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ingroia-strage-capacidi Antonio Ingroia - 29 luglio 2014
Leggendo su Il Fatto di domenica l’articolo di Gianni Barbacetto sul caso, piuttosto surreale, di un Csm ormai scaduto che mi ha “promosso” a un livello superiore di anzianità come magistrato dopo un anno abbondante dalla mia uscita dai ruoli della magistratura, di fronte a questa beffarda delibera del Csm non saprei se sorridere o indignarmi. Ma, a beneficio dei lettori, è preliminare qualche precisazione che inquadri meglio la vicenda così da coglierne sino in fondo il senso e lo spirito.

Una premessa è necessaria. Il Csm non poteva non adottare un provvedimento come questo, sostanzialmente dovuto, trattandosi dell’ordinaria e pressocché automatica progressione in carriera che deriva dall’anzianità di servizio e che difficilmente poteva essermi negata, anche perché mai un rifiuto avrebbe potuto essere riconosciuto legittimo da un qualsiasi Tar, vista la mia attività in quel quadriennio (2007-2011). Un periodo nel corso del quale non solo ho avviato la vituperata indagine sulla “trattativa Stato-mafia”, ma sono stato anche nominato, dallo stesso Csm e senza obiezioni, procuratore aggiunto a Palermo, e ho coordinato decine di indagini e processi contro centinaia di mafiosi e colletti bianchi complici della mafia, quasi tutti conclusi con arresti e condanne.
E, fra l’altro, ho personalmente coordinato le indagini che condussero all’arresto del n.2 di Cosa Nostra del tempo, Mimmo Raccuglia, arresto che una fonte insospettabile, il ministro dell’Interno del tempo Roberto Maroni, definì come ”uno dei colpi più duri inferti alle mafie negli ultimi anni”. Lo stesso Raccuglia, che – si scoprì in quei giorni – era stato arrestato proprio mentre stava organizzando un attentato ai miei danni.
Direi che ce n’è abbastanza per confermare che il Csm non poteva fare altrimenti che adottare quel provvedimento.
La sorpresa, semmai, è un’altra. Come mai una decisione relativa al periodo 2007-2011 è stata presa solo oggi, ben tre anni dopo? E ancora, come mai un atto dovuto è stato adottato con la risicata maggioranza di un solo voto, con ben 7 voti contrari, politicamente trasversali, e 4 astenuti? E come mai si è voluto segnalare anche in tale sede, che io da pm avrei tenuto comportamenti “connotati da oggettiva gravità”, facendo riferimento a mie esternazioni tutte ricomprese in un periodo successivo a quello oggetto di valutazione, e che perciò non andavano neppure citate? Accanimento nei miei confronti? Non credo. Non credo che interessi chi magistrato non è più come me, ma piuttosto chi ancora le funzioni di magistrato esercita. Colpirne uno per educarne cento è un vecchio sistema. Mi sembra perfino evidente che questo Csm, trasformatosi definitivamente (tranne le eccezioni di pochi suoi componenti) da presidio dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, specie dagli attacchi della politica (chi si ricorda più delle “pratiche a tutela”?), in sede esecutiva del disegno di normalizzazione e omologazione della magistratura altrove ideato, continua a usare due pesi e due misure.
Ai magistrati disubbidienti tocca il bastone, ai magistrati omologati la carota. E quindi, a me non poteva essere riservato trattamento diverso: ritardare il più possibile la promozione dovuta, magari quando il magistrato, in un modo o nell’altro, è stato neutralizzato. Ricordate le lacrime di coccodrillo per Falcone e Borsellino? E intanto si lanciano messaggi di avvertimento ai nuovi magistrati disubbidienti che, testardamente, continuano per la stessa strada. Sarà un caso che contro l’ultimo – condivisibilissimo – intervento pubblico di Nino Di Matteo si siano esercitati in tanti a fare paralleli col “caso Ingroia”? Alle coincidenze, dopo tanti anni di indagini, ho smesso di credere da un pezzo.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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