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ingroia-antonio-web30di Antonio Ingroia - 11 luglio 2014
Nel consueto appuntamento con il periodico “L’Ultima Ribattuta”, questa settimana Antonio Ingroia affronta il tema delle riforme, e il suo giudizio è severo.
Non è che uno voglia criticare Matteo Renzi e il suo governo per il gusto di farlo, ma loro si impegnano con sorprendente abnegazione a fornire ogni volta nuovi argomenti di fronte ai quali è davvero impossibile far finta di niente e dire che tutto va bene. Guai però ad esprimere qualsivoglia critica, sia pur motivata, o a fare legittime osservazioni, perché scatta automatica l’etichettatura e si finisce classificati d’ufficio come gufi o rosiconi. Del resto Renzi pretende il monopolio del cambiamento, per cui lui è l’unico che vuole e può davvero cambiare le cose e chi non è con lui è un pericoloso reazionario che rema contro il Paese.

E invece io di pericoloso continuo a vedere solo quello che c’è nelle pessime riforme che il governo sta provando a imporre, le più azzardate delle quali con la complicità di un Berlusconi improvvisamente elevato al ruolo di affidabile statista. Ed è paradossale vedere il Cavaliere molto più vicino oggi all’obiettivo di stravolgere la Costituzione di quanto non lo sia mai stato in passato, quando era al governo e poteva contare su una maggioranza parlamentare schiacciante. Ricapitolando, la premiata ditta Renzi-Berlusconi ha trovato l’accordo su due sole riforme, quelle che davvero interessano ad entrambi: quell’obbrobrio che è l’Italicum, legge elettorale che tra liste bloccate, premio di maggioranza mostruoso e soglie di sbarramento altissime è peggiore anche del Porcellum, e sulla modifica del Senato, che punta a trasformare Palazzo Madama in una Camera non elettiva, senza poteri di controllo sul governo ma con alte funzioni come la revisione costituzionale, e a composizione variabile visto che sindaci e consiglieri regionali resteranno in carica quanto le giunte regionali e comunali di provenienza, dove si vota in ordine sparso. L’obiettivo è evidentemente quello di assicurare al partito che prende più voti un dominio assoluto e al leader di quel partito un potere smisurato. Questo per restare ai massimi sistemi. Ma se poi si va a leggere dentro le riforme, se si va a scavare all’interno dei vari provvedimenti, emergono subito, insieme, sia le clamorose lacune che queste pseudo riforme presentano, sia delle mine vaganti che rafforzano il timore per quella “svolta autoritaria” opportunamente denunciata a suo tempo dai giuristi di “Libertà e Giustizia”. Per quanto ovvio, è comunque grave che nemmeno il rottamatore per eccellenza, l’uomo che si è presentato come l’unico in grado di cambiare verso all’Italia, si sia ancora posto il problema del conflitto d’interessi. Né una slide, né un tweet, né un annuncio per far sapere che comunque la questione è nell’agenda del governo. E qui siamo alla più clamorosa delle lacune. Non meno inquietante è il variegato capitolo delle mine vaganti. La più clamorosa è probabilmente l’immunità per i nuovi senatori, che tradisce del tutto lo spirito con cui l’immunità fu voluta dai padri costituenti e che così com’è rappresenta solo un modo per garantire l’impunità ai 100 tra sindaci e consiglieri regionali che siederanno in Senato. E visto il numero vergognoso di amministratori locali sotto inchiesta per corruzione, rimborsi elettorali e quant’altro, si capisce bene il senso di una proposta tanto assurda. Una proposta, tra l’altro, apparentemente e incredibilmente figlia di nessuno, visto che non c’è chi ne riconosce la paternità. Un proposta che nessuno dice di condividere ma che intanto è ancora lì. Misteri delle larghe intese! Ma non è tutto. Perché nascosti nei testi delle riforme che Renzi vuole a tutti i costi ci sono altre sorprendenti iniziative, come quella che punta a portare da 50mila a 250mila il numero di firme necessarie per la presentazione delle leggi di iniziativa popolare. Così, dopo aver negato ai cittadini il diritto di scegliersi da chi farsi rappresentare, li si priva pure di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta teoricamente a disposizione, dove l’avverbio teoricamente si spiega col fatto che le leggi di iniziativa popolare sono state negli anni puntualmente ignorate dal Parlamento. Ma tant’è, la casta ha pensato che è sempre meglio cautelarsi per bene. E in questo senso va letta pure l’altra novità che si vuole istituzionalizzare, la cosiddetta “ghigliottina”: in pratica si prevede una corsia preferenziale per la discussione e l’approvazione in Parlamento dei disegni di legge indicati dal governo come “essenziali per l’attuazione del programma“. Questi ddl dovranno essere votati e approvati entro due mesi, se il termine non viene rispettato si vota il testo del governo senza modifiche. Una ghigliottina, appunto, per tagliare i tempi del dibattito e impedire all’opposizione di parlare. Un modo per dare più poteri al governo e meno al Parlamento. Ma non è finita, perché al di fuori delle riforme costituzionali, vera ossessione di Renzi, il governo non si è fatto mancare anche un regalo alle banche, con la norma che reintroduce l’odiosa e incostituzionale pratica dell’anatocismo, ossia il calcolo degli interessi sugli interessi a debito dei correntisti andati in rosso. Anche qui norma senza padri né madri, disconosciuta da tutti ma pure messa nero su bianco nel decreto competitività. Un incidente di percorso che verrà corretto in Parlamento, hanno provato a minimizzare dal Pd. Ma intanto il dato di fatto è questo. Per il resto, il treno delle vere riforme, quello di cui realmente il Paese ha bisogno, viaggia piano o ferma alle stazioni sbagliate. Penso alla spending review di Cottarelli, immancabilmente presentata in grande stile e immancabilmente rimasta al livello delle buone intenzioni. Penso alla riforma della Giustizia, di fatto rimandata a data da destinarsi per non rischiare di compromettere la sintonia con Berlusconi. Il che significa ancora niente sul falso in bilancio, sull’autoriciclaggio e sulla prescrizione, con buona pace di corrotti e corruttori. E intanto la ripresa non si vede né si intravede, anzi l’Istat traccia uno scenario pessimistico per l’Italia tra i rischi di un Pil ancora negativo nel secondo trimestre 2014 e un rallentamento dei prezzi. Insomma, niente crescita e niente ripresa dei consumi, nonostante gli 80 euro, il più grande probabilmente degli azzardi di Renzi. E niente pure dal fronte del lavoro, con la disoccupazione che è anzi tornata a salire al 12,6%. La lotta alla grande evasione, poi, resta non pervenuta, mentre con la voluntary disclosure è pronto l’ennesimo condono a favore di chi ha portato illegalmente capitali all’estero. Insomma, anche a chi aveva creduto nel Renzi riformatore sarà venuto qualche dubbio. Il cronoprogramma presentato a febbraio e marzo è chiaramente saltato, restano in piedi solo le due riforme concordate col patto del Nazareno, cioè legge elettorale e Senato, che però non piacciono nemmeno a pezzi consistenti di Pd e Forza Italia. Il dubbio che non arrivino in porto è più che fondato. Ne valeva allora la pena? Evidentemente no. Ma questa è la strada scelta dal governo. Parafrasando il Renzi di Strasburgo viene da dire che se l’Italia si facesse un selfie, mostrerebbe il volto della stanchezza.

Tratto da: azione-civile.net

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