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di Gian Carlo Caselli
Dissentire con vigore è possibile ma a Milano comportamento decisamente inammissibile

Le chiassose proteste di vari avvocati in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario (in particolare a Napoli e Milano) evocano in automatico il motto latino “Est modus in rebus”. Ma non occorre scomodare Orazio per sapere che esistono limiti precisi al di là dei quali anche ciò che potrebbe apparire giusto tracima nel torto. Soprattutto in democrazia, dove si può sostenere tutto e il suo contrario, ci mancherebbe! Purché ci si mantenga nei confini che delimitano la compatibilità con le regole di convivenza istituzionale proprie di un sistema democratico.

Ora, sfilare in corteo, all’interno di un palazzo di giustizia (Napoli), facendo spuntare dalla toga, in favore di tv e fotografi, robuste e vistose manette, è comportamento che si può leggere come una caduta di stile: una modalità di manifestazione del pensiero che potrebbe persino evocare una pista circense, mentre si confà assai poco con un’aula di tribunale. Peggio ancora quando (Milano) si pretende di impedire che possa partecipare all’inaugurazione un magistrato - Piercamillo Davigo - del CSM, designato appositamente dal CSM a rappresentare l’istituzione CSM alla cerimonia. Perché in questo caso non solo si vorrebbe “imbavagliare” chi osa pensarla diversamente; si finisce anche - sostanzialmente - per non manifestare il rispetto dovuto a un organo di rilevanza costituzionale, posto a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, presieduto dal Capo dello Stato, qual è appunto il CSM. Dunque, un comportamento con profili decisamente inammissibili, ancorché gli avvocati in toga, abbandonando in massa l’aula mentre Davigo stava per prendere la parola, abbiano sventolato un foglio che riportava i numeri di tre articoli della Costituzione: quelli relativi al diritto alla difesa (24), alla presunzione di innocenza (27) e al giusto processo(11), cioè quelli di speciale e legittimo interesse per la classe forense.

Una forma di protesta, questa, in passato adottata anche dalla magistratura (esibendo per altro tutt’intera la Costituzione...), quando si trattò di resistere contro le leggi “ad personam” che stavano imbarbarendo il sistema, violando i principi fondamentali dell’ordinamento. Quando la definizione delle linee della politica legislativa (con evidenti ricadute su processi in corso) era demandata ai difensori - frattanto diventati parlamentari - del capo del governo Silvio Berlusconi, e di persone a questi collegate. Fino al punto che se un’eccezione presentata nell’aula di un tribunale veniva respinta, capitava che fosse trasformata in emendamento a questa o quella legge, e una volta approvato l’emendamento, l’eccezione respinta tornava in tribunale come legge; e se per caso si profilava un’interpretazione non gradita al potere, erano fulmini e saette governativi contro il malcapitato magistrato che pretendeva di fare il suo mestiere secondo coscienza.

Una situazione di grave e palese violazione della fondamentale regola di «buona fede legislativa»: violazione contro la quale gli avvocati di allora non ricordo che si siano mobilitati come oggi contro le opinioni di un “qualunque” Davigo. Del “dottor sottile” di Mani pulite, spesso chiamato dai media ad intervenire sui problemi della giustizia e del processo, da ultimo il tema della prescrizione, tutti conoscono il linguaggio non felpato, mai in “giuridichese”, spesso articolato con evidenti paradossi per rendersi più comprensibile. Perciò un linguaggio chiaro e netto, temuto da chi preferisce le cortine fumogene, con posizioni tecniche sempre argomentate anche se graffianti. Dissentirne anche con vigore è ben possibile. Ma alcuni avvocati sono andati certamente oltre.

Per chiudere, due parole sul “casus belli“ della prescrizione. È un dato di fatto che i processi, più son lunghi più avvantaggiano chi può e conta, cioè i “galantuomini” a prescindere (considerati comunque tali per reddito o estrazione sociale), che possono avvalersi di avvocati agguerriti e costosi, capaci - nel rispetto delle procedure - di arrivare alla prescrizione che tutto inghiotte e cancella. Un’impunità diffusa che non si verifica nei processi relativi ai comuni cittadini. Con una evidente disparità di trattamento che deve essere il punto di partenza per ogni serio dibattito sulla prescrizione: richiamando prima di ogni altro l’articolo 3 della Costituzione; e ricordando che la patologia della vergognosa durata dei processi non si corregge di sicuro con un’altra patologia, qual è appunto la prescrizione senza interruzioni.
(2 febbraio 2020)

Tratto da: huffingtonpost.it

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