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nof35-18091316 settembre 2013
Qualche settimana fa annunciammo una serie di approfondimenti su temi di interesse generale che potevano servire come spunto per discussioni e proposte per gli aderenti e i simpatizzanti di Azione Civile. Proponemmo una riflessione sui beni comuni che ha avuto un certo successo ed è stata condivisa da molti di voi sui social. Oggi, da Azione Civile di Parma, ci sono giunti questi appunti sugli F35 e sullo stato della nostra difesa, in concomitanza con un’iniziativa che si terrà mercoledì sera a cui sarà presente anche Antonio Ingroia.

Maurizio Sansone



GLI  F-35    LA COSTITUZIONE     LO STATO DELL’ITALIA   LE NOSTRE PROPOSTE

  1. Il  programma  Joint Strike Fighter (JSF)
  2. I costi e le ricadute occupazionali
  3. Defezioni sul piano internazionale
  4. Le posizioni

4.1  – Il governo

4.2  -  La mozione della maggioranza

4.3  -  La mozione di minoranza

4.4  -  La posizione del ministro della Difesa e del Consiglio supremo di Difesa

4.5  -  Le posizioni critiche

  1. Ragioni possibili del programma JSF
  2. La Costituzione italiana e la guerra
  3. La Difesa in Italia: programmi, sistemi, costi, rapporto armi – politica
  4. Lo stato del paese
  5. Le nostre proposte

Il programma  JSF

Già dalla fine degli anni ’80 le tre forze aeree statunitensi (Air Force, Navy e Marines)  erano alla ricerca di un modello di nuova generazione rispetto agli aerei da combattimento in servizio. Questo scopo fu perseguito costruendo tre varianti di uno stesso modello:

*   F-35A  – decollo e atterraggio convenzionale

*   F-35B  – decollo corto e atterraggio verticale

*   F-35C  – per le portaerei.

Il velivolo è un cacciabombardiere di 5^ generazione, che può essere utilizzato per supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico, soppressione dei sistemi d’arma avversari e distruzione delle forze aeree avversarie, attacco strategico, supporto tattico alle forze di superficie; secondo “Emergency” del giugno 2013, può trasportare bombe atomiche B61 americane e lanciarle sul nemico.

Il contratto per lo sviluppo del progetto fu firmato il 16 novembre 1996. Avevano dato l’adesione  al progetto  oltre i  gli Stati Uniti (principale cliente e finanziatore), Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca.

L’Italia ha aderito al programma nel 1998 con la firma del “Memorandum of Agreement” per la fase concettuale-dimostrativa, con un investimento di 10 milioni di dollari. Nel 2002, dopo l’approvazione delle Commissioni Difesa di Camera e Senato, è stata confermata la partecipazione alla fase di sviluppo del progetto. Nel 2009 le stesse commissioni hanno espresso parere favorevole allo schema di programma trasmesso dal Governo, che comprendeva l’acquisto di 131  F-35 al costo di 12,9 miliardi di euro. Nel 2012 il governo Monti, per ridurre i costi (secondo l’indirizzo della spending review), del programma di acquisto degli F-35, decise di passare da 131 a 90 velivoli .

I costi e le ricadute occupazionali

Il costo complessivo del progetto, ancora in via di sviluppo,è di oltre 40 miliardi di dollari ed è finanziato principalmente da Stati Uniti e in subordine dal Regno Unito, a seguire: l’Italia con un miliardo e con contributi minori gli altri aderenti.

Era stato previsto l’acquisto complessivo di 3173  esemplari  entro il 2035, per un costo complessivo che è passato dai 232 miliardi del 2002 ai 332 miliardi nel marzo  2010, ai 382,4 miliardi nel giugno dello stesso anno, a 396 miliardi di dollari attualmente (secondo la rivista “Internazionale”  del 26.06.2013). E i costi continuano a lievitare. Il costo medio per velivolo è passato dagli  iniziali 62 milioni di dollari a 112,4 nel 2010, mentre le stime attuali parlano di 190/200 milioni di dollari.

Il costo dei 90 velivoli per l’Italia, secondo le previsioni di bilancio del 2012 da parte del ministero della Difesa sarà di 12,2 miliardi entro il 2027. Ma  in conseguenza di  numerosi difetti di produzione, ritardi e  vari inconvenienti emersi in fase di collaudo,   valutazioni aggiornate  parlano  di un prezzo complessivo dell’acquisto che va dai 13 ai 17 miliardi (vedi “Internazionale” del 26.06.2013), ai 17 miliardi netti (vedi “Economia” del 27.06.2013, articolo a firma di Marco  Mostallino).

