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ingroia-antonio-web23di Maurizio Sansone* - 30 ottobre 2013
Ormai è diventato un tormentone. Antonio Ingroia (foto) è attaccato ogni giorno dai media ufficiali, giornali e tv tanto per capirci, e la strumentalizzazione viaggia anche sul web.
Eppure basterebbe poco, basterebbe approfondire un po’ di più, per capire come l’ex pm stia compiendo un percorso lineare, senza le furbate di cui parlano tv e giornali, ovviamente senza contraddittorio.
Da dove cominciamo? Lascerei perdere le critiche durante la campagna elettorale di Ingroia, fatta, come si suol dire, all’antica, cercando di argomentare, senza cedere alla tentazione di chi la spara più grossa. Un limite? Forse. Nell’era dello slogan mordi e fuggi forse non funziona. In epoca di berlusconismo basta promettere, tanto c’è chi si beve tutto, ma onore a chi decide per una volta, rischiando sulla propria pelle, di compiere, nonostante i Crozza di turno, un esperimento per spiegare piuttosto che urlare. Ricorderete tutti l’attacco peggiore: Ingroia lo subì durante una trasmissione di Lucia Annunziata, che gli tirò un vero e proprio agguato.

Durante la campagna elettorale fu strumentalizzato anche il suo solo impegno in politica, e fu accusato, primo caso nella storia dei magistrati in politica, di doppio gioco, cioè di non essersi dimesso dalla magistratura prima di candidarsi. Non era mai accaduto prima. Qui non voglio dire se fece bene o male a non dimettersi subito. Dico solo che nella storia della Repubblica c’è stato qualche centinaio di giudici che non si è dimesso per candidarsi e che dopo qualche legislatura è rientrato nei ranghi. Il giudice Ayala, ad esempio, lo cito perché anche lui faceva parte del pool antimafia, dopo due legislature nei Ds è tornato alle sue mansioni in una nuova sede, a Perugia. Per non dire di Mantovano, Nitto Palma (entrambi Pdl, ma qualcuno sapeva che in precedenza erano magistrati?) e moltissimi altri, capitanati da Oscar Luigi Scalfaro, che dal ’46 alla sua morte è rimasto in ruolo. Alcuni si sono dimessi moltissimi anni dopo l’impegno politico, si pensi a Luciano Violante e Anna Finocchiaro, che lo hanno fatto soltanto quando hanno capito che sarebbero rimasti in Parlamento più o meno per sempre.
Solo a Ingroia questo non è stato perdonato, ed è stato fatto passare come l’unico che abbia fatto questo giochino nella storia d’Italia. Nessuno ricorda, però che è stato il primo magistrato nella storia della Repubblica ad aver lasciato la toga nonostante la mancata elezione. Molti lo hanno addirittura accusato di essere stato retribuito durante l’aspettativa elettorale: un’altra falsità che ha fatto il giro delle redazioni dove dovrebbero sapere che l’aspettativa non è retribuita.
E veniamo alle puntate successive. Il Csm manda Ingroia ad Aosta con la scusa che solo in quella regione non si era candidato. A nulla è valso ricordare che Ingroia era candidato a Torino, e Aosta dipende dalla Procura del capoluogo piemontese. A nulla è valso ricordare l’esempio del giudice Cesare Terranova, che dopo una legislatura da indipendente del Pci tornò nella stessa procura da cui proveniva, a fare il giudice antimafia a Palermo dove fu assassinato. Possibile che un giudice antimafia non potesse essere utile? O piuttosto pagava indagini contro poteri fortissimi che ancora oggi si stanno vendicando?
Ingroia ad Aosta, dopo un periodo di ferie (e anche qui, apriti cielo, tutti col dito puntato perché stava a casa a spese dello Stato, come se le ferie non fossero un diritto di tutti i lavoratori) decide, per protesta, di non presentarsi al lavoro decadendo dal ruolo di magistrato. Ingroia spiega immediatamente che la decadenza equivale a dimissioni dal punto di vista pratico, che il suo è un gesto di protesta nei confronti del Csm e che non esiste più nessuna norma che consente al Pm decaduto di chiedere il reintegro entro due anni. I giornali aprono tutti con “l’ennesima furbata di Ingroia” ignorando una norma che pure era stata segnalata da Ingroia stesso con tanto di comunicato stampa in cui spiegava la scelta politica, in dissenso dal Csm, con effetti del tutto identici alle dimissioni.
Ma non finisce qui. Tutti a ironizzare sulla presunta “diminutio” da Rivoluzione Civile ad Azione Civile. Ignorando, e sarebbe bastata una semplice telefonata per verificarlo, che Rivoluzione Civile non può più chiamarsi così semplicemente perché si è sciolta, perché i sette soggetti che ne facevano parte hanno deciso di dividersi. Azione Civile era l’associazione fondata da Ingroia che aveva dato vita, insieme alle altre sei, al tentativo di Rivoluzione Civile.
Ecco, Rivoluzione Civile non entra in Parlamento, e tutti a parlare di flop. Il risultato non è stato esaltante, è vero, ma la formazione di Ingroia non è entrata in Palamento solo perché il porcellum prevede ben sei soglie di sbarramento diverse. Nonostante conquisti quasi 800.000 voti non entra, ma ce la fanno, con percentuali più basse, in qualche caso assai più basse, Udc, Fratelli d’Italia e addirittura Centro Democratico, che dalle urne viene premiata con sei deputati dopo aver preso meno di un quarto dei voti di Rivoluzione Civile. E Sel? Con appena 300.000 voti in più conquista 37 (dico 37!!!) deputati. Dura lex, sed lex, ma se la lex è sbagliata andrebbe cambiata perché la rappresentanza parlamentare non rispetta la volontà popolare.
E ora parliamo degli incarichi in Sicilia. Il governatore Crocetta e Ingroia si conoscono molto bene, sono impegnati da venti anni sul comune fronte dell’antimafia, girano entrambi con la scorta perché la malavita organizzata li ha condannati a morte. Hanno, insomma, la stessa sensibilità. La cosa più normale del mondo è che per incarichi legati alla storia di Ingroia, Crocetta lo chiami a gestire aziende che puzzano di mafia. Ovviamente per i giornali e le televisioni questo si traduce immediatamente in una ricerca di poltrona, nel classico stile dei trombati riciclati. A capo di Sicilia E-Servizi, dove ha lavorato addirittura la figlia del mafioso Bontade, qualcuno di voi ha un nome più idoneo di Ingroia?
Infine la svolta, da giudice ad avvocato. Forse a qualcuno piace pensarlo disoccupato a vita, ma se la legge consente a qualcuno di passare da pm ad avocato dov’è il problema? Ricordate Titti la Rossa, Tiziana Parenti? Da magistrato è passata al Parlamento per due legislature con Forza Italia e ora svolge la professione di avvocato. Avete mai sentito lamentarsi qualcuno? Le norme non consentono di esercitare la professione dove si è lavorato da giudice per tre anni, ma, secondo alcune interpretazioni, è solo davanti alla Procura, l’ufficio dove si è prestato servizio, che non si può esercitare. Davanti al giudice sì, ed è per questo che viene annunciato (solo annunciato, sapendo benissimo di non poter ancora esercitare perché bisogna prima prestare giuramento) che Ingroia sarà avvocato di parte civile al processo sulla trattativa Stato-mafia dell’associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili. Apriti cielo. “Esercizio abusivo della professione” strillano i soliti soloni di tv e giornali. Tanto che lo stesso Ingroia, per evitare che l’associazione possa essere strumentalizzata, di fatto si fa togliere l’incarico.

