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di Massimo Rebotti
Come si finanzia il primo partito italiano (secondo i sondaggi)? E, soprattutto, come lo fa sotto la spada di Damocle dei famosi 49 milioni sequestrati dalla magistratura? Il libro nero della Lega muove da qui, rivendicando il diritto democratico dei cittadini di conoscere nei dettagli come funziona la nuova Lega di Matteo Salvini, protagonista, in pochi anni, di una vertiginosa ascesa: fondi, alleanze internazionali, «riciclati» al Sud. Giovanni Tizian e Stefano Vergine, che già per l’Espresso hanno realizzato una serie di inchieste sul tema, nel libro precisano il filo conduttore: la vecchia Lega nordista di Bossi e la nuova Lega nazionalista di Salvini, anche se la prospettiva politica si è ribaltata, restano indissolubilmente legate. Il nodo che le unisce sono appunto quei 49 milioni, il «tesoro padano» frutto della truffa (confermata in appello) sui rimborsi elettorali operata dall’allora tesoriere Francesco Belsito.

Il cuore dell’inchiesta è qui: dimostrare che le parole dell’attuale leader su quell’indagine partita nel 2012 — «un processo politico su fatti di dieci anni fa, su soldi che non ho mai visto» — non corrispondono a verità. Un po’ perché, si sostiene, anche Salvini, diventato segretario alla fine del 2013, ne ha utilizzati una parte, un po’ perché il «Capitano» non ha fornito, né richiesto ai suoi predecessori, spiegazioni su dove sia finito il resto. Per inseguire la pista dei soldi, il libro si serve di un’ampia appendice di documenti, tra carte della magistratura, conti correnti e bilanci che, secondo gli autori, spiegano il motivo per cui l’ombra dei milioni «spariti» dovrebbe continuare a pesare anche su Salvini.

L’inchiesta non si occupa solo del passato. Il racconto degli «uomini nuovi» del Carroccio segue due filoni. C’è il cerchio più stretto (e noto) del ministro dell’Interno: il tandem Luca Morisi-Andrea Paganella, artefice dell’enorme successo social del leader; il «russo» Gianluca Savoini, plenipotenziario delle relazioni con Mosca; il tesoriere Giulio Centemero, a capo, raccontano gli autori, di un team di commercialisti defilato ma cruciale, che ha il compito di mettere in sicurezza, sparpagliandole, le finanze del partito; e «mister flat tax» Armando Siri, curatore dei rapporti con i grandi gruppi economici. C’è poi un filone meno noto, quello dei «riciclati» del Sud: ex dc ed ex missini, alcuni con inchieste per voto di scambio sulle spalle, centrali nella crescita del consenso leghista in luoghi prima impensabili, da Catania a Gioia Tauro.

Infine, la Russia. Il libro definisce le caratteristiche di un legame solidissimo: che è politico — Putin visto come bastione della tradizione contro l’Europa «meticcia» di Bruxelles — ma anche economico, con la battaglia per cancellare le sanzioni dell’Unione Europea. E racconta, in particolare, un episodio: un incontro, nell’ottobre scorso all’hotel Metropol di Mosca, in cui Salvini avrebbe trattato un finanziamento da tre milioni di euro alla Lega da parte di ambienti del Cremlino per le prossime Europee. «Da Mosca non è arrivato e non arriverà nulla» ha risposto il leader.

Tratto da: Il Corriere della Sera del 12 marzo 2019