Per quanto riguarda le ricadute occupazionali  in Italia, il governo aveva previsto 10.000 posti di lavoro, ma sembra una cifra di pura fantasia , infatti:

-  nello stabilimento dell’Alenia  di Cameri, in provincia di Novara, lavorano 150 operai addetti al montaggio delle ali sugli scheletri degli  F-35. Si dice però che il grosso dello stabilimento deve essere ancora costruito e che i posti di lavoro aumenteranno. Ma i contratti finora firmati riguardano la costruzione di sole 18 ali (su un totale di 6ooo ali), mentre le trattative per l’acquisizione di altre 111 ali sono ancora in discussione, con il vincolo, comunque prestabilito, che i costi di produzione italiani debbano essere almeno pari, se non inferiori, a quelli della Lockeed  (vedi  “Focus Mediterranée”, 18.04.2013, Gli F-35 e la bufala dei posti di lavoro, di  Paola De Benedictis)

-  sulla base di  calcoli approssimativi ,  Gianni Alioti dell’ufficio internazionale dei metalmeccanici Cisl sostiene: “Se consideriamo, oltre a Cameri, anche tutti gli altri lavoratori che saranno impegnati in Italia (le 40 aziende che sono coinvolte nell’accordo) nel programma F-35, non si supereranno le 1500 unità”, ma parte di questi lavoratori sono già occupati in queste aziende, si tratterà semplicemente di spostare le lavorazioni sul programma F-35.

Dunque siamo ben lontani dalle cifre enunciate dal governo e in particolare dall’ex ministro della difesa Di Paola.

Defezioni

Nel dicembre del 2012 il Canada si è ritirato dal progetto F-35 perché troppo costoso  mentre gli aerei  si presentano eccessivamente difettosi.

Successivamente si sono ritirati anche Norvegia e Olanda.

Mentre il 19 giugno 2013  un rapporto redatto dal Government accountability Office (Gao), illustrato al Senato americano,  boccia il programma F-35 per i costi eccessivi dell’operazione e per l’insufficienza dei requisiti tecnici necessari per il combattimento.  In seguito a ciò il presidente Obama  ha dichiarato “I costi previsti di operatività e manutenzione della flotta degli  F-35, una volta messa in linea, sono stati giudicati insostenibili dai vertici del dipartimento della Difesa”: ne consegue che, se le spese non caleranno, il programma salterà perché gli USA saranno costretti a rinunciare all’acquisto.

Quale sarà dunque il futuro del progetto JSF? Saranno costruiti gli F-35?

Per il momento l’Italia riafferma la propria decisione di continuare.

Le posizioni

Il Governo  -  In sintesi:

+ 1998:  viene firmato , dal governo di Massimo D’Alema, il “Memorandum of Agreement” che avvia la fase concettuale-dimostrativa del programma F-35, contestualmente al primo importo di investimento di 10 milioni di euro ( attuali)

+ 1999:  il governo D’Alema firma  il  programma , che avrà la durata di 29 anni,  e  che prevede l’acquisto di 131 aerei  per 12,9 miliardi di euro

+ 2002:  con l’approvazione delle commissioni difesa di Camera e Senato si conferma la partecipazione alla fase di sviluppo del programma

+ 2009:  le commissioni difesa  esprimono parere favorevole allo schema del Governo che prevede l’acquisto di 131 aerei per la spesa di 12,9 miliardi di euro

+ 2012:   il Governo Monti, nel contesto della Spending review,  riduce il numero di aerei da 131 a 90, per 12,2 miliardi di euro (spesa quasi invariata a causa della  lievitazione dei costi)

La mozione della maggioranza  -  Rispettivamente il 26 giugno  e  il 16 luglio 2013, Camera e Senato approvano la mozione della maggioranza Pd-Pdl-SC , che propone di avviare una inchiesta su efficacia e costi del programma militare Joint Strike Fighter in vista dell’acquisto di 90 F-35, ed impegna, inoltre, il Governo “a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell’art. 4 della legge 31.12.2012, n.244 “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”.

Domanda : ulteriore  è riferito ai tre aerei acquistati finora, o all’accordo firmato con la Lockeed secondo il quale i  90 velivoli verranno consegnati entro il 2027?

Contestualmente viene respinta da entrambe le Camere la mozione firmata dai deputati di Sel e del M5S, con la partecipazione di qualche deputato del Pd che chiedeva al Governo di interrompere la partecipazione al programma JSF.

La mozione di minoranza (Sel – M5S) -  Dopo varie considerazioni sul programma JSF e sulle sue criticità e costi, la mozione impegna il Governo a: 1) sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma JSF; 2) procedere rapidamente a una ridefinizione del modello di difesa sulla base del  dettato costituzionale e affermando il ruolo centrale della politica di difesa europea;  3) destinare le somme risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici per opere varie, come: messa in sicurezza degli edifici scolastici, manutenzione idrogeologica del territorio, piano pluriennale di costruzione di asili nido.

Il Ministro della Difesa e il Consiglio supremo di Difesa   -   Nell’intervista rilasciata il 23 maggio al “Messaggero” il ministro della difesa Mario Mauro dichiarava: “Credo che siamo tutti d’accordo nel riconoscere che il valore più importante che condividiamo nella nostra civile convivenza sia la pace. Sistemi di difesa avanzati, come l’F-35, servono per fare la pace…….se vogliamo la pace, dobbiamo dunque possedere dei sistemi di sicurezza che ci consentano di neutralizzare i pericoli che possono insorgere in conflitti che magari sono distanti migliaia di chilometri da casa nostra, ma che hanno la capacità di coinvolgere il mondo intero e di determinare lutti e povertà. Ora, l’utilizzo di strumenti complessi come gli F-35 si giustifica in una visione integrata delle esigenze di sicurezza da parte di attori della comunità internazionale che, attraverso l’esercizio della potestà di difesa, garantiscono la pace per tutti………Il programma per l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 non è un’esibizione muscolare, ma risponde alla inderogabile esigenza di portare a compimento la revisione del nostro  strumento militare……l’azione della difesa è imprescindibilmente legata al ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie…( per cui si giustifica)   il mantenimento con il massimo dell’efficienza delle forze armate…. (dal momento che) in alcune circostanze vanno armate le ragioni della pace”.

Il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, in una nota pubblicata sul sito del Quirinale, in relazione a quanto dichiarato dalla mozione di maggioranza “a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione, senza che il parlamento si sia espresso nel merito…”, dichiara che “ La facoltà di sindacato delle commissioni parlamentari non può tradursi  in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Perciò toccherà solo al Governo decidere se acquistare a meno nuovi F-35.

Ma Gustavo Zagrebelski, tra gli altri, precisa  (sul “Fatto quotidiano” del 18 luglio 2013) che “la sua natura ( del Consiglio supremo di difesa, ndr) è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione….istituita  (appositamente)  dal presidente Cossiga… (dove) fu chiarito che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva”.  Dunque il Parlamento può decidere  sull’ “ulteriore acquisizione”.

Posizioni critiche

    Ci sono varie espressioni di critica:

>>   da parte di singole personalità, come Zagrebelski, il giornalista Gianandrea Gaiani, collaboratore di vari quotidiani, Furio Colombo del “Fatto quotidiano”, ecc…..ecc…

>>   appelli lanciati da gruppi di personalità e da associazioni come ad esempio:  Rete italiana per il disarmo con l’appello “Taglia le ali alle armi; l’appello sottoscritto da Ascanio Celestini, Don Ciotti, padre Alex Zanotelli, Umberto Veronesi, Roberto Saviano e altri; gli appelli di Altreconomia, dell’associazione Libera, dei Sindaci bresciani,….

Segnaliamo in particolare la petizione lanciata on line dal generale Fulvio Gagliardi con le motivazioni seguenti: lo scenario operativo per il quale è stato pensato questo velivolo non è più attuale; con gli F-35 si abbandona la costruzione di una Europa unita anche mediante programmi militari comuni e si rinuncia ad  avviare un programma europeo costruito su requisiti operativi aggiornati e condivisi.

>>   costituzione di comitati di lotta, in varie parti d’Italia, per l’abbandono e la fuoriuscita dal programma F-35

Ragioni del programma F-35

     >>  Abbiamo accennato sopra alle ricadute in termini occupazionali ed abbiamo visto che per l’Italia sono assolutamente minime, del tutto sproporzionate all’entità dell’investimento finanziario

     >>  Quali possono essere invece le ragioni di tipo militare e difensivo/offensivo? Val  la pena citare il contenuto di un articolo apparso su “Emergency” di giugno 2013 a firma di Paolo Busoni, che in sostanza dice:  nella storia dell’industria  militare americana, nuove armi – vere o false che fossero – sono sempre servite ad alimentare un continuo stato di tensione con il “nemico”. Ma chi è oggi il nemico?. L’ipotesi è che la strenua  difesa del programma  JSF da parte del vertice Nato, tenuto a  Lisbona  nel 2010, sia quella di far diventare la Nato una vera forza di intervento globale  “in opposizione – nemmeno tanto dissimulata – al BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Guardando a queste potenze, che stanno crescendo in termini militari con gli stessi ritmi che hanno in campo economico, sembrerebbe naturale pensare alla bomba atomica “ (visto che l’F-35 è un bombardiere con piena capacità nucleare, come si dice in altra parte dell’articolo). Questa magari non sarà  una possibilità praticabile  sul campo di battaglia “ma di sicuro lo è nel confronto diplomatico e nella deterrenza”.

La Costituzione

L’art. 11 della nostra Costituzione recita:

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Italia dunque ripudia perentoriamente la guerra  avente carattere offensivo o come mezzo di soluzione delle controversie internazionali; ma non rifiuta ogni  guerra, se si tengono presenti anche altri articoli (87,103,111) risulta chiaro che solo una guerra di tipo difensivo è ammessa.

Continua tuttavia ad essere discussa la seconda proposizione, perché c’è chi la interpreta come ammissione della possibilità, per l’Italia, di partecipare a guerre, oggi spesso definite come operazioni di polizia internazionale, deliberate da un organismo sovranazionale, per la difesa dei diritti umani o per il soccorso di popolazioni o minoranze i cui diritti sono calpestati. La discussione è tuttora aperta, ma a noi di Azione civile di Parma, sembra più coerente sostenere che questa parte dell’art.11 esiga innanzitutto l’impegno per  rafforzare gli organismi internazionali con le loro finalità (e strumenti adeguati) per mantenere e rafforzare la pace fra le nazioni ricorrendo   a vie negoziali e diplomatiche di risoluzione delle controversie. .

Se questo è il senso del dettato costituzionale, dovrebbe conseguirne l’indirizzo di ridurre al minimo la spesa militare e di semplificare la struttura della nostra Difesa. Ma la realtà è ben diversa

La Difesa in Italia:  struttura, programmi, sistemi, costi

Una inchiesta effettuata e pubblicata dalli “Espresso” del 9 maggio 2013,  sulla base di un documento ufficiale redatto durante il governo Monti, e uno studio di Fulvio Nibali (Archivio Disarmo) “La spesa militare italiana . Rapporto 2013”, ci offrono una panoramica aggiornata su programmi e spese della Difesa in Italia.

Bilancio

Nella Nota aggiuntiva al Bilancio della Difesa  dell’ottobre 2012  e nel Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015  viene presentato l’andamento previsto delle spese complessive (per il personale, costi d’esercizio: manutenzione, ricerca e sviluppo militari,… nuovi sistemi d’arma o di organizzazione degli apparati difensivi) della Difesa (esclusi i Carabinieri)  in ciascun anno dal 2011 al 2015, e precisamente:

2011   Totale 20.556,9  milioni di euro;   % sul PIL      1,311%

2012       “       19.962,1                                                      1,276%

2013       “       20.702,3                                                      1,308%

2014       “       20.306,2                                                      1,246%

2015       “       20.754,6                                                      1,235%

Nota: secondo il SIPRI di Stoccolma la spesa complessiva per la Difesa in Italia, nel 2012, è stata di 26 miliardi. Non siamo però in grado di effettuare il confronto delle cifre.

Il ministro Di Paola (governo Monti)  aveva preparato una riforma che i governi  successivi avrebbero il compito di concretizzare, con l’obiettivo di tagliare gli organici (in considerazione dello stato di crisi del Paese e nell’ottica della “spending review”)    entro il 2024 da 180 mila persone in uniforme a 150 mila: una trasformazione che dovrà avvenire mantenendo l’assunzione di uomini e donne validi per le operazioni con sistemi nuovi, quindi con la conseguenza di innovare l’intera organizzazione, ma mantenendo alto il livello di spesa per il personale, con particolare riferimento ad alcune sezioni:  a) gabinetto del ministro della Difesa: 300 persone con uno stipendio di 68 mila euro/anno; b)  struttura del Segretario generale della Difesa: 466 persone  con stipendi di circa 77 mila euro/anno;  c) struttura centrale dell’Esercito che mobilita 1507 militari con stipendi di circa 62 mila euro/anno.

