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di Marco Travaglio
Ha ragione Padellaro, qui sotto: l’altroieri, all’annuncio-ricatto dei padroni delle ferriere di Arcelor Mittal, il governo avrebbe dovuto inviare suoi uomini nei tg e nei talk a spiegare le cose come stanno e a contrastare con i fatti la propaganda dei due Mattei e delle loro penne da riporto. Ma il problema vero, come sempre, è l’“informazione”, che ancora una volta è riuscita a superare se stessa. Chi non sa a chi e a cosa servono i giornaloni, penserà a un esercito di creduloni che si bevono tutti quanti la favoletta dei poveri imprenditori indo-francesi traditi dal governo cattivo che vuole mandarli in galera per le colpe dei predecessori. Chi invece conosce il mondo editoriale e chi c’è dietro sa bene la verità (confermata ieri dalla stessa Mittal): dal 2012, quando i giudici sequestrarono l’Ilva come arma del delitto usata da (im)prenditori-serial killer per fare strage di operai e residenti in cambio di profitti da favola, c’è uno scontro all’ultimo sangue (degli innocenti) fra chi vuol produrre e guadagnare in spregio al Codice penale e al diritto alla salute e alla vita tutelati dalla Costituzione, e chi tenta di riportare la legalità nuel Far West chiamato Taranto.
Da allora si sono succeduti sei governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2). I primi quattro hanno varato la bellezza di 11 decreti salva-Ilva che in realtà salvavano prima i Riva, poi i commissari governativi, infine i compratori indo-francesi sempre elogiati da Calenda (contro una cordata italiana molto migliore), con vari scudi impunitari (alcuni bocciati dalla Corte europea). Il governo giallo-verde levò l’immunità a Mittal, salvo poi ripristinarla parziale e graduale sotto il solito ricatto “O ce la ridate o ce ne andiamo”. Infine, in Senato, la maggioranza giallo-rosa, su proposta M5S ma col voto decisivo di Pd, LeU e renziani, ha finalmente posto fine a quello scempio giuridico, stabilendo che anche Mittal, gestendo una fabbrica italiana, è sottoposto alla Costituzione e al Codice penale italiani. E quei signori, che avevano rilevato l’Ilva con un contratto senz’alcuna immunità e promesso 1,15 miliardi di investimenti per il risanamento ambientale, salvo poi licenziare l’ad che aveva osato impegnarsi, hanno testualmente dichiarato: “L’eliminazione della protezione legale e i provvedimenti del Tribunale di Taranto rendono impossibile eseguire il contratto”. Primo caso al mondo di un gruppo imprenditoriale che pretende di operare violando le leggi del Paese che lo ospita, con un salvacondotto che gli conferisca licenza di inquinare e uccidere impensabile perfino nel terzo o quarto mondo.
Ora Renzi e il Pd, che l’avevano appena giustamente cancellato, vorrebbero ripristinarlo per “togliere l’alibi a Mittal”. Cioè ANCHE SE sanno già che Mittal racconta balle, perché aveva già deciso tutto a tavolino, essendo interessato non a rilevare e rilanciare l’Ilva, ma soltanto a tenerla ferma, ridimensionarla e poi chiuderla, evitando che cadesse in mano a concorrenti che avrebbero potuto disturbare il suo monopolio sulle acciaierie del resto d’Europa. Ma, anziché trarne le conseguenze e fare fronte comune per inchiodare questi signori ai loro impegni e smascherare la loro propaganda, Pd e Renzi si associano ai ballisti del centrodestra e dei giornaloni che fingono di credere alla leggenda della fuga per lo scudo scomparso. E danno la colpa indovinate a chi? Ma naturalmente ai 5Stelle, che dopo vari tentennamenti hanno finalmente riportato Taranto in Italia e nella legalità. Resta da capire che fine abbiano fatto i “sovranisti”, quelli che “prima gli italiani”. Questa storia sarebbe perfetta per la loro narrazione: un gruppo mezzo indiano mezzo francese pretende di violare impunemente le nostre leggi col permesso dello Stato, cioè di fare ciò che non sarebbe consentito loro né in India, né in Francia, né in nessun altro angolo del mondo civilizzato. E lo dice pure, anzi lo mette per iscritto, incolpando il Parlamento e la magistratura italiani di intralciare i suoi propositi illegali (solo chi intende delinquere chiede il permesso di farlo, anche perché l’idea che qualcuno, in uno Stato di diritto, rischi di finire indagato per delitti commessi da chi c’era prima non ha alcun senso: la responsabilità è personale).
Un sovranista degno di questo nome risponderebbe: provate a fare nei vostri Paesi ciò che vorreste fare nel nostro. Ma qui casca l’asino: i nostri sovranisti se la prendono col governo italiano, dando ragione al gruppo straniero che tratta l’Italia come una colonia da spolpare e avvelenare. E i giornali, naturalmente, dietro. Tutti: di destra, di centro e di sinistra. Repubblica parla di “attacchi tardivi del Pd alla linea dura imposta dal M5S” e chiama “colpevoli” non quelli che pretendono la licenza di uccidere, ma quelli che gliel’hanno levata. Il Messaggero fa anche meglio: addita al pubblico ludibrio i “quattro populismi” che avrebbero offeso il sacro cuore di Mittal: “Grillini, dem, Cgil e toghe”. Sul Corriere, il solito Fu(r)bini dice che “la politica industriale ha perso la bussola”, come se la politica industriale fosse garantire a una multinazionale l’impunità su omicidi e inquinamenti. Il Sole 24 Ore boccia il no allo scudo penale come “demagogia”. Per La Stampa, è colpa delle “politiche ambientali” del governo. Per il Foglio, dell’“ambientalismo ideologico”, del “giustizialismo chiodato” e della “decrescita infelice”. Poi c’è il trio Giornale-Verità-Libero, con i titoli-fotocopia “L’Ilva chiude per colpa di M5S e Pd”, “Capolavoro giallorosso”, “L’Ilva assassinata dalla scempiaggine M5S”. E le colpe di Arcelor Mittal e di chi gli ha gentilmente offerto l’Ilva? Non pervenute. Bei tempi quando i Riva si compravano i giornalisti. Oggi vengono via gratis.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 6 Novembre

Foto © Imagoeconomica

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