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democrazia-italiadi Antonio Ingroia - 18 febbraio 2015
Per un anno, da quando cioè si è insediato a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha battuto ossessivamente sul tasto delle ‘riforme largamente condivise’, giustificando in questo modo persino l’indecenza del patto del Nazareno, l’accordo con il pregiudicato e decaduto Silvio Berlusconi per scardinare la Costituzione, scrivere una legge elettorale vergognosa come l’Italicum e chissà cos’altro ancora. In quest’anno, così, è stato sufficiente che Berlusconi, condannato da un tribunale ma eletto al rango di costituente dal premier, desse il suo assenso perché il Parlamento fosse chiamato, o meglio costretto, a ratificare di volta in volta quello che il governo, cioè Renzi, aveva deciso.
Il risultato è stata la corsa verso quella svolta autoritaria opportunamente denunciata da molti costituzionalisti, giuristi e intellettuali – poi definiti in modo sprezzante professoroni dal ministro Boschi – giustamente allarmati dai rischi legati al combinato tra Italicum e riforme costituzionali. Ora però che il patto del Nazareno è entrato in crisi, ora che Forza Italia ha tolto l’appoggio esterno schierandosi con le altre opposizioni, il premier ha improvvisamente cambiato idea. Adesso le riforme si fanno e basta, altrimenti – minaccia Renzi – si va tutti a casa, come se il potere di sciogliere le Camere spettasse a lui e non fosse invece prerogativa esclusiva del Capo dello Stato.

Adesso le riforme si fanno senza discutere, anche se non sono per niente condivise. Si fanno a colpi di maggioranza, una maggioranza che è tale per il premio ottenuto grazie all’alleanza con Sel e per la transumanza di qualche parlamentare. Si fanno di notte, la notte buia della nostra democrazia, dopo risse da stadio e in una Camera mezza vuota presidiata ‘militarmente’ dallo stesso presidente del Consiglio. Così la scorsa settimana è bastata meno della metà dei deputati, tutti tra l’altro nominati ed eletti con una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta, per riscrivere in fretta quaranta articoli della Costituzione.
Un fatto inammissibile, andato oltre persino analoghi fallimentari tentativi del passato: si modificano gli architrave istituzionali, la Carta di tutti nata dalla Resistenza grazie al lungo e complesso lavoro dei costituenti, con una maggioranza inferiore ai 315, che non dovrebbe essere tollerata nemmeno per leggi ordinarie. Una prova di forza grave, rivendicata da Renzi con il patetico e puerile “abbraccio a gufi e sorci verdi”, salutata con la consueta arroganza di chi si sente padrone del Parlamento, spacciata come una grande vittoria mentre è solo una pesante sconfitta per la nostra democrazia.
Non a caso Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale, uomo di diritto e non certo di partito, ha parlato di “degrado”, di “quasi punto zero della democrazia”, di riforme che invece di provare ad “aprire nuovi spazi di democrazia, cosa di cui ci sarebbe estremo bisogno, mirano a produrre un’ulteriore chiusura degli spazi di democrazia”. Parole che sottoscrivo e che rendono bene l’idea del rischio cui il Paese sta andando incontro. Si sta infatti forzando la mano per costruire, attraverso la combinazione tra Italicum e riforma del Senato, un sistema in cui chi vince le elezioni si prende tutto – Parlamento, governo, Quirinale e, a cascata, maggioranza della Corte Costituzionale, Csm ecc – con buona pace del sistema di pesi e contrappesi giustamente voluto dai costituenti. Una forzatura a cui spero vorrà nel caso opporsi il presidente Mattarella, ricordando le sue parole, il giorno del giuramento: “Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico”. Non, dunque, il contrario.
In questo contesto colpisce il sostanziale e non casuale disinteresse della maggioranza del Paese, quella che ormai ha smesso di andare a votare. Perché gli italiani ormai non credono più nei partiti, sono sempre più lontani dalla politica, non si fidano di quelli che dovrebbero essere i loro rappresentanti, sempre attenti più alla loro poltrona che non agli interessi di coloro che dovrebbero rappresentare, sempre pronti a saltare giù dal carro con cui sono stati eletti per salire su quello del vincitore. Se fossi un elettore di Forza Italia vorrei sapere come mai ora il partito sta all’opposizione, insieme a Sel e Lega, mentre fino a un mese fa votava con Pd e Ncd, come mai Berlusconi definisce adesso “deriva autoritaria” una riforma che ha scritto assieme a Renzi. Se fossi un elettore del Pd mi chiederei se queste sono le riforme che volevo il mio partito facesse quando l’ho votato nel 2013, in base a un programma che adesso è diventato carta straccia. Ma non sono né un elettore di Forza Italia né del Pd. Sono e mi sento invece un partigiano della Costituzione e fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla, so bene da che parte stare.
Antonio Ingroia (www.lultimaribattuta.it)

Tratto da: azione-civile.net

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