Ecco, se l’informazione italiana fosse seria, obiettiva e soprattutto indipendente, si informerebbe un po’ prima di scrivere sciocchezze. A meno che, perché a pensar male spesso ci si azzecca, non si stia facendo di tutto per provare a distruggere un uomo scomodo, che ha alzato qualche coperchio di troppo a pentole che bollivano a fuoco alto quando era Pm, che ha trovato intrecci clamorosi tra esponenti di enorme rilievo del mondo politico e mafia, che ha fatto condannare Dell’Utri, Contrada e tanti altri insospettabili oltre a centinaia di mafiosi. L’assenza dalle tv e dai giornali per difendersi dagli attacchi e dalle bugie fanno il resto. Passano solo gli attacchi, come andare allo stadio e veder giocare una squadra sola.
Una volta i giudici scomodi li uccidevano, oggi provano a ridicolizzarli inventandosi menzogne. Oggi bisogna ridicolizzarli per distruggerne la storia. E allora, ogni tanto, è bene fare qualche riassunto delle puntate precedenti e ristabilire davvero come sono andate le cose. Le opinioni, quando si basano su ipotesi precostituite e strumentali, sono cattivo giornalismo, giornalismo all’italiana anzi, all’amatriciana.

*Responsabile Comunicazione Azione Civile

Tratto da: azionecivile.net

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