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di-matteo-nino-c-giannini-big0di Francesco Bertelli* - 12 dicembre 2013
Proviamo un attimo ad applicare la situazione che sta subendo il pm Nino Di Matteo all’interno di uno Stato normale e veramente democratico. Ciò che è successo ieri sarebbe una vera a propria sconfitta di questo ipotetico Stato. Per la prima volta infatti (non era accaduto neanche durante il 1992) un magistrato antimafia non ha potuto presenziare per motivi di sicurezza all’udienza di un processo. Nino Di Matteo infatti non è potuto andare in trasferta a Milano, per sentire l’audizione di Giovanni Brusca nel processo trattativa Stato-Mafia.

Fatto gravissimo. Ritornando quindi al nostro ipotetico Stato, staremo tutti quanti adesso a leggere o a sentir dire di essere di fronte “alla sconfitta di uno Stato che non riesce a proteggere un suo servitore dello Stato, non consentendogli di andare al processo”.

Tutto normale. In realtà queste frasi le stiamo leggendo proprio oggi su alcuni giornali e su alcuni tg che si sono occupati della vicenda. Il nostro non è uno Stato normale. Non si tratta di una sconfitta dello Stato italiano. E’ una sconfitta apparente. La verità è che lo Stato vuole questo: vuole isolare Nino Di Matteo, vuole concedergli di andare in trasferta a Milano proponendogli di salire sopra ad un carrarmato (come i Lince in Afghanistan), vuole tenere a Palermo il magistrato più importante che conduce il processo fondamentale per scoprire le verità sulla trattativa (di cui lo stesso Stato ha fatto parte e continua a farlo tutt’oggi), vuole rimanere in silenzio senza denunciare ciò che sta accadendo intorno alla figura di Nino Di Matteo senza condannare le minacce gravissime rivoltegli contro dal Capo di Cosa Nostra Totò Riina.

Ci siamo già passati ventuno anni fa. Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino vennero lasciati soli, denigrati dai politici (gli stessi che oggi li commemorano restando seri), accoltellati alle spalle dal Csm e dalle correnti interne alle Procure (in primis quella di Palermo). Stesso Csm che oggi tiene sotto accusa Di Matteo per aver fatto un’intervista in cui confermava l’esistenza di alcune intercettazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano (intercettazioni non rilevanti processualmente). Stesso Csm che oggi tiene in sospeso quel procedimento contro un magistrato in pericolo di vita. Così facendo lo indebolisce e lo isola ancora di più. Ma il nostro Stato vuole questo, perché altrimenti non si spiegherebbe quel volle provvedimento avviato dal Csm.

E poi c’è il silenzio di tutto il mondo istituzionale. E chi si attiva è colui che meno te lo aspetti: Angelino Alfano, il quale la scorsa settimana riunendosi con tutti i magistrati di Palermo, Trapani e Caltanissetta aveva annunciato il via libera all’utilizzo del “bomb-jammer” per Di Matteo. Un robot che da mesi si pensa di assegnare alla scorta del magistrato ma ancora non è a disposizione perché non è ancora stato testato a sufficienza.

Di Matteo è stato oggetto di lettere minatorie made in Corvo 2. Gli avvisi, i pedinamenti da parte di figure oscure troppo informate per appartenere solo al mondo mafioso. E lo Stato non ha detto una parola. Addirittura si sa dalle solite fonti misteriose, che sono arrivati a Palermo da mesi 15 chili di tritolo per Di Matteo.

E poi siamo arrivati a ieri. Di Matteo non può andare a Milano perché troppo pericoloso. Uno Stato normale avrebbe fatto di tutto per contrastare le minacce di Totò Riina e per difendere il magistrato che sta cercando la verità su ciò che accadde nel 1992. Invece preferisce lasciarlo a Palermo. Perché nessuno dice una parola a sostegno di Antonino Di Matteo? Dov’è il Presidente della Repubblica (capo del Csm di cui sopra)? Dov’è il Presidente del Senato? E quello della Camera? Dov’è il mondo politico intero?

La verità è che vicino a Di Matteo siamo rimasti solo noi. Il popolo. E dobbiamo continuare a gridare la nostra voce per difenderlo.

*Studente universitario @Francesco_Berty – Azione Civile Grosseto

Tratto da: azionecivile.net

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