Sempre Di Paola precisava che per “Difesa” si intende un’azione di protezione da una minaccia. Di quali minacce si tratta oggi, Di Paola lo specificava in un’audizione al Parlamento del 2012, nel modo seguente:

* terrorismo internazionale : ma Iraq e Afghanistan ci hanno mostrato quanto può essere controproducente l’intervento armato

* possibile proliferazione di armi di distruzione di massa e vettori balistici: ma qui il problema è operare per ridurre al massimo questi tipi d’arma

* minacce alla libertà di accesso alle risorse e al loro libero commercio: ma perché non dare la priorità alle trattative piuttosto che alle armi, tanto più che i Paesi più armati sono anche quelli che sfruttano maggiormente le risorse altrui

* minacce alla sicurezza cibernetica: e qui che c’entrano le armi?

Programmi militari (o con finalità prevalentemente militari) relativi all’acquisto di armi, sistemi d’arma, sistemi digitali  per gli anni 2012-2013 o a più lunga decorrenza

 

Satelliti spaziali

-  già in orbita: 2 satelliti, Sicral 1 e Sicral 1B per comunicazioni; 4 satelliti Cosmo Skymed per spionaggio. Costo totale 1.949 milioni di euro

-   in fase di acquisto: vari tipi di satelliti (alcuni in collaborazione con la Franca), per comunicazione, spionaggio e mappatura digitale del pianeta. Costi previsti: 1338,5 milioni di euro

>> alcuni di questi satelliti sono adibiti anche a servizi civili, ma il loro uso in questo senso finora è stato minimo

>> da segnalare il contratto con Israele fatto dal governo Berlusconi per un miliardo di euro, per acquistare due aerei radar e un satellite spia, l’OPSAT 3000, gioiello della tecnologia israeliana, più altre spese minori,

Cacciabombardieri:   90  F-35 per un costo preventivato di 13.180 milioni(ma si è visto sopra che saranno molti di più);  caccia Eurofighter prime 2 serie, con un costo previsto  di 12.318 milioni

Portaerei  Cavour:  1.319 milioni

Fregate Fremm (sei programmate, i militari ne chiedevano 10):  5.680 milioni

Elicotteri di vario tipo, sottomarini, ammodernamento caccia Tornado: per un costo complessivo di         8.568 milioni

Droni (aerei senza pilota):  nel maggio 2012 il Wall Street Journal ha rivelato che gli Stati Uniti hanno accettato di armare i droni Predator e Reaper dell’aeronautica militare italiana con missili Hellfire e bombe a guida satellitare Jdam. L’Italia, tra l’altro è stato il primo paese a comprare dall’America  dei Predator nel 2001   e dei Reaper  nel 2006 per un costo complessivo di 378 milioni di dollari

Forza NEC (Network Enabled Capabilities):  è il fiore all’occhiello dei programmi militari; risponde all’idea di trasformare tutto l’esercito in una rete interconnessa per via digitale: singoli soldati, camionette, carri armati, elicotteri, che si scambiano informazioni in tempo reale. Progettato da Di Paola, salvandolo dall’amputazione della spending review, il progetto è commissionato alla Selex Es, società di Finmeccanica, che in qualità di “prime contractor” lo gestirà in esclusiva, senza gare né confronto sui prezzi. Fino al 2031  tutto ciò che l’Esercito acquisterà, passerà attraverso il programma Forza Nec. Sembra che la motivazione dominante non sia quella di soddisfare le necessità militare (considerato anche che per portare avanti questo progetto si effettueranno tagli su mezzi rivelatasi molto utili – veicoli, autoblindo ed elicotteri – in varie aree), quanto di sovvenzionare la ricerca tecnologica delle aziende nostrane. Non a caso gran parte dei soldi saranno messi dal ministero dello Sviluppo economico. Costo complessivo previsto: 22.000 milioni di euro.

Tralasciando altri capitoli di spesa e altre voci minori (non riportate dall’inchiesta) si arriva  ad una spesa prevista per i sistemi d’arma , di spionaggio e Forza Nec di circa 63 miliardi di euro (67 se si tiene conto del  probabile costo finale degli F-35), certo spalmati nel corso di vari anni, ma questo non alleggerisce  l’enormità delle spese per armamenti.

