa, al diritto-dovere a un’informazione onesta e completa su come vengono amministrati i pubblici poteri, ma anche su come è amministrata la giustizia, è incostituzionale. Si vuole fare una riforma? La si faccia pure, ma che non sia la riproposizione del solito trucco, in cui la tutela della riservatezza è solo una scusa per nascondere l’obiettivo vero, quello di impedire da un lato agli organi di informazione di raccontare ciò che accade attraverso la libera valutazione delle notizie e dall’altro alla pubblica opinione di sapere, di conoscere, così da poter valutare e giudicare. L’unico aspetto su cui si dovrebbe intervenire è quello relativo alla gestione delle intercettazioni non rilevanti nel procedimento penale e senza alcuna utilità per l’interesse pubblico: si tratta evidentemente di intercettazioni del tutto irrilevanti ed è dunque giusto e doveroso sottoporle ad un più rigoroso regime di segretezza. Attenzione, però, perché possono esserci intercettazioni che di per sé non sono notizie di reato ma ciò nondimeno possono essere rilevanti, in quanto consentono una più approfondita conoscenza dei fatti e del contesto in cui essi si svolgono o servono per meglio capire una vicenda penale. Nello stesso modo, anche l’intercettazione della conversazione di un non indagato può avere rilevanza nell’indagine, anche se non coinvolge persona formalmente indagata. Si consideri il caso Lupi: l’ex ministro non era indagato, ma quella circostanza dimostrava le capacità relazionali di un altro indagato e le sue potenzialità e modalità di influenzare i pubblici poteri.
A chi dovrebbe spettare la valutazione di ciò che è rilevante e ciò che non lo è in alcun modo? Al magistrato, sentite le parti. E’ tutto ciò che non viene ritenuto idoneo deve essere distrutto o inserito in un registro riservato. Niente spazio al gossip vero e proprio, dunque, come del resto già prevedono le regole deontologiche dei giornalisti. Ma pure niente bavaglio della politica all’informazione, perché in ogni Paese libero e democratico l’informazione svolge proprio il ruolo fondamentale di controllore del potere politico. Non si può invocare il diritto alla privacy di pochi per violare il diritto alla conoscenza di tutti: è una questione di libertà, è un principio di democrazia.
Antonio Ingroia (www.lultimaribattuta.it)

Tratto da: azione-civile.net

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos