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di Liana Milella
Invece di diventare una casa di vetro il Csm si ostina a trasformarsi in una bottiglia affumicata. Non si sa bene per nascondere cosa. L’ultima succede sul caso Di Matteo, l’ex pm del processo trattativa Stato-mafia, oggi alla Procura nazionale antimafia, estromesso dal capo dell’ufficio Federico Cafiero De Raho dal pool sui mandanti delle stragi perché avrebbe rivelato particolari segreti in un’intervista. Nino Di Matteo, che ritiene la sua esclusione ingiusta, si è rivolto al Csm. Di cui peraltro aspira a far parte, avendo già confermato la sua candidatura con la lista di Davigo alle prossime elezioni suppletive di ottobre per due posti di pm. La settima commissione, che deve dirimere la controversia, decide l’audizione dei due contendenti e segreta tutto. Proprio in un caso in cui invece tutti dovrebbero avere interesse a sapere perché Cafiero ha escluso Di Matteo, e quindi se il suo passo è giusto, oppure ingiustamente punitivo nei confronti dell’ex pm. Un fatto è certo: Di Matteo, la cui notorietà è fuori discussione per il suo lavoro a Palermo sulla mafia, non ha fortuna coi suoi capi. È successo con il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, che lo caricava di lavoro ordinario. Ora succede con Cafiero. Non si tratterà, per caso, di gelosia professionale? Comunque, dopo il caso Palamara, il Csm dovrebbe decidersi ad aprire le porte, anziché a chiuderle.

Tratto da: milella.blogautore.repubblica.it

Foto © Imagoeconomica

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