Alla faccia dell’art.11 della Costituzione!

Export di armi: nell’ultimo quinquennio, in base a dati contenuti nelle Relazioni annuali dell’Unione Europea, l’Italia è risultato seconda nell’esportazione di armamenti (dietro la Francia) per un importo di 26,7 miliardi di euro

Rapporto armi – politica

Un tema importante è capire quale nesso ci sia tra produzione/vendita di armi e politica italiana.

Da un appello di Alex Zanotelli del 28 maggio 2013 ricaviamo alcune cruciali informazioni:

-  il 12 febbraio/2013 è stato arrestato G. Orsi, presidente di Finmeccanica, per la fornitura di 12 elicotteri  Agusta-Westland  all’India, del valore di 566 milioni di euro, con una supposta tangente di 51 milioni di euro. L’indagine è condotta dalla Procure di Napoli

- sempre da indagini della  Procura di Napoli emerge :  una presunta tangente di circa 550 milioni di euro (concordata, ma mai intascata) per la fornitura di fregate Fremm al Brasila, del valore di 5 miliardi di euro. Indagati: Claudio Scajola, ex ministro Interni, e il deputato Pdl M. Nicolucci;  tangente di 18 milioni di euro per la vendita a Panama di 6 elicotteri e altro materiale bellico, per complessivi 180 milioni di euro;  vendita di elicotteri all’Indonesia con supposta tangente compresa tra il 5 e il 10% del valore della fornitura.

Domanda:  qual è  la relazione tra armi e politica? Da quanto tempo e per quale ammontare si chiedono e si intascano tangenti ( e chi le intasca) per vendere micidiali strumenti di morte  a diversi Paesi nel mondo?

Lo stato del Paese

     Nel quadro di queste colossali spese per armamenti, per uso nostro o per vendite all’estero, vediamo come si presenta la situazione dell’Italia dal punto di vista dell’occupazione, della distribuzione dei redditi, dello stato dell’economia e dei servizi sociali.

Per limitarsi ad alcuni indicatori sintetici, tratti da Istat, Banca d’Italia, Centro Studi Confindustria, la situazione  si presenta così

- Nel primo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione è del 12,8% (+ 1,8% rispetto ad un anno fa), il più alto da 36 anni; la disoccupazione giovanile (15 – 24 anni) è del 41,9% rispetto al 35% di un anno prima. Inoltre si registra una persistente diminuzione dell’occupazione: – 0,9%  rispetto a marzo 2012. Il calo, molto forte su base trimestrale (- 1,8%) ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno, oltre la metà dei quali a tempo indeterminato (- 2,8% rispetto al primo trimestre dell’anno precedente)

- Una riduzione continua dei redditi da lavoro: secondo la Banca d’Italia nel 2011 si è registrato un calo del 1,5% rispetto all’anno precedente; nel 2012 un ulteriore calo del 1,9%; mentre l’Istat dichiarava che il livello dei redditi nel 2010 era pari a quello di 27 anni prima.

Le famiglie in condizione di povertà relativa sono arrivate al 12,7%, e quelle in povertà assoluta al 6,8%

- Secondo Confindustria  nel dicembre 2012 rispetto all’aprile 2008 si è registrato una distruzione del 15% dell’apparato produttivo e una diminuzione del 25% della produzione industriale.

Non disponiamo di dati precisi, ma è noto che in questi anni decine di migliaia di aziende (imprese industriali, artigianali, commerciali, negozi) hanno chiuso i battenti. Molte aziende hanno o stanno de -localizzando, molte hanno effettuato licenziamenti, centinaia di migliaia di lavoratori sono rimasti senza lavoro, e/o sono in cassa integrazione o in mobilità

- le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, negli ultimi dieci anni, sono notevolmente aumentate, tanto da arrivare nel 2010 a questa situazione: il 10% più ricco possedeva circa il 50% di tutta la ricchezza – immobiliare e finanziaria – del paese, mentre il 50% dei meno abbienti deteneva il 9,4% della ricchezza totale

-  assistiamo a un degrado continuo, ridimensionamento e privatizzazione dei servizi sociali, dalla scuola alla salute, all’assistenza, con disagi crescenti per gran parte della popolazione.

