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di Alessio Di Florio - Intervista
Il 6 aprile è l’undicesimo anniversario del terremoto abruzzese. Abbiamo intervistato l’avvocato Wania Della Vigna per un punto della situazione su L’Aquila ma anche su quanto accaduto dopo il terremoto del centro Italia del 2016 e la valanga di Rigopiano del gennaio successivo

La notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 alle 3.32 in occasione del terremoto che sconvolse L’Aquila e l’Abruzzo, 309 persone rimasero uccise sotto il crollo degli edifici. In questo terribile momento può diventare difficile mantenere la memoria, non saranno possibili le cerimonie pubbliche come negli anni scorsi e i familiari delle vittime hanno proposto una commemorazione diversa e a cui può partecipare chiunque voglia unirsi ovunque si trovi, e l’angoscia attuale può soffocare tutto. L’avvocato Wania Della Vigna in questi anni sta assistendo i familiari di alcune delle vittime del terremoto aquilano così come del terremoto dell’agosto 2016 ad Amatrice e della valanga che travolse l’hotel Rigopiano durante la nevicata del gennaio successivo. L’abbiamo intervistata per ricostruire cosa è accaduto in questi anni, come l’emergenza sanitaria sta incidendo sui processi e sul filo rosso che può unire lutti di cui è responsabile - come ci ha detto nell’intervista - l’uomo e non una "natura matrigna".

Il 18 febbraio scorso Lei è stata tra gli auditi in Commissione Ambiente del Senato, in questi anni esclusi gli anniversari e poche altre occasioni (anche strumentali) non si sono mai accessi i veri riflettori sulle condizioni post terremoto 6 aprile 2009 e della giustizia per le vittime. Perché è stata importante l’audizione di quel giorno e quale situazione abbiamo sul fronte della giustizia?
Il 18 febbraio scorso sono stata audita perché sono stata in questi anni partecipe di grandi tragedie, puramente umane e non afferenti alla natura. E’ stato importante fare il punto della situazione per riportare davanti ad un organo istituzionale quanto è accaduto dal 6 aprile 2009 quando morirono 309 persone. Sono stata testimone oculare come cittadina, abitavo ad Arsita nell’entroterra teramano a ridosso della provincia aquilana e che si trova anche vicino a Rigopiano. Nel 2017 rimasi fino al 16 gennaio ad Arsita poi visti gli annunci della grande nevicata in atto me ne andai. Nell’audizione al Senato sono intervenuta sulla situazione del terremoto aquilano, di quello di Amatrice e del Centro Italia, ma non su Rigopiano perché in questo caso c’è già una legge ad hoc. Per le vittime dei due terremoti è stato chiesto un indennizzo come segno di attenzione e vicinanza da parte di uno Stato che è stato latitante. Prima del 6 aprile 2009 quando L’Aquila era sconvolta dallo sciame sismico nelle settimane in cui fu fortemente voluta la riunione della Commissione Grandi Rischi proprio a L’Aquila, su cui c’è stato un processo finito con la condanna passata in giudicato del vice capo della Protezione Civile De Bernardinis per aver eccessivamente rassicurato durante lo sciame e quindi convincendo persone a rimanere in casa. Così come lo Stato non si è preso cura delle vittime dopo il terremoto, come anche in occasione del terremoto di Amatrice, si parla ancora di ricostruzione degli edifici ma nessuno ha mai parlato di ricostruzione delle anime, dell’animo di coloro che si sono visti amputare gli affetti più cari, persone che si sono viste condannate a vivere senza più i propri cari. Oltre 300 persone sono morte in ognuno dei due terremoti.
Questi avvenimenti li ho vissuti non solo da cittadina ma anche da avvocato di parte civile, sono stata chiamata dopo il 6 aprile 2009 per seguire i ragazzi universitari ed anche coloro che abitavano nella Casa dello Studente. A L’Aquila sono morti 54 studenti universitari fuorisede. La Casa dello Studente da subito diventò uno dei simboli della tragedia di una città colpita nel cuore della sua vita culturale e anche economico rappresentato dagli studenti fuorisede. Un edificio simbolo per la mancanza della tutela dello Stato per le fasce più deboli, la Casa dello Studente è stata istituita in base all’articolo 34 della nostra Costituzione che afferma che gli studenti capaci e meritevoli e non hanno i mezzi economici hanno il diritto di conseguire i più alti gradi dello studio. Ho assistito sia le famiglie di ragazzi che non ci sono più tra cui Hussein Hamade e Davide Centofanti, sia di tutti gli studenti sopravvissuti che erano lì quella notte e hanno visto morire nella stessa stanza, nello stesso letto, nella camera accanto, morire i loro amici con i quali avevano stretto un rapporto fraterno. Erano belli i rapporti in quella casa che rappresentava l’unione di tanti mondi tante diversità, c’erano ragazzi che venivano varie parti d’Italia ma anche del mondo. Io stessa rappresento sia ragazzi italiani che ragazzi israeliani, uno dei ragazzo morti Hussein Hamade, lo chiamavano Michelone, un ragazzo musulmano che aveva stretto un’amicizia fraterna con tutti e soprattutto con un altro ragazzo sempre israeliano ma cattolico, sopravvissuto quella notte Hisnam Shahin. Questi ragazzi al di là di lingue, culture, religioni, tradizioni si consideravano fratelli; c’è un’ultima telefonata di quella notte tra Michelone e Hisham Shahin, dopo la seconda scossa erano in casa in quanto avevano ricevuto ampie rassicurazioni e Michelone chiama Hisham che aveva cambiato camera quella notte e chiedeva a Michelone di dormire nella sua stanza, Ma Michelone gli risponde "ma no, non siamo morti a Gerusalemme non siamo venuti a morire a L’Aquila". Furono purtroppo le ultime parole di Michelone a Hisham cui ha dedicato la sua laurea da odontoiatra. Michelone era uno studente di medicina della terra di Israele, e lui quella notte purtroppo non si salvò, come altri ragazzi della Casa dello Studente e che vivevano altrove.
Subito la Procura della Repubblica si mise in moto per ricostruire le responsabilità umane, per capire se la responsabilità poteva essere di una forza eccezionale della Natura o se era responsabilità dell’uomo, dando incarico ad un pool di tecnici in cui c’era uno studioso di terremoti. Le conclusioni furono importanti e formulati capi di imputazione che portarono a condanne in tutti e tre i gradi di giudizio, la Cassazione ha affermato che il terremoto del 6 aprile 2009 non è stato un evento eccezionale e che le vittime della Casa dello Studente sono vittime della responsabilità umana, della superficialità, della negligenza e di una condotta imperita e imprudente di alcuni professionisti. Ho ripreso tutto il lavoro della Procura e ho promosso causa contro la Regione Abruzzo, proprietaria dello stabile, e dell’Adsu (Azienda per il Diritto allo Studio Universitario) che la gestiva. Davanti al tribunale civile aquilano i due enti hanno chiamato in causa l’Università, il Ministero dell’Istruzione, l’Angelini che aveva fatto costruire l’edificio e i tecnici condannati in via definitiva nel processo penale. Nell’agosto 2018 ho ricevuto la sentenza che, per quanto di mia conoscenza la prima volta in assoluto, ha condannato un ente regionale, un ente pubblico - che dovrebbe essere molto vicino al cittadino - a risarcire civilmente per la morte di un ragazzo, sotto il crollo della casa dello studente. Ho promosso causa anche per altri ragazzi deceduti e per tutti i ragazzi sopravvissuti, successivamente c’è stata un’altra sentenza di condanna per una ragazza sopravvissuta affetta da sindrome post traumatica da stress e siamo in attesa di altre sentenze. La gravità è che un ente pubblico, la Regione Abruzzo, è stato riconosciuto da una sentenza responsabile civile della morte di un ragazzo sotto il crollo dell’edificio. Questa è una pagina molto difficile e poco edificante per lo Stato, accusato di non aver tenuto conto e tutelato lepersone in un edificio di cui era proprietario e custode. Una responsabilità della Regione di aver adibito un edificio all’inizio privato e appartenente alla ditta Angelini in un edificio pubblico, in una zona acclarata di alto rischio sismico, in una città distrutta in passato varie volte da terremoti. Ed in più anche l’Adsu aveva permesso lavori in quell’edificio che portarono ad un aumento dei carichi senza controllare la staticità e la resistenza sismica.

