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renfanodi Antonio Ingroia - 19 novembre 2014
Nonostante le grandi promesse, nonostante gli 80 euro e il bonus bebè, nonostante l’onnipresenza in tv e l’accondiscendenza di un’informazione troppo spesso ossequiosa, nonostante il 40,8% delle Europee, Matteo Renzi e il renzismo si sono ormai rivelati per quello che realmente sono, ossia un grande bluff servito con tweet, slide, demagogia, opportunismo, arroganza e qualche battuta nemmeno divertente. Se ne sta accorgendo anche chi all’inizio ha ceduto al richiamo della rottamazione, salvo ricredersi alla prova dei fatti, come raccontano il crollo nella fiducia del premier e l’arretramento del Pd nei sondaggi, ma soprattutto come dimostra il crescente disagio sociale che porta sempre più gente in piazza, che alimenta con sempre più forza il grido della protesta.

C’è un’Italia che è ogni giorno più stanca, arrabbiata, delusa, sfiduciata. E’ l’Italia messa in ginocchio dalla crisi, condannata al declino dall’ottusità dell’Europa e dei governi che ad essa si sono piegati, l’Italia che manifesta per il lavoro e per i diritti finiti sotto attacco come mai prima, l’Italia travolta dalla pioggia e dalle frane, l’Italia che rifiuta le larghe intese e il patto del Nazareno, l’Italia che si oppone alle mafie, l’Italia che reclama verità e giustizia sui misteri di Stato, l’Italia che si riconosce nella Costituzione e non vuole sia manomessa con un colpo di mano. E’ un’Italia che non si fida più di una classe politica fallimentare, per lo più incapace, sovente corrotta. E la corruzione della classe politica non è frutto semplicemente di una corruzione di tipo etico, ma è dentro un sistema in cui l’economia in affanno è spesso costretta a mettersi nelle braccia delle economie criminali diventando così sistemica, soprattutto da quando assistiamo alla crisi del capitalismo finanziario. Un’intera classe dirigente non ha altra scelta per salvarsi.

Il patto del Nazareno è dentro questa logica: Renzi sa chi è Berlusconi, sa che Berlusconi è l’uomo di Vittorio Mangano e di Marcello Dell’Utri e sa, come rappresentante di quel capitalismo finanziario, che quel capitalismo finanziario deve scendere a patti con il capitalismo criminale del nostro Paese. Questo dà la dimensione della sfida che ci attende, una sfida in cui abbiamo non solo un capitalismo criminale ma anche uno Stato criminale. E’ lo Stato criminale che ha ucciso Stefano Cucchi e che non sa processare gli assassini di Stefano Cucchi, lo Stato criminale che ha trattato con la mafia e che ancora oggi difende la ragion di Stato sulla trattativa lasciando soli i magistrati di Palermo come Nino Di Matteo, lo Stato criminale che a colpi di condoni ha legalizzato l’abusivismo devastando il territorio, lo Stato criminale che manda poliziotti a picchiare disoccupati, lavoratori e studenti per reprimere con violenza brutale ogni forma di opposizione sociale e politica. Non è uno Stato autoritario, è molto peggio: è uno Stato criminale perché manovrato da una classe dirigente criminale.

A questo Stato criminale c’è la possibilità e c’è il dovere di opporsi. Lo si può fare rivolgendosi ai giovani, ai lavoratori, ai disoccupati, alle donne discriminate, ai migranti, a quel popolo che ha voglia di opposizione, che vuole un’Italia diversa dentro un’Europa diversa. Questa deve essere la nostra bussola. Bisogna offrire una proposta di cambiamento vero a quella fetta sempre più grande del Paese che dopo aver dovuto subire i disastri di Berlusconi e di Monti, l’immobilismo di Letta e, adesso, l’imbroglio di Renzi, non ha più fiducia nella politica e soprattutto nei partiti. Una proposta di cambiamento basata sulla solidarietà sociale e sul principio che chi più ha più deve dare, al centro del quale ci siano le persone, le famiglie, il mondo del lavoro e non i poteri forti, l’alta finanza, le lobby economiche, la casta politica. Una proposta di cambiamento che miri dichiaratamente a rompere la spirale depressiva generata dal rigore esasperato, che ha arricchito le banche e il capitalismo finanziario e ha affamato il ceto povero e il ceto medio. Una proposta di cambiamento in grado di recuperare alla partecipazione e all’impegno quell’elettorato che si è sempre riconosciuto nella sinistra italiana e, in particolare, nel suo principale contenitore – ossia il Pci, poi Pds, quindi Ds e infine Pd – ma che oggi fa fatica a riconoscersi in un partito che di democratico sembra avere solo il nome. Perché Renzi è l’ultimo esecutore della volontà di una classe politica criminale che ha stravolto la fisionomia e la natura del Pd, tradendo le origini e le tradizioni politico-culturali del partito fondato da Antonio Gramsci e che fu di uomini come Enrico Berlinguer e Pio La Torre. Perché Renzi si è rilevato assolutamente funzionale al sistema che ha creato la crisi, dimostrando di essere un sintomo della malattia e non certo la possibile cura. La voglia di andare oltre il renzismo e di rompere lo schema che tiene il Paese in ostaggio c’è, ma è ancora troppo frammentata. Si tratta di raccoglierla e di compattarla, come sono riusciti a fare Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. Paradossalmente proprio grazie a Renzi si è creato, nel panorama politico italiano, un vuoto enorme. A sinistra del Pd c’è una prateria, uno spazio che può essere riempito, ma bisogna fare in fretta, perché è in corso un processo di desertificazione di questo spazio e il rischio è che la prateria si trasformi presto in deserto e che la facciano poi da padroni i predoni del deserto ossia movimenti xenofobi e fascisti. E’ perciò arrivato il momento di dare vita a una nuova soggettività politica alternativa a questo sistema e a questo Pd. Partiamo dall’opposizione sociale e democratica, dalla protesta di chi, e sono tanti, nelle ultime settimane è sceso in piazza a manifestare contro il governo e contro l’Europa della Troika e le sue politiche suicide. Partiamo da qui per costruire un soggetto politico democratico, popolare, aperto, non identitario, che enfatizzi ciò che unisce e non ciò che divide. E’ arrivato il momento di avviare un processo costituente partecipato, inclusivo, per intercettare la grande voglia di cambiamento che c’è nell’area progressista e tradurla in una proposta nuova, popolare, che sappia rappresentare chi non si riconosce più nel Pd così come lo ha trasformato Renzi. Si può cambiare e si deve cambiare. La sfida è ambiziosa ma io ci credo: un’altra Italia e un’altra Europa sono possibili.

Antonio Ingroia (www.lultimaribattuta.it)

Tratto da: azione-civile.net

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