Le nostre proposte

      La situazione economica e sociale del nostro Paese è e resta grave, nonostante la chiusura del procedimento di penalizzazione europeo per debito eccessivo, che ha consentito di utilizzare un piccolo pacchetto di miliardi, e nonostante l’allentamento della legge di parità che consente ai comuni maggiori possibilità di spesa.

Riteniamo che ci siano alcune priorità assolute ( nel senso di importanza e urgenza temporale)da far valere:

  1. La tutela e la promozione del lavoro a tutti i livelli e per tutte le categorie sociali, con particolare riferimento ai giovani, crediamo debba essere  il compito primario del Governo e delle forze politiche, sindacali e sociali. Alcuni campi fondamentali in cui creare lavoro possono essere:

a)  la messa in sicurezza e a norma di tutti gli edifici pubblici a partire dalle scuole (riguardo a queste ultime risulta che il 29% non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42% quello di agibilità statica, il 47,81% non rispetta le norme antincendio)

b)  considerando le caratteristiche del nostro territorio e la frequenza di fenomeni come terremoti e inondazioni, proponiamo l’attuazione di un grande piano nazionale, articolato in base alle priorità territoriali, per il risanamento e il riassetto idrogeologico  del territorio, a partire dai bacini idrografici, e per la forestazione (ampliamento e manutenzione delle aree boschive)

c)   promozione  di un programma nazionale, articolato territorialmente, per l’efficientamento energetico degli edifici, a partire da quelli costruiti prima dell’attuazione delle leggi relative al risparmio energetico in edilizia

d)  stop a qualsiasi tipo di privatizzazione dei servizi sociali e stanziamento di cospicue risorse per quanto riguarda in particolare scuola, sanità e assistenza

e)  stimolare forme autentiche di cooperazione tra lavoratori  per attività destinate al mercato  o per attività affidate dal pubblico, prevedendo: sostegno pubblico per l’avvio dell’attività e forme agevolate di accesso al credito

2. Reperire le risorse necessarie attraverso:

a) un drastico taglio alle spese militari, sia quelle relative al personale, sia soprattutto quelle riguardanti i nuovi sistemi d’arma , di intelligence e di digitalizzazione dell’Esercito. Spese che sono totalmente incompatibili con il dettato costituzionale  che configura un Paese dedito essenzialmente alla pace , con tutti gli strumenti, le misure, le competenze necessarie per favorire la pace e per sostenere la risoluzione delle controversie internazionali per via negoziale

b) un progetto serio, con tutte le dotazioni necessarie di personale, strumenti e competenze per combattere l’evasione,  l’elusione fiscale,  e le innumerevoli forme di corruzione,  così da  poter recuperare ingenti risorse, da impiegare per il lavoro e per i bisogni sociali.

Questi rappresentano gli impegni di breve periodo, ma in una prospettiva più ampia e a più lungo termine, riteniamo necessario muoversi su scelte alternative. Per limitarsi ad alcune brevi tracce:

  1. Scegliere come paradigma di azione politica, la giustizia ambientale. Che significa: equità economica (più giusta distribuzione dei redditi); giustizia sociale (partecipazione diffusa al governo della cosa pubblica, promozione delle capacità individuali, individuazione dei beni comuni e loro gestione comunitaria, welfare pubblico ed equo); rapporto con la natura e con il vivente non umano per garantire un ambiente sano e la tutela degli equilibri ecologici, quali condizioni di riproducibilità della vita

2        In funzione della giustizia ambientale è necessario procedere  ad una profonda riconversione dell’attività economica nel senso di:  a) de materializzare le attività produttive attraverso la riduzione della domanda di consumi, accrescere la funzionalità e la durata dei beni e servizi prodotti;  b) indirizzarsi verso attività e produzioni compatibili con i cicli naturali;  c) decrescita economico-produttiva in funzione di nuovi parametri di benessere: qualità della vita, espressioni creative e culturali individuali e collettive, armonia con la natura e i suoi cicli

3    Democratizzazione politica ed economica, riaffermando radicalmente il diritto dei cittadini a partecipare al governo, ai vari livelli, con i necessari strumenti formativi, informativi, partecipativi; e affermando sul piano giuridico, gestionale, scientifico-culturale, attraverso la lotta e il contributo individuale e collettivo, il diritto dei lavoratori ad essere parte attiva e responsabile all’interno delle attività lavorative.

*di Bruno Abati - Azione Civile Parma

Tratto da: azionecivile.net

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