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Oltre al terremoto aquilano sta seguendo anche i processi per i crolli ad Amatrice dopo il terremoto del 2016, ci racconta cosa è accaduto e quali analogie ci sono con le precedenti vicende aquilane?
La storia, insegnava Gianbattista Vico, è fatta di corsi e di ricorsi ma mai nella mia vita mi sarei aspettata di essere ancora a contatto con tanto dolore il 24 agosto 2016 con una vicenda dai tratti simili con una storia che sembra ripetersi uguale, la storia delle vittime del terremoto di Amatrice e dell’Italia centrale. Un’altra storia in cui sono stata chiamata, rivivendo sotto un tendone la tragedia aquilana e quasi sentendo lo stesso odore e le stesse bruttissime sensazioni di morte. Sotto quel tendone ho conosciuto persone che avevano perso l’intera famiglia o famiglie completamente sterminate. Nelle due palazzine di piazza Sagnotti ad Amatrice sono morte 19 persone, tra le persone che rappresento c’è Claudio che ha perso la madre, il padre e la giovane sorella di 18 anni, un ragazzo che studiava al Conservatorio aquilano, Elisabetta e Giovanna, due sorelle che dormivano in quella casa, Elisabetta ha perso i genitori e il cognato e i nipoti e nel contempo Giovanna - una poliziotta - ha perso il marito, il padre, la madre e i giovani figli. Persone che hanno visto morire i congiunti con cui dormivano nello stesso letto, come la signora Liana che ha perso nello stesso momento nella casa di fronte anche la sorella e la giovane nipote. Potrei poi citare Massimo, un poliziotto, che ha scavato tra le macerie per cercare il fratello Paolo che quella notte ha perso la vita. Non si era imparato nulla, non c’era stato nessun insegnamento a capire che bisogna costruire meglio nelle zone sismiche.
Il vero problema non è il terremoto, le sentenze della Cassazione hanno acclarato che il sisma del 6 aprile 2009 a L’Aquila non fu un evento eccezionale ma atteso perché tipico dell’appennino e dell’Italia centrale quindi non è al terremoto che si possono addebitare i morti ma a condotte degli uomini, a costruzioni non realizzate come si dovrebbe rispettando le normative anti sismiche. Ad Amatrice mi sono ritrovata nelle stesse situazioni, un edificio realizzato con soldi pubblici dall’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) e poi passato all’Ater ed infine riscattato da privati. Anche qui il denaro pubblico non è stato speso per la tutela della vita umana e quindi ci sono morti che si potevano evitare. A marzo doveva esserci la sentenza, una delle prime del tribunale di Rieti, e poi doveva iniziare un altro processo per i morti di un altro edificio; ma tutto si è fermato per l’emergenza coronavirus. Dopo il terremoto del 24 agosto 2016 la Procura di Rieti ha aperto indagini focalizzando innanzitutto l’attenzione su alcuni edifici in cui ci sono morte tante persone. Il primo processo, che è già andato a dibattimento, è quello relativo ai crolli delle due palazzine di piazza Sagnotti, la piazza dove era presente anche la scuola. Le due palazzine dell’IACP furono abitate la prima volta nel 1977, per 7/8 anni senza avere le giuste autorizzazioni comprese quelle del Genio Civile e il certificato di agibilità comunale. Sul banco degli imputati siedono infatti un dirigente del Genio Civile, uno dell’Ater, un ex amministratore del comune di Amatrice, il progettista, il direttore dei lavori e la ditta realizzatrice. Una terza palazzina di piazza Sagnotti, costruita con l’INA casa, è rimasta danneggiata dopo il terremoto del 6 aprile 2009 e l’allora sindaco di Amatrice ordinò lo sgombero. Dopo alcuni lavori gli abitanti furono indotti a rientrare, nella notte del 24 agosto 2016 molte persone trovarono la morte in quella palazzina. Nel processo in corso, per quanto accaduto in questa palazzina, sono coinvolti il sindaco di Amatrice, un dirigente del Genio Civile insieme ad ingegnere e direttore dei lavori».

