Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Luciano Armeli Iapichino
Ci risiamo. Nel Paese dei misteri, delle stragi con le verità depistate, degli attentati, dei mascariamenti, dei pentiti e dei servitori dello Stato veri e presunti, dell’antimafia vera o presunta, dei giornalisti super partes veri o presunti, degli uomini di chiesa veri o presunti, a fare chiarezza (vera o presunta) sulle vicende più o meno inquietanti, sopraggiungono poi le Commissioni antimafia. Ne cito una fra tutte: quella parlamentare sul caso dell’urologo originario di Barcellona Pozzo di Gotto Attilio Manca, relatrice on. Rosy Bindi approvata nella seduta del 21 febbraio 2018. Nelle conclusioni della stessa si legge: “Dall’esame degli atti finora disponibili, deve concludersi che, allo stato, non si evidenziano elementi sufficienti per ribaltare le risultanze raggiunte sino a oggi dall’autorità giudiziaria”. Attilio Manca si è inoculato il mix letale. Punto!
Però la relazione continua: “Deve tuttavia segnalarsi che le indagini svolte dalla procura della Repubblica di Viterbo, pur addivenendo a una ricostruzione aderente alle complesse risultanze investigative, furono svolte in maniera superficiale […]. Allo stesso modo, la consulenza del medico legale, che, sin dall’inizio avrebbe dovuto essere dirimente, è stata caratterizzata da gravi lacune e superficialità […]. Come dire: nulla di serio è stato verificato sulla morte del povero urologo, quindi è un drogato. A tal proposito, caro on. Fava, si ricordi delle sue esternazioni sulle indagini sul caso Manca… Immagino di si, anche Attilio le ricorda, eppure è rimasto un drogato.
Giustizia negata! L’intelligenza della nazione offesa. Sonni tranquilli per qualcuno. E i suoi?
Oggi ho passato il tempo a leggere le 105 pagine della relazione conclusiva inerente all’inchiesta sull’attentato al Dott. Giuseppe Antoci della Commissione Parlamentare d’Inchiesta e Vigilanza su Fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia. Relatore on. Claudio Fava.
Le dirò francamente le mie impressioni in poche righe.
Spulciando l’elenco dei soggetti escussi nel corso delle 19 audizioni, la lista dei nominativi è sembrata abbastanza completa da poter giungere, comunque, a una qualche conclusione. Forse si sarebbero potuto audire i medici legali incaricati dalle procure di Messina e Patti che hanno eseguito gli esami autoptici sui poliziotti Calogero Emilio Todaro e Tiziano Granata. Ma comprendo che questa storia merita un approfondimento separato e indiscutibilmente ancora necessario.
Senza girare attorno alla quaestio e restando, per carità, sui terreni dell’opinabilità, la relazione è apparsa sbilanciata, dai toni in certi passaggi “guidati” e pretenziosi, mercanteggiante.
Procediamo con ordine:

Sbilanciata
Si è chiesto, on. Claudio Fava, se i soggetti coinvolti (o alcuni di essi) fossero a vario livello l’un contro l’altro armati di rancore, pregiudizio, (e perché no, sete di vendetta)? E se così fosse, quale parte far prevalere o è prevalsa? Quale delle ricostruzioni opposte? La documentazione acquisita dalla Sua commissione, ricca e precisa, ha tenuto conto (dalla lettura della relazione parrebbe di no) di tutti gli allegati depositati dal dott. Antoci in sede di audizione del 24 luglio 2019 e in particolare: Sentenza corte di Cassazione su Foti Belligambi Giuseppe, Stralcio intercettazioni ambientali su Foti Belligambi Giuseppe, Sentenza Tribunale su Ceraolo Mario Spurio e altri, Stralcio intercettazione ambientale di Karra Nicola - Calà Campana, Dichiarazione del Capo della Polizia Prefetto Gabrielli? L’impressione è che si dovesse acclarare un pregiudizio già maturo in embrione anziché indagare, in nome di quel benedetto amore di verità tanto decantato, un fatto che risulta ancora monco in una sua parte.
E come se nell’inchiesta trovasse più spazio e “autorevolezza” qualche soggetto a svantaggio di qualche altro, squilibrando la bilancia dell’oggettività. Ma sono sempre opinioni, le nostre.

