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di Giuliano Lodato
"Ma Strasburgo cosa ne sa della mafia?[...] Come fa un soggetto del genere a rieducarsi? Uno che ha ammazzato Falcone, Borsellino, bambini, Firenze, Milano si è rieducato?”.
Le parole del pentito Pasquale Di Filippo si uniscono a quelle di Di Matteo, Caselli, Ardita, Gratteri ed altri. E allora perché, mi chiedo, in questo Paese non si inizia ad ascoltare chi le cose le sa e chi gli argomenti li conosce? Perché si da del visionario a uno e del fanfarone all'altro? Perché chi non sa, invece di parlare, non sta zitto, braccia conserte, ad ascoltare?
Possono sembrare affermazioni semplicistiche ai giuristi e agli studenti di giurisprudenza, me ne rendo conto. Ma la mafia è un'altra cosa. Non si studia nei libri. La mafia non si impara nei codici. La mafia si impara quando si ascoltano le intercettazioni. Quando si indaga. E come per incanto parole come rieducazione, redenzione e reinserimento del detenuto svaniscono, evaporano. E rimangono un miraggio.
Sì, perché pensare che gli stessi personaggi che hanno ingaggiato una guerra contro lo Stato a suon di esplosivi, magicamente, si redimano è, quantomeno, fantasioso.
Non impossibile, improbabile.
E non c'è bisogno di essere mafiologi, psicologi o, come qualcuno vorrebbe far credere, complottisti e sognatori.
Basta essere siciliani. E avere a cuore, almeno un po', chi ha perso la vita combattendo da una parte specifica della barricata: quella della legalità.

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