Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

daphne veglia 16ott2018 c reutersdi Carlo Bonini
A un anno dall'assassinio della giornalista, una marea umana la ricorda. E tiene alta la pressione sul governo Muscat, accusato di non aver fatto abbastanza per scoprire le trame dietro al delitto

VALLETTA (Isola di Malta). Quando è ormai buio e, alle otto della sera, "Republic street", l'arteria che taglia la città vecchia, non riesce più a contenere gli almeno 5mila che hanno raccolto l'appello di "Occupy Justice" e che, in silenzio, con candele e cartelli chiedono "Giustizia e Verità" per l'omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, si compie emotivamente quello che nessun Governo di nessun Paese al mondo dovrebbe mai dimenticare. Che la memoria, di cui la richiesta di giustizia e verità sono in fondo figlie, non può essere cancellata. E che quando questo accade, le persone libere alzano la testa. Con più forza, con più coraggio, e con numeri che in un'isola poco più grande dell'Elba, nessuno avrebbe immaginato alla vigilia. A maggior ragione, se l'affronto alla memoria si è consumato per dodici lunghissimi mesi, recintando il luogo - il monumento che ricorda il Grande Assedio dell'isola da parte degli Ottomani - che, esattamente un anno fa, il 16 ottobre 2016, era stato battezzato come memoriale spontaneo di un Paese che aveva visto la più libera delle sue voci spezzata da un autobomba.

Per dodici mesi, intorno a quei pochi metri quadri di asfalto si è combattuta una battaglia feroce. Con il Governo laburista di Joseph Muscat impegnato a far rimuovere notte tempo fiori e candele che ricordavano Daphne per ragioni di "decoro urbano" e decine, centinaia di attivisti, pronti a ripristinarlo nello spazio di un mattino. Una battaglia per la memoria, in cui la forma è diventata simbolo e insieme sostanza. Dando la misura della posta in palio. E così, ora, su un palco montato in corrispondenza del monumento (fasciato nel suo basamento dai custodi del decoro urbano da un telone verde), con un'immagine di Daphne a fare da sfondo a un sipario immaginario la cui quinta è uno schermo che, su fondo nero, tiene fisso il numero "365" (i giorni di un anno trascorso senza uno straccio di verità giudiziaria sui mandanti dell'omicidio), prendono il microfono le voci libere di Malta e quelle di organizzazioni non governative internazionali arrivate sull'isola per aumentare la pressione sul Governo di Muscat e sottolinearne il suo isolamento in Europa. Parlano, tra gli altri, Pauline Adés-Mevel, di Reporter Sans Frontières, Courtney Radish, del Committee to Protect Journalists, Flutura Kusari, del European Centre for Press and the Media Freedom, Scott Griffen, dell'International Press Institute, come anche il coraggioso Manuel Delia, uno dei blogger che con Caroline Muscat di Shift News, ha raccolto il testimone di Daphne e il suo lavoro di inchiesta. E ad ascoltarli, nella folla che nel pomeriggio, prima del corteo silenzioso che avrebbe percorso Republic Street, si era radunata prima sul luogo dell'omicidio a Bidnja e quindi nella chiesa di san Francesco per una messa di ricordo, sono, insieme alla famiglia di Daphne, ai suoi genitori, a suo marito, ai sui figli, alle sorelle, anche alcuni dei parlamentari dell'opposizione nazionalista: Simon Busuttil, Jason Azzopardi, l'europarlamentare David Casa, che pagando un prezzo politico enorme, in termini di isolamento, non hanno rinunciato a tenere viva la battaglia per la verità nel Parlamento maltese (i cui lavori sono stati oggi sospesi in segno di ricordo) e in quello europeo.

Le parole che arrivano dal palco si inseguono, sovrappongono, in una babele di lingue e accenti che chiedono la stessa cosa. "Verità". "Giustizia". "Verità". "Giustizia". Le stesse che si leggono nell'appello "Cerchiamo i mandanti" che, nei giorni scorsi, è stato sottoscritto da 60 giornalisti italiani (#60 per Daphne) e fatte proprie da Fnsi, Usigrai, Ordine, Articolo 21, "No Bavaglio". Ma anche "vergogna". Si, "vergogna", perché mai, come urla al microfono la rappresentante di Reporter Sans Frontières, "avremmo mai immaginato un giorno di dover venire a chiedere conto in un Paese democratico dell'Unione di qualcosa di cui si chiede conto ai regimi. La verità sulla morte di una giornalista uccisa perché raccontava la verità". "Perché mai, neppure nella Turchia di Erdogan, ci si azzarda a rimuovere un memoriale che ricorda, con una giornalista, il bene prezioso della libertà di pensiero e di stampa".

