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napolitano-mancino-strettadimanodi Antonio Ingroia - 2 ottobre 2014
Indipendentemente da quello che il presidente Napolitano dirà e, temo, non dirà ai pm e ai giudici di Palermo che andranno ad ascoltarlo al Quirinale, l’ammissione della sua testimonianza nel processo sulla trattativa Stato-mafia ha comunque un grande valore, perché significa che per una volta le ragioni del diritto hanno vinto su quelle della politica. Non accade spesso, anzi in Italia accade quasi sempre il contrario, il dato è dunque di grande rilevanza. Tanto più che lo stesso Napolitano, facendo valutazioni che non competono certo a chi viene citato come testimone, aveva di fatto chiesto di non deporre ritenendo di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo”, trovando subito schierato al suo fianco un reggimento di ‘corazzieri’ folto e trasversale, affollato da giuristi, veri e sedicenti, giornalisti allineati, opinionisti d’accatto e politicanti di destra e di sinistra pronti a sgomitare per mettersi in evidenza invocando la “lesa maestà” e attaccando la procura di Palermo. Ma nella citazione del Capo dello Stato come testimone nel processo sulla trattativa non c’era e non c’è assolutamente nulla di lesivo delle sue prerogative e, come ha stabilito il presidente della Corte d’Assise Alfredo Montalto, la testimonianza “oltre che ammissibile appare né superflua né irrilevante”.

Napolitano sarà ascoltato su un punto in particolare, ossia la lettera inviatagli il 18 giugno 2012 dal consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, in cui questi esprimeva al presidente il sospetto di essere stato, tra il 1989 e il 1993, gli anni in cui si sviluppò la trattativa e in cui D’Ambrosio era capo dell’ufficio studi degli Affari Penali del Ministero della Giustizia, “un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Sospetti e timori che, stando al contenuto della missiva (“lei sa”), D’Ambrosio aveva evidentemente già confidato al Capo dello Stato. Affermazioni che inevitabilmente sollevano legittimi dubbi, pongono angosciosi interrogativi. Non faccio più il pm e non voglio ovviamente in alcun modo interferire con il lavoro dei miei ex colleghi di Palermo, ma ho diverse domande a cui vorrei che il presidente Napolitano desse una risposta. E le domande sono queste:
– Di cosa ha parlato con Loris D’Ambrosio e quali erano i segreti che D’Ambrosio ha riferito solo a Lei e mai ai magistrati, come egli stesso rivelò nella lettera del 18 giugno 2012 a Lei indirizzata? Se il presidente rispondesse di non sapere nulla, allora la domanda conseguente sarebbe:
– Pensa che D’Ambrosio scrisse il falso rievocando un colloquio riservato con Lei in cui l’aveva messo a conoscenza di quei segreti. E perché avrebbe dovuto scrivere il falso in una lettera riservata a lei indirizzata?
– Perché quando il senatore ed ex ministro dell’interno Nicola Mancino la cercò al telefono e anche indirettamente, tramite D’Ambrosio, Lei non ritenne di astenersi dal mantenere rapporti e contatti con il senatore Mancino, che si sapeva essere in quel momento coinvolto nell’indagine sulla trattativa?
– Perché non ritenne di contattare i magistrati della procura di Palermo per informarli dei contatti impropri con cui Mancino cercava di interferire sulle indagini?
– Come mai ritenne di rendere pubbliche le lettere scambiate con D’Ambrosio, compresa quella del 18 giugno del 2012, la cui diffusione avvenne per iniziativa del Quirinale?
– Se il contenuto delle telefonate intercettate tra Lei e Mancino non contiene nulla di inquietante, perché ha fatto in modo che fossero distrutte anziché rese pubbliche e acquisite agli atti del processo?
– Cosa ha fatto o non ha fatto perché venisse fuori tutta la verità sulla stagione delle stragi e della trattativa?
– E’ certo che il conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo abbia aiutato la ricerca della verità e non l’abbia invece ostacolata?
– E’ certo che il tentativo di sottrarsi alla testimonianza dichiarandola inutile fosse un modo per aiutare la ricerca della verità?
– Perché non ha mai espresso solidarietà ai magistrati del “pool trattativa” minacciati dalla mafia, da ultimo il pm Antonino Di Matteo, destinatario di messaggi di morte da parte di Totò Riina?
Si tratta di domande che attendono una risposta già da troppo tempo, la testimonianza del Capo dello Stato è dunque una grande opportunità. Il presidente Napolitano ha la possibilità di fare un’ operazione di chiarezza, di sgomberare finalmente il campo da opacità e sospetti, di dare un contributo decisivo nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità in una vicenda grave e inquietante quale la trattativa, ancora avvolta da troppi misteri, ancora ostaggio di troppi “non so” e “non ricordo”. Dopo oltre 20 anni di silenzi, di depistaggi, di connivenze, di omertà di Stato è il momento della verità. Lo si deve a tutte le vittime delle stragi di mafia, lo si deve ai loro familiari. Solo con la verità l’Italia potrà dire di essersi meritata il sacrificio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e degli altri caduti nella lotta contro Cosa nostra.

Antonio Ingroia (www.lultimaribattuta.it)

Tratto da: azione-civile.net

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