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disoccupati-c-ansadi Antonio Ingroia - 25 settembre 2014
Non contento di aver avviato la rottamazione della Costituzione, Matteo Renzi ha deciso di rottamare anche lo Statuto dei lavoratori, lanciandosi in una doppia sciagurata impresa non riuscita nemmeno ai peggiori governi Berlusconi. Lui le chiama riforme, ma di riforma c’è ben poco. C’è semmai il comune denominatore dell’arretramento evidente e pericoloso sia sul piano delle garanzie che su quello dei diritti. Il Jobs Act, come tanto piace chiamarlo al premier, è una controriforma, un golpe, che punta solo a portare indietro l’Italia di decenni, ai tempi in cui esistevano i “padroni” e i lavoratori non avevano alcun diritto. Nella delega non c’è quello che davvero serve, ossia una ricetta finalmente efficace per creare occupazione buona e stabile, e c’è invece l’ulteriore svuotamento dell’articolo 18, come se tutta la complessa questione legata al lavoro che non c’è ruotasse intorno a questo.

Un’inversione a U che Renzi dovrebbe spiegare, visto che solo un mese fa stoppava pubblicamente Alfano proprio sull’articolo 18 e ora propone esattamente quello che Alfano chiedeva. Con l’aggravante della ‘minaccia’ di procedere per decreto. Non a caso ad esultare per il Jobs Act sono Confindustria e, soprattutto, il Nuovo Centrodestra, con Sacconi in testa, uno che da ministro del governo Berlusconi aveva provato ad anticipare la coppia Renzi-Poletti senza mai riuscirci. Allora però c’era una sinistra che faceva la sinistra, oggi invece c’è Renzi che stringe patti con Berlusconi e governa con Alfano. La differenza, nella sua clamorosa evidenza, è nelle cronache politiche ed economiche di questi ultimi mesi.

Ma torniamo alla questione lavoro, tema delicatissimo, il più sentito dagli italiani. I numeri parlano chiaro, raccontano di un’emergenza spaventosa: secondo gli ultimi dati Istat, in Italia la disoccupazione è al 12,6%, con 3 milioni e 220mila disoccupati. A luglio si sono persi mille occupati al giorno. Inutile dire che tra i giovani le cose vanno molto peggio, con un tasso di senza lavoro del 42,9%. Di fronte a questa emergenza il governo che fa? Dà risposte sbagliate a domande sbagliate. Non si preoccupa di rianimare il mercato del lavoro ma punta anzi a lasciare libertà di licenziamento. Interviene al ribasso, negando ai figli i diritti di cui hanno goduto e godono i padri, togliendo certezze a tutti invece di darne a chi non ne ha, a chi è costretto a misurarsi giorno dopo giorno, anno dopo anno, con un precariato senza fine, con salari da fame, con la possibilità di essere licenziato in qualunque momento.

Dicono che la reintegra è un’anomalia solo italiana, che in Europa non c’è da nessuna parte. Raccontano la storia che senza le ‘catene’ dell’articolo 18 le imprese saranno finalmente libere di assumere e creeranno quindi buona e sana occupazione. Fanno credere che una volta data la libertà di licenziare ci sarà una gara ad assumere e l’economia riprenderà a correre. Tutto banalmente falso! La crisi non dipende dall’articolo 18 e l’uscita dalla crisi non dipende dalla sua cancellazione. Le garanzie ai lavoratori sono state tolte quasi tutte ormai da molti anni. Oltre il 50% dei lavoratori dipendenti oggi è precario e lo sono in percentuale assai più alta donne e giovani. Eppure, nonostante stipendi da fame e gli innumerevoli contratti atipici, la disoccupazione è ai massimi storici. E’ chiaro, quindi, che dal punto di vista economico questa riforma non serve a niente. Si può davvero credere che abrogando l’articolo 18 si creeranno posti di lavoro e si attireranno investimenti dall’estero? Evidentemente no. Del resto parlano i fatti: l’articolo 18 non si applica alle imprese al di sotto dei 15 dipendenti, che in Italia sono la grande maggioranza. Queste, dunque, hanno avuto sempre la possibilità di licenziare, anche negli anni di crisi, ma ciononostante l’occupazione non è certo aumentata. Segno che la soluzione è sbagliata. Per rilanciare l’occupazione, per ridare fiducia e prospettive alle imprese, c’è bisogno piuttosto di una politica industriale all’altezza del terzo millennio, di un grande piano di investimenti, soprattutto in ricerca e sviluppo, di un opportuno sostegno a chi assume, di un taglio netto del costo del lavoro.

Occorre difendere i settori strategici, dalla chimica alla siderurgia, attraverso l’innovazione del nostro apparato produttivo e la riconversione dell’economia nel segno della sostenibilità ecologica. Bisogna bonificare la giungla dei contratti che c’è oggi. Quanto agli investitori stranieri, li si attirano solo estirpando la corruzione, abbattendo la burocrazia, abbassando l’insostenibile pressione fiscale, sconfiggendo la criminalità organizzata, riducendo i tempi oggi biblici della Giustizia. Tutte cose di cui il governo non si occupa minimamente. L’articolo 18 non c’entra niente. Quella di Renzi è solo demagogia, per fare tutti lavoratori di terza classe. Dice all’operaio che guadagna 1.200 euro al mese e al quale ha dato gli 80 euro che se suo figlio è precario è colpa del suo articolo 18. Uno messaggio indecente. Bisogna fermare questo ‘golpe’, anche scendendo in piazza. Perciò io e Azione Civile saremo con la Fiom alla manifestazione del 18 ottobre. Per il lavoro e dalla parte dei lavoratori, a difesa dei loro diritti e della loro dignità.

Tratto da: azione-civile.net

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