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azione-civile-culturadi Giulio Rodano* - 4 luglio 2013
Credo non sia sfuggita a nessuno, durante la recente presentazione del rapporto annuale di Federculture, la differenza dei toni nei discorsi del presidente di Federculture Roberto Grossi e dei Ministri Bray e Giovannini. Una denuncia appassionata della gravità della situazione e una richiesta vibrante e quasi disperata di interventi immediati nell’intervento del primo, una fin troppo pacata descrizione delle difficoltà e dei vincoli dell’azione del governo, nei secondi.
Eppure i dati sono chiari: dal 2008 sono stati persi 1,3 miliardi di finanziamenti pubblici per la cultura. Per tutto il patrimonio culturale si è passati da una disponibilità di 165 milioni a una di 75. La spesa per la cultura in Italia è pari allo 0,11 del Pil, in Grecia arriva allo 0,26.
Contemporaneamente anche comuni e regioni hanno perso risorse e possibilità di intervento, negate da una serie di leggi e decreti che hanno loro legato le mani.
Non penso che i ministri abbiano meno a cuore il patrimonio culturale italiano o siano meno convinti di Roberto Grossi dello stato pietoso delle nostre politiche culturali o della decisività degli investimenti in cultura per costruire un nuovo futuro al Paese.

Sono convinta però che i due ministri sappiano di non poter in realtà fare nulla di veramente utile. Pensano, e traspare dalle loro parole, di poter soltanto forse evitare danni ulteriori. Ma rimane, nei fatti, l’impressione che anche chi ci governa ora pensi, senza avere il coraggio di dircelo, che declino del nostro patrimonio culturale, spreco e dissipazione delle energie dei nostri giovani laureati siano inevitabili e non contrastabili. Le misure che il governo Letta sta assumendo a questo proposito ne sono la testimonianza più evidente.
Alla fine non si sfugge all’impressione che sulla cultura, sulla scuola, sull’università si stia facendo soltanto tanta retorica.
Ha ragione Roberto Grossi nell’invocare una strategia sulla cultura, nel chiedere di uscire dalla logica dell’emergenza e il ritorno a una logica di normale programmazione degli interventi, di normale manutenzione, nell’invocare un piano per l’occupazione intellettuale. Ma non ha avuto risposte. Si rimane alla utilizzazione dei soli finanziamenti europei (per loro stessa natura, straordinari), al blocco delle assunzioni, al taglio della spesa corrente, al ricorso (ancora una volta per loro natura, straordinarie) alle sponsorizzazioni, limitate ovviamente ai beni più famosi e “spendibili”, quelli in realtà per cui ce ne sarebbe meno bisogno.
Così ha fatto il governo Monti, così sembra accingersi a proseguire il governo Letta.
Purtroppo la cultura non è che un aspetto, il più emblematico e il più esplicito, per chi sa leggere la realtà senza i paraocchi delle ideologie liberiste, del fallimento drammatico delle politiche del rigore, della stupidità della spending review, della prospettiva di declino cui stanno portando il paese, culla della civiltà e della bellezza.
Addirittura, negli interventi sull’occupazione giovanile, pochi e con pochi soldi si è deciso di favorire i giovani senza diploma, quelli che imprese poco innovative considerano i più utili e certamente saranno i meno costosi.
Se l’intervento pubblico si riduce soltanto al sostegno alle imprese, attraverso l’alleggerimento delle tasse, la riduzione delle tutele e dei diritti dei lavoratori nelle aziende e delle comunità contro rischi di inquinamento e consumo del territorio, allora il petrolio italiano non verrà valorizzato e la cultura di questo paese morrà.
Altrimenti avremo quello che abbiamo ora: distruzione del patrimonio, desertificazione delle menti e delle coscienze, sterilizzazione della capacità di produrre cultura.
Muore la cultura e così uccidiamo sviluppo e futuro.

* Responsabile Istruzione Azione Civile

Tratto da: azionecivile.net

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