antoci giuseppe bianco nero

Passaggi “guidati” e pretenziosi
Nella ricostruzione della vicenda si ha l’impressione (e questo pare un clamoroso limite metodologico), in alcuni punti, che autorevoli magistrati e questori siano messi in minoranza valoriale dalle argomentazioni di soggetti altri la cui tesi, di contro, appare centrale, sacrosanta, inequivocabile e sulla quale si è baricentrato pretenziosamente tutto il filo conduttore della commissione. Uno tra tutti, l’ex commissario di Polizia di Barcellona Pozzo di Gotto dott. Mario Ceraolo Spurio, che pare protagonista principale dell’impianto narrante quasi più delle vittime. Inoltre, pare altresì, secondo la ricostruzione che i protagonisti dell’agguato avessero attivato comportamenti, procedure e iniziative anomale, tecnicamente errate, ma agendo in situazione di estrema calma, disattivando, di contro, le potenti cariche psicologiche dovute invece a un dramma in corso.
In qualche passaggio si evince che i Procuratori siano meno credibili dei marescialli di stazione; in altri appare senza alcun dubbio trasparire che la delicatezza e la riservatezza dei questori, nel palesare alla Commissione la gestione di dinamiche tanto delicatissime quanto interne in seno alla Polizia di Stato, fossero bollate, di contro, come sollecitazioni incomplete o incomprensibili.
Domanda: c’è un manuale per gestire da parte di un questore quella che all’interno di una forza dell’ordine si è palesata, a un certo punto, come una vera e propria polveriera? E ci riferiamo all’attrito ormai noto Manganaro/Ceraolo. Forse quello del buon senso. Forse …
Ci sono dei passaggi che la commissione pare cristallizzare e che in realtà si palesano come vere e proprie forzature:
procuratori integerrimi come Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, che sembrano essere smentiti in alcuni passaggi dall’ex Commissario Mario Ceraolo sulla questione di un eventuale incarico informale conferito a quest’ultimo dal già procuratore Lo Forte e relativo a un suo necessario approfondimento della vicenda. Secondo Cavallo non risulta assolutamente e non è stile di alcuna procura dare incarichi informali. Indirettamente su questo passaggio pare essere smentito anche Di Giorgio. Anche perché il caso non rientrava nelle strette competenze del Ceraolo.
E ancora: Ceraolo avrebbe riferito in Commissione che i Dott. Cavallo e Di Giorgio gli chiedevano continuamente quale fosse il suo parere, quale potesse essere la ricostruzione del fatto.
Falso! Assolutamente falso … io assolutamente non ho mai chiesto alcun consiglio al dott. Ceraolo né tantomeno Di Giorgio”. (Procuratore Cavallo).
La commissione pare smentire anche il decreto di archiviazione sull’attentato da parte GIP, il quale classifica l’attentato come mafioso e con il deliberato scopo di uccidere. Ma è possibile, ci si chiede, On. Fava che 4 magistrati della Distrettuale Antimafia di Messina, il Gip di Messina, la squadra mobile di Messina, i Ros di Messina, la DIA di Messina, la Polizia scientifica di Roma, abbiano tutti espletato indagini in maniera erronea? In base alle evidenze del decreto di archiviazione sembra opportuno evidenziare che le indagini siano state condotte con precisione e senza lasciare nulla al caso.
Ecco i passaggi fondanti del decreto del Tribunale di Messina del 25 luglio 2018 e della DDA del 3 maggio 2018:

1) "Innegabile che tale gravissimo attentato è stato commesso con tipiche modalità mafiose con la complicità di ulteriori soggetti che si erano occupati di monitorare tutti gli spostamenti dell'Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò" ( pag. 3/8 decreto primo capoverso);

2) Si tratta di un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere" (pag. 3/8 decreto primo capoverso);

3) "Tale azione delittuosa induce a collegare tale attentato alle penetranti azioni di controllo e di repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale da tempo avviate da Antoci" (pag. 3/8 decreto secondo capoverso).

4) "Pervenivano a questo ufficio plurimi esposti anonimi che da quanto emergeva dalle indagini svolte apparivano calunniosi". (pag. 95 richiesta archiviazione DDA Messina)

6) Attentato ricostruito con tecnica innovativa utilizzata per la prima volta in Italia e che ha anche studiato quello di via d'Amelio. Per l'attentato ad Antoci la Polizia Scientifica di Roma e per la Magistratura dichiara l'assoluta corrispondenza di quanto dichiarato e quanto minuziosamente verificato nelle ricostruzioni e dunque "collimante con le circostanze descritte dai soggetti coinvolti nei fatti" (pag. 14 richiesta archiviazione DDA Messina).

Mercanteggiante
L’idea di mettere sul piatto tre tesi da “offrire” a un’opinione pubblica sempre più disorientata su questa vicenda e in tempi di antimafia sempre meno credibile (vedasi caso Montante, non ultimo, ma senza correlazione con Giuseppe Antoci, almeno su questo che ci sia buona pace dei sensi di qualcuno), un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione, ricorda molto un modus agendi tipico del mercato.
Sul Golgota a portare la croce per essere crocifisso il vice questore aggiunto Daniele Manganaro. Eppure, a titolo di cronaca, il dottore durante gli anni della gestione al Commissariato di Sant’Agata di Militello, definito da qualcuno una sezione staccata del PD, qualcosa di veramente significativo ha concretizzato. Ha scoperchiato la pentola di certi colletti bianchi in affare con i clan dediti a reati quali abigeato, macellazione clandestina e truffe AGEA. Quest’ultime hanno portato nelle casse delle consorterie mafiose svariati milioni di euro.
Tra tutte, ricordiamo l’operazione Gamma Interferon. Ma questa è un’altra storia.
A questo punto, sarebbe proficuo per la Commissione presieduta dall’On. Claudio Fava, indagare, tra le altre cose, e relazionare sulla mattanza impunita perpetrata sui Nebrodi negli ultimi trent’anni: decine di omicidi irrisolti, indagini allo stato embrionale e killer a piede libero.
Dott. Fava, queste le considerazioni di uno sconosciuto alla lettura della “sua” relazione.

Qualcuno che non c’è più qualche tempo fa disse: “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare”. Si chiamava Pippo Fava. Vede c’è una Sicilia che continua a lottare contro le forze oscure che si annidano all’interno delle Istituzioni e che contaminano nelle loro guerre giornalisti, politici e società, in buona fede. Rispettiamo la Sua relazione ma in parte non la condividiamo. Per farci perdonare le consigliamo un libro: Laureato in onestà.
Scritto a quattro mani dalla giornalista Graziarosa Villani e dal luogotenente Francesco Leonardis, "Laureato in onestà" racconta la storia vera di un carabiniere di razza in prima linea contro mafia, corruzione e magistratura deviata”. Lo legga. E forse capirà …

ARTICOLI CORRELATI

Caso Antoci, per Commissione antimafia Ars ''ipotesi attentato mafioso meno plausibile''