Quest’anno a L’Aquila sarà un anniversario diverso dagli altri per l’emergenza coronavirus, come sarà ricordato e come parteciperà?
Tutti gli anni nell’anniversario ho partecipato alle cerimonie in ricordo a L’Aquila, che ho sempre sentito come un dovere morale. Quest’anno la fiaccolata notturna non ci sarà e i familiari delle vittime l’hanno proposto un’iniziativa possibile ovunque ci troviamo e rimanendo assolutamente in casa: accendere un lume, una candela o anche solo il cellulare da finestre, balconi o giardini la mezzanotte tra il 5 e il 6 aprile, per ricordare non solo i morti di quella terribile notte ma anche tutte le vittime della pandemia coronavirus che stanno morendo lontano dai propri cari e senza il commiato funebre.

Sta seguendo anche i processi per la tragedia di Rigopiano che stanno avendo uno stop per l’emergenza dovuta al coronavirus. Una tragedia in cui, dopo una sottovalutazione iniziale, la risposta delle istituzioni non sembra apparsa all’altezza della situazione. A che punto siamo a livello giudiziario e può esserci questo confronto con l’emergenza di questi mesi?
Si dovrà celebrare un’udienza ad inizio luglio, saremo probabilmente tra giudici, avvocati e parti civili all’incirca 150 persone. Mi auguro si possa celebrare senza criticità, significherà che abbiamo superato l’incubo coronavirus, però sarà necessario valutare quanto succederà in queste settimane e probabilmente tenere conto del rischio di assembramenti.
Le previsioni del tempo già dal 6 gennaio - abitando ad Arsita, come accennavo prima, le seguivo costantemente - già anticipavano le possibilità di una abbondante nevicata. Il lunedì prima della tragedia me ne andai con la famiglia da Arsita, tornando da L’Aquila notammo che le strade già stavano diventando impraticabili e le previsioni indicavano la possibilità di una precipitazione nevosa nel mio paese di 3 metri e mezzo. Questa banale attenzione che ho avuto io da cittadino come è possibile che non l’hanno avuta i responsabili dell’incolumità e della sicurezza pubblica? Le indagini coinvolsero da subito vari livelli istituzionali, dal sindaco di Farindola alla Provincia (la strada era provinciale) di Pescara fino alla prefettura, e quindi il Ministero dell’Interno, e la Regione Abruzzo.Durante le indagini la Procura contestò un possibile depistaggio al prefetto, già coinvolto nel filone principale, e ad altri dirigenti della Prefettura per telefonate con richiesta di soccorso arrivate nella mattina e che sarebbero state fatte sparire. Questo filone potrebbe essere oggetto di un processo separato o essere accorpato al principale.

Tratto da: wordnews.it

Foto © Imagoeconomica

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