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manca-attilio-web3Antonio Ingroia ha rilasciato un’intervista a Norma Ferrara, di Libera Informazione, il sito di news dell’associazione Libera di don Ciotti sugli ultimi sviluppi del caso Manca
“Non è una morte per overdose, né un suicidio. Quello di Attilio Manca è stato un delitto di mafia. Dalla mia esperienza di pm pare evidente. Gli unici a non vederlo sono i magistrati di Viterbo”.  A pochi giorni dall’esclusione dei familiari come parte civile nel processo per la morte del medico Attilio Manca, l’avvocato Antonio Ingroia non le manda a dire ai colleghi della procura laziale. E annuncia il deposito di una istanza per un procedimento penale  presso la Direzione distrettuale antimafia di Roma “che può indagare su un delitto di mafia” – spiega. L’ex pm di Palermo, nell’intervista rilasciata a Libera Informazione – punta il dito su “incongruenze, falsificazioni, depistaggi e mancanze” che hanno portato a quello che chiama un “processo-farsa” che lo stesso pubblico ministero vuole “chiudere il prima possibile”.  Alla sbarra, per il decesso del medico siciliano avvenuto a Viterbo nella notte fra l’11 e il 12 febbraio del 2004 c’è un’unica imputata, Monica Mileti, accusata di aver ceduto la dose che avrebbe portato all’overdose mortale di eroina, alcol e farmaci. Da anni, i familiari chiedono di indagare sulla pista mafiosa che collegherebbe, invece, la morte del medico siciliano alla latitanza del boss Provenzano.

Dottor Ingroia, si è aperto a Viterbo il processo per la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) ma i familiari non sono stati ammessi come parte civile. Perché?
Tutta la vicenda investigativa legata alla morte del medico Manca parte in maniera paradossale e termina in maniera altrettanto paradossale. Continui depistaggi falsificazioni, incongruenze e mancanze caratterizzano l’indagine. A Viterbo hanno dato il via ad un “processo – farsa”, una messinscena giudiziaria. Che questo processo sia fittizio è un fatto rivelato anche dall’atteggiamento del pubblico ministero che cerca di chiudere questo procedimento il prima possibile. Ha iniziato chiedendo di far riconoscere la prescrizione del reato stesso per cui si processa: cosa senza precedenti per un pubblico ministero. E, durante il dibattimento, quando questa richiesta è stata rigettata, ha chiesto  l’estromissione  della parte civile rappresentata da me e dal collega Fabio Repici per conto dei familiari Manca.

Una richiesta avanzata dal pm e ottenuta.
Ottenuta con un procedimento che io giudico inaudito, poiché il giudice di Viterbo, seguendo la posizione della procura, è giunta ad affermare un principio paradossale cioè che i familiari delle vittime di uno spacciatore non sarebbero parte lesa, dunque danneggiata, dal cedimento di quella dose che ha portato alla morte. Ci sono tanti processi che vanno in direzione contraria a questa scelta e riconoscono il danno, sia alla vittima che ai familiari. Su tutto questo grava anche una lacuna nel sistema processuale: non possiamo impugnare questo provvedimento con cui la parte civile viene estromessa. Il risultato, complessivamente, è che non potremo dare il nostro contributo al processo.

I familiari, da anni, chiedono che si indaghi sul reato di omicidio e sostengono che questo sia collegato alla pista mafiosa che porta alla latitanza del boss Bernardo Provenzano. Quali sono gli elementi a sostegno di questa ipotesi?
Numerosi elementi  portano all’ipotesi del delitto di mafia: alcuni legati alle risultanze investigative, altri al contesto mafioso della latitanza di Provenzano. Abbiamo, sin dall’inizio, una morte che doveva apparire sospetta e che invece gli inquirenti  ritengono una morte accidentale da overdose. Attilio Manca è un medico mancino e quando muore l’iniezione è stata fatta proprio sul braccio sinistro. E’ impensabile che un medico mancino  usi la mano sbagliata per farsi una iniezione. Ancora: non è stata fatta alcuna verifica effettiva sui segni rivenuti sul corpo (le foto del corpo di Attilio sono state pubblicate pochi mesi fa da Servizio Pubblico, ndr). La procura di Viterbo davanti a questi e altri elementi è rimasta cieca e sorda. Ci sono poi numerose incongruenze che abbiamo scoperto nel tempo. Fra le altre, una anomalia sui fogli-presenza in ospedale. Attilio risulta essere stato assente nei giorni in cui, secondo i familiari, si sarebbe trovato a Marsiglia per operare il boss latitante Bernardo Provenzano alla prostata. In un primo momento il dirigente della mobile, invece, aveva scritto che si era accertato la regolare presenza di  Manca in ospedale in quei giorni.

Lei a Palermo ha seguito da magistrato diversi filoni d’indagine che incrociano la latitanza di Provenzano: ritiene credibile questa pista?
Abbiamo elementi a sostegno di questa pista. Fra gli altri: sappiamo di un medico siciliano che avrebbe curato e visitato Provenzano in latitanza.  Sappiamo di collegamenti di Provenzano con la città di  origine di Attilio Manca, Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Abbiamo elementi che evidenziano incongruenze sulle impronte lasciate in casa del medico siciliano dal cugino, Ugo Manca (la posizione di Ugo Manca è stata in seguito archiviata, ndr). Abbiamo un contesto piuttosto ampio e accertato che riguarda la latitanza del boss cortonese. E infine, non ultima, una domanda: per quale motivo qualcuno ha dissimulato questo omicidio? La risposta è che le indagini per omicidio avrebbero scavato inevitabilmente sugli ultimi movimenti di Attilio Manca nei giorni precedenti alla morte. E in quel caso sarebbero emerse tutte queste coincidenze che portano a Provenzano e che rientrano nel più ampio contesto investigativo delle indagini sulla “Trattativa Stato – mafia”. Provenzano, secondo la ricostruzione della procura di Palermo, sarebbe stato il garante del patto Stato-mafia e della pax mafiosa. Intorno a lui una rete, di complicità e di coperture  ha garantito la latitanza. In questo contesto, il delitto di Attilio Manca, se svelato avrebbe portato alla luce  alcuni “tasselli” di questa rete, e fatto emergere anzitempo elementi importanti sulla “Trattativa”. Ecco perché io ritengo che il delitto Manca sia un delitto di mafia. Ma non solo mafia.

Recentemente anche il boss dei casalesi, Giuseppe Setola, avrebbe  parlato del delitto Manca. Quale attendibilità avrebbero queste dichiarazioni?
Sappiamo solo indiscrezioni in merito. Le dichiarazioni sono al vaglio della procura di Napoli, con cui il boss ha iniziato una collaborazione. E di quella di Roma alla quale è sono state trasmesse per competenza. Il boss della camorra dice di aver saputo da ambienti criminali che Attilio Manca sarebbe stato ucciso dalla mafia, nell’ambito della latitanza di Provenzano. Esattamente la nostra ricostruzione dei fatti, da anni.

A partire da queste ultime dichiarazioni la procura di Roma ha aperto un’indagine?
No. Sappiamo che ha aperto un “fascicolo di generiche indagini preliminari” per verificare intanto l’attendibilità di queste dichiarazioni. Noi riteniamo che si debba fare di più ed è per questo che ho anticipato il deposito di una formale istanza alla procura di Roma per l’apertura di un procedimento penale contro ignoti, un procedimento per il delitto di mafia. Abbiamo intenzione di depositare analoga istanza anche alla procura di Palermo, per questo legame con la latitanza del boss di Cosa nostra, sui cui è competente la procura siciliana.

A metà strada fra la pista legata a Provenzano e le indagini che hanno dato vita al processo, non ci sono elementi che portano ad altre direzioni?
Per il momento nessuna.  In ogni caso noi chiediamo, proprio, che si dia il via alle indagini. Sino ad ora è stato fatto poco per cercare la verità. Chiediamo, dunque, di partire dai primi accertamenti, dalle risultanze, da quello che è emerso. La procura competente a portare avanti queste indagini sarebbe Viterbo ma ha già deciso che non vuole fare indagini in altre direzioni. Dunque, in questi anni, davanti a noi abbiamo soltanto una strada: quella della procura di Roma, dove ha sede la Direzione distrettuale antimafia. Ecco perché, oltre agli elementi già citati che portano verso la pista mafiosa legata a Provenzano, continuiamo a  valorizzare questa pista: perché è l’unica che ci permette di cercare la verità e di continuare a indagare.

Norma Ferrara (www.liberainformazione.org)

Tratto da: azione-civile.net

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