Ammesso ce ne fosse bisogno, lo spettacolo notturno di Republic Street, gli adesivi gialli con il cartoon di Daphne che passano di mano in mano insieme alle candele che illuminano la folla insieme ai flash di centinaia di smartphone che non smettono di scattare foto, esaltano l'isolamento del Governo di Muscat. Il naufragio di una linea di condotta che si è sin qui risolta nella semplice, ossessiva ostinazione a bollare la richiesta di verità di una parte dell'opinione pubblica maltese, dell'intera opinione pubblica europea, come un attentato alla sovranità dell'isola e della sua gente. Un atto di intollerabile ingerenza. Senza comprendere quale umiliazione, agli occhi della comunità internazionale, è oggi vedere un Primo Ministro, per giunta della famiglia dei socialisti europei, dover ricevere (come è accaduto a Muscat) nel proprio ufficio delegazioni di giornalisti e attivisti per i diritti umani che chiedono garanzie del rispetto delle libertà fondamentali sull'isola e una verità giudiziaria non manipolata o monca per calcolo politico.

E questo perché, senza girarci troppo intorno, a un anno esatto di distanza dalla morte di Daphne, il contesto tossico della sua morte resta quello di allora. Vale a dire quello di un'isola strangolata dall'abbraccio tra interessi criminali del Mondo di Sotto dei suoi traffici, con quelli della finanza nera (riciclaggio e corruzione), e con quelli "privatissimi" di uomini chiave del governo: il capo di gabinetto Keith Schembri, i ministri Konrad Mizzi e Chris Cardona. Tutti e tre imbrattati e delegittimati da accuse che le inchieste di Daphne prima, e il giornalismo del consorzio "Daphne Project" (di cui "Repubblica" è parte) poi, hanno potuto documentare. E che, a qualsiasi altra latitudine, avrebbero imposto, per semplice decenza, prima ancora che per responsabilità penali, il passo indietro delle dimissioni.

"Impunità" era il termine che più volte ricorreva nelle inchieste e nel lavoro di Daphne. "Impunità" è la sensazione che trasmette oggi un governo che sembra incapace di liberarsi dal ricatto che evidentemente tiene insieme i suoi uomini chiave. Anche a costo di sfidare le istituzioni europee. Che, ancora ieri, sono tornate a bussare alla porta di Castille (la sede del governo) con una lettera di messa in mora del Commissario europeo per la Giustizia Vera Jurova (è tornata ad invitare il governo maltese a fornire risposte tempestive e credibili sui mandanti di un omicidio che è resta "oggettivamente" politico) e con l'annuncio di una imminente visita dell'inviato del Consiglio di Europa Pieter Omtzig (sarà a Malta dal 21 ottobre per una settimana), incaricato di monitorare la correttezza e completezza dell'indagine giudiziaria in corso sull'omicidio di Daphne.

Una cosa è certa. La sensazione di queste ore, a Malta, è che le acque non si richiuderanno e, soprattutto, che nessuno, alla Castille, sia più completamente padrone di un gioco che ha ormai troppe variabili per essere governato. Insomma, forse non dovranno trascorrere altri 365 giorni per avere una verità. Anche perché il giornalismo - lo ha dimostrato questa con la voce di tutte le sue rappresentanze internazionali - non smetterà di fare il proprio lavoro. Che è dare notizie. E non fermarsi di fronte a chi pensa di scrollarsi di dosso fatti e circostanze bollandoli come "campagne di fango" o provando a delegittimarli e smentirli con goffe operazioni di spin. Magari con la complicità di qualche voce della stampa locale. Le stesse che isolarono Daphne prima che qualcuno decidesse di metterla a tacere per sempre.

Tratto da: repubblica.it

Foto © Reuters

ARTICOLI CORRELATI

Daphne Caruana, onoriamo la memoria chiedendo verità e giustizia

#Daphne e il ''grande gioco''

#Daphne e l'isola assassina: ma i mandanti restano impuniti


Andrew Caruana Galizia: ''Dobbiamo conoscere tutta la verità sull'assassinio di mia madre''

Requiem