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capaci web5E’ una sentenza estranea alle inquietudini più volte manifestate dal presidente Pietro Grasso
di Stefania Limiti
Ci sarà un motivo se la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Pietro Grasso, è quasi martellante nel dire che non avremo la verità sulla strage del 23 maggio 1992 finché non sapremo il motivo per cui Totò Riina spostò il teatro dell’uccisione di Giovanni Falcone da Roma a Capaci?
Evidentemente no, a stare ai giudici di Caltanissetta. A lungo attese, sono finalmente arrivate le motivazione della sentenza del processo cosiddetto ‘Capaci bis’ che ha portato alla condanna per strage di Salvatore Mario Madonia, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Lorenzo Tinnirello, mafiosi fino ad ora rimasti impuniti. E non sembra proprio che l’inquietudine di Grasso vi trovi spazio.
E’ stato un lavoro lungo e tormentato quello dell’accusa, la Procura di Caltanissetta, che si è dovuta necessariamente confrontare con il fantasma dei ‘mandanti occulti’, il cuore pulsante della faccenda, il nodo attorno a cui ruotano le domande più pressanti - la dinamica dell’esplosione, le dichiarazioni di alcuni pentiti, le impronte genetiche su alcuni reperti. L’accusa ha scelto la strada negazionista, come già avevamo appreso durante la requisitoria finale nella quale vennero ridicolizzate le ipotesi alla "Paperinik" - proprio così dissero - di una doppia mano nella realizzazione della strage. Ora leggiamo nero su bianco la valutazione dei giudici, invero originale, in base alla quale la tesi di una regia occulta delle stragi è stata "elaborata per giustificare, dietro la suggestione di fenomeni superiori e perciò non intellegibili, la propria incapacità di cogliere le verità più immediate ed elementari («Ci sono degli eventi nella storia del nostro Paese per cui noi, deboli come siamo, e che siamo stati incapaci di evitare, e allora dobbiamo dire che sono accadute perché sono intervenute delle forze sovrannaturali, dei poteri occulti e così via, no? E così si dice per Capaci, ma così si diceva anche per tanti altri misteri italiani, sono tutti misteri, no?»: così la requisitoria all’udienza dell'11 marzo 2016)". Viene concessa "l'apertura investigativa agli opportuni approfondimenti in caso di sopravvenienza di elementi oggi ignoti".
Concessione che non sappiamo quanto possa controbilanciare la brusca liquidazione di un tema maledettamente serio in Italia come quello dei poteri occulti "formula nominale per lo più priva di contenuto storico-sostanziale ed evocativa di scenari fuligginosi - strumentalmente diretta a distogliere l'attenzione dal vero primum movens della stagione stragista, da individuarsi nei livelli superiori, ma in ogni caso intranei, di Cosa Nostra".
Sono stati smontati i punti salienti delle ricostruzioni che si interrogano sulla portata ‘politica’ della strage e sulle interferenze nei progetti vendicativi di Cosa nostra, trasformati, appunto, in atti politici?
Il punto è che non pare affatto, se, per cominciare, la questione di una talpa che possa aver riferito prontamente a Raffaele Ganci, incaricato di dare il segnale ai suoi complici, l’orario di arrivo dell’areo di Falcone all’aeroporto di Palermo, è stata gettata alle ortiche in base al seguente ragionamento (non una prova): "laddove la strage di Capaci fosse stata una “strage di Stato”, quanto meno sotto il profilo ideativo, deliberativo e organizzativo, “Cosa Nostra” non avrebbe avuto bisogno di incaricare la famiglia di Raffale Ganci, capo del “mandamento” della Noce, per osservare e pedinare gli spostamenti dell'autista di Giovanni Falcone a Palermo, al fine di intuire il prossimo arrivo del magistrato da Roma". Punto.
Difeso d’ufficio, non richiesta, dell’operato dei servizi segreti: "Giova ricordare due punti fermi del tema, in quanto prova incontroversa. Il primo è costituito dalla necessaria smentita della tesi orientata ad attribuire connotati diffusamente degenerativi ai servizi segreti in quanto tali, colti non già nelle singole individualità che per essi agiscono, ma nella loro integrità istituzionale. Infatti, una operazione mentale di surrogazione, nella individuazione della sfera deliberativa ed organizzativa della strage di Capaci, della Cupola di Cosa Nostra con i vertici nazionali dei servizi segreti, è destinata al fallimento logico". Non si tratta di denigrare una istituzione dello Stato ma di non dimenticare, ad esempio, che sul luogo della strage, nel punto in cui venne premuto il telecomando, venne ritrovato, mai spiegato, il bigliettino da visita di un alto funzionario del servizio civile, oppure di non nascondere sotto il tappeto tutto il racconto del pentito Francesco Di Carlo che chiama in causa proprio uomini dei servizi e il più alto vertice delle forze investigative dell’isola, Arnaldo La Barbera - Di Carlo ha detto più volte che costoro lo andarono a trovare nel carcere inglese dove stava scontando una pena per traffico di stupefacenti chiedendogli agganci dentro Cosa nostra per cercare di ‘sradicare’ l’attivismo di Giovanni Falcone. Secondo i giudici questa ricostruzione, che resta tra le più inquietanti nel panorama dei fatti riferiti dai pentiti, non è logicamente sensata: "Infatti, è davvero singolare che il Dott. La Barbera, al vertice della Squadra Mobile di Palermo, avesse deciso di ricercare un referente all'interno di “Cosa Nostra”, non già nel territorio in cui operava, ma all'estero, e di individuarlo proprio nel Di Carlo, quasi che il La Barbera, commettendo un vistoso errore valutativo, considerasse il Di Carlo una sorta di “super-Riina”, in grado di orientare le determinazioni criminose dell’associazione mafiosa". Punto.
La manomissione dei computer di Giovanni Falcone? Il dottor Gioacchino Genchi ha dimostrato che dopo la strage qualcuno aprì il personal computer Olivetti e l’agenda elettronica Casio SF 9000 ("sicuramente vi era stato un accesso fraudolento al computer e la cancellazione altrettanto fraudolenta del file") ma la questione è lasciata morire così perché, leggiamo nelle motivazioni, "della datazione della cancellazione dei dati presenti nell'agenda elettronica non vi è alcuna certezza scientifico-informatica; è però del tutto verosimile che anche essa sia stata compiuta dopo la strage di Capaci, essendo incomprensibili le ragioni per cui lo stesso Dott. Falcone avrebbe dovuto eliminare dalla sua agenda tutte le annotazioni ivi presenti, comprese quelle che si riferivano ad appuntamenti da lui presi per date posteriori al 23 maggio 1992". Punto.
E la faccenda degli esplosivi? Molto articolata è la ricostruzione del recupero del tritolo dalle bombe di guerra abbandonate nei fondali marini e della preparazione degli ordigni ma la scelta è stata quella di non valutare le tracce di un esplosivo ben diverso, la pentrite, riscontrate nella primissima perizia fatta dagli americani dell’FBI: "Le suddette cariche esplosive, nella formulazione da noi ipotizzata, non forniscono tuttavia giustificazione alla traccia di pentrite, ritrovata unicamente dalle analisi svolte dall'F.B.I. su un unico frammento di cemento, repertato dai tecnici stessi che eseguirono le analisi". Escluse da ogni valutazione le tracce di oggetti trovati sul cratere: la faccenda, del resto, è complicata perché la consulenza sul materiale genetico prelevato dai reperti non ha trovato traccia del Dna dei mafiosi: anzi, sono stati rinvenuti profili di soggetti ad oggi sconosciuti. Punto.