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di Nando dalla Chiesa
Il dibattito è già iniziato. Come far partire velocemente i grandi lavori pubblici keynesiani promessi in vista della fase 2 o della fase 3? Come mettere in moto i meccanismi della ripresa senza farsi bloccare da normative ossessionanti? Chi vuole (comprensibilmente) far presto spinge per una sorta di liberalizzazione. Chi vuole (comprensibilmente) tenere fuori le mafie dalla presunta pioggia di denaro pubblico spinge per non aprire i varchi. Ma è possibile uscire da questo dilemma?
Risposta: è possibile se si ha il coraggio di compiere alcune scelte elementari e radicali, che qui inizio ad accennare. La normativa sugli appalti è cresciuta a dismisura e la pubblica amministrazione soffre ovunque di elefantiasi procedurale perché si è inteso bloccare la corruzione e la presenza mafiosa nelle attività pubbliche affidandosi solo alla norma astratta. Che ovviamente non basta. E dunque inventando sempre più norme astratte. Con il risultato di produrre inefficienze micidiali, frustrazioni quotidiane e costi supplementari in tutto il sistema. Senza per questo riuscire a impedire l’infiltrazione delle imprese mafiose nelle “ricostruzioni” come nell’alta velocità, nelle opere autostradali come nella realizzazione di caserme e palazzi di giustizia. La questione è che le leggi sono state fatte per ovviare ai comportamenti dormienti o conniventi delle burocrazie. Meccanismi oggettivi, necessariamente sforniti di una capacità di lettura autonoma delle situazioni. Deresponsabilizzanti per l’impiegato che fronteggia i clan (“non è colpa mia, devo fare così…”) ma anche per i gaglioffi, sempre in grado di aggirarli e rivendicare il “rispetto della legalità”. Proviamo però a immaginare che il controllo delle imprese concorrenti agli appalti anziché essere del tutto e ossessivamente affidato alle norme venga affidato soprattutto alle persone. Che si combinino, parafrasando Bobbio, il governo delle leggi e il governo degli uomini. Che tali uomini (o donne) vengano scelti perché massimamente in grado di realizzare “lo spirito” delle leggi. Che si diano loro poteri di intervento, come sono stati dati - e con ottimi risultati - i poteri di interdittiva ai prefetti. Faccio dunque una proposta. Che per un certo periodo (proviamo per due anni?) si accentri il controllo sulle infiltrazioni mafiose nei lavori pubblici in tre strutture territoriali poste sotto la giurisdizione del ministro dell’Interno: Nord (Emilia compresa), Centro e Sud-Isole. Che queste strutture abbiano l’incarico di monitorare, vigilare, chiedere ispezioni e fissare criteri chiari di “dentro e fuori”. La dipendenza dal ministero dell’Interno ne farebbe strutture non invadenti, ma legittimate a perseguire a tempo pieno uno scopo comune, in raccordo diretto con tutti gli organi istituzionali, a partire dai prefetti. L’esperienza fatta a Milano per il sindaco Pisapia con il comitato antimafia di Expo 2015, fra l’altro con funzioni solo consultive, mi ha convinto che queste strutture dedicate non possono magari garantire l’assoluta impermeabilità ma possono cambiare del tutto il film immaginato dalle imprese mafiose, specie se agiscono in sintonia e rapporti di fiducia con il contesto istituzionale. La garanzia data dalla qualità delle persone, insomma, consente di alleggerire l’apparato normativo di controllo. Esistono queste persone nell’amministrazione italiana? Certo, e sono più numerose di quanto possa apparire. Il fatto è che vanno scelte espressamente per i meriti acquisiti sul campo contro la mafia, per la conoscenza che hanno del suo modus operandi e per la determinazione a contrastarla. Mentre spesso si scelgono per queste funzioni marpioni raccomandati politicamente, funzionari sfiatati che tirano fuori una provvidenziale foto con Falcone, personaggi che hanno operato “in zone difficili” (senza mai dire con quali risultati). Ho in mente nomi di uomini e donne che a Cosa Nostra e alla ‘ndrangheta hanno fatto letteralmente vedere i sorci verdi. Non li propongo qui per ragioni di scaramanzia. Ma la ministro Lamorgese, che è capace e ha esperienza, potrebbe senz’altro immaginarli e scegliere tra loro. Basterebbero poi alcune regolette. Niente appalti pubblici a nessun livello a chi ha la sede in un paradiso fiscale. Niente a chi ha amministratori strettamente imparentati con pregiudicati per specifici reati spia. Niente a chi non ha alcuna esperienza nel ramo. Niente a chi non ha capitali o manodopera. Niente a chi ha nel consiglio d’amministrazione presenze surreali, a partire dalla classica ottantenne con la quinta elementare.
Per il resto competenze, tenacia, intelligenza delle situazioni e ispezioni a sorpresa. Vuoi vedere che invece di piangerci addosso alternativamente per le lentezze burocratiche e per le mafie ci liberiamo (almeno un po’) delle une e delle altre?

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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