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de-magistris-luigi-web0di Antonio Ingroia - 8 ottobre 2014
Nel Paese all’incontrario, quello che ha permesso a Previti di diventare ministro, a Dell’Utri e Cosentino di sedere per anni in Parlamento, quello con una classe politica nazionale e locale piena di impresentabili nominati dalle segreterie dei partiti, quello in cui un presidente del Consiglio non eletto fa accordi, smantella la Costituzione e scrive pericolose controriforme con un pregiudicato decaduto dalla carica di senatore, in questo Paese da tempo non si vedeva un fronte trasversale, sorprendentemente compatto, come quello che si è schierato nei giorni scorsi contro Luigi De Magistris. Destra e sinistra, governo e opposizione, giornali e televisioni, tutti (o quasi) si sono ritrovati dalla stessa parte, uniti come mai, nello ‘sparare’ a zero contro il sindaco di Napoli dopo la condanna in primo grado per abuso d’ufficio a un anno e tre mesi nell’ambito del processo Why Not. Ho visto programmi televisivi trasformati in tribunali di piazza (mediatica), quotidiani di ogni tradizione utilizzati come banchi d’accusa da cui sedicenti giornalisti e politicanti di vario tipo si sono sbizzarriti in requisitorie che assomigliavano tanto a regolamenti di vecchi conti. E’ chiaro, d’altra parte, che De Magistris negli anni ha dato fastidio a molti, prima da pm, quando ha indagato su centri di potere abituati per lo più ad agire senza essere disturbati, quindi da politico, quando ha vinto le elezioni a Napoli nel segno della trasparenza, del nuovo che avanza contro il vecchio dei soliti partiti, delle solite lobby, delle solite logiche di potere. In tanti non aspettavano che l’occasione di una ‘vendetta’ e la sentenza del Tribunale di Roma ha servito loro questa occasione su un piatto d’argento. 

E già che c’erano, ecco anche l’immancabile tormentone sul partito dei giudici, sulla magistratura che fa politica, sui pm politicizzati.
Ma partiamo da De Magistris e dalla sua decisione di non dimettersi. Chiarisco subito come la penso: sono convinto che De Magistris sia innocente e che la sentenza sia ingiusta e totalmente infondata, ma ho già detto e ripeto che ciononostante Luigi avrebbe fatto meglio ad autosospendersi non appena avuta notizia della condanna. La legge è uguale per tutti e la legge Severino è chiara, ma, indipendentemente da essa, in certi casi ci sono principi di responsabilità politica che impongono a chi ricopre una funzione pubblica di fare un passo indietro, a prescindere dalla responsabilità penale e anche solo dopo un giudizio di primo grado. In ogni caso ci si difende meglio se si sgombra il campo dal sospetto di usare la carica ricoperta per difendersi dal processo penale, se si scinde il ruolo dalla persona. L’autosospensione avrebbe fatto acquisire a De Magistris maggiore credibilità, gli avrebbe permesso di criticare la sentenza liberamente, con più forza e più autorevolezza, gli avrebbe consentito di respingere nel modo migliore l’accusa. Luigi ha fatto un’altra scelta, ha deciso di non dimettersi né di autosospendersi, ma questo non significa che non rispetti la sentenza, come invece ho sentito e letto da più parti. Né ha gridato all’eversione, come pure sostiene chi evoca a tutti i costi il paragone con Berlusconi, condannato, con sentenza definitiva e per reati ben più gravi.

Detto ciò, ribadisco che la sentenza è sbagliata e lo faccio conoscendo bene le carte, dal momento che sono stato difensore in sede disciplinare di De Magistris sulla vicenda dei tabulati nell’inchiesta Why Not. La condanna per abuso d’ufficio, per aver violato la norma che impone a un pm di chiedere l’autorizzazione alla Camera d’appartenenza prima di acquisire il tabulato telefonico di un parlamentare, è assurda sul piano giuridico perché non c’è alcuna prova della consapevolezza di De Magistris che le utenze acquisite appartenessero a parlamentari. Anzi, negli atti c’è la prova contraria. Tra l’altro per abuso d’ufficio si può essere condannati solo per dolo: serve la prova che sia stato commesso un illecito in modo consapevole e allo scopo di danneggiare qualcuno. Anche qui la prova non c’è. Sono molto curioso di leggere le motivazioni della sentenza, perché so già che è sbagliata.

E veniamo alla storia del partito dei giudici, vecchia bufala che una volta era quasi un’esclusiva della destra berlusconiana e che oggi, al tempo di Renzi e delle larghe intese, trova invece un consenso ampio, che da destra approda a sinistra. E’ l’alibi ricorrente di chi, scoperto con le mani nel sacco, ha pensato di autoassolversi rovesciando le responsabilità, facendo apparire i magistrati onesti come colpevoli e i politici corrotti come innocenti. Una polemica tra l’altro ben mirata, usata solo contro alcuni magistrati, quelli che come me o De Magistris hanno cercato di agire fuori da grandi partiti, mentre chi si è messo sotto l’ombrello dei grandi partiti è stato guarda caso risparmiato dalle critiche. Possibile che i magistrati che decidono di fare politica sono deludenti solo quando non sono nel Pd o nel centrodestra? Come mai gli altri magistrati, tutti quelli che eletti nel Pd, in Forza Italia o nel Nuovo Centrodestra non sono mai sfiorati da alcuna polemica? Domande a cui ognuno può dare la propria risposta. In ogni caso non esiste e non è mai esistito alcun partito dei giudici, né ai tempi di Tangentopoli né oggi. Ci sono solo magistrati che fanno il loro dovere, nel rispetto della Costituzione e delle prerogative loro riconosciute dalla legge. Semmai ha operato spesso e continua ad operare ancora un partito trasversale contro i giudici. Un partito che agisce e fa pagare con gli interessi il conto a chi sta fuori dal coro, che colpisce anche magistrati che non fanno politica come Nino Di Matteo. E basta anche con la storia dello scontro tra politica e magistratura: non c’è mai stato questo scontro, c’è stata semmai una politica che ha voluto colpire la magistratura e che ha quindi colpito la Giustizia. Con buona pace della giustizia stessa, dell’interesse pubblico e della verità.

Tratto da: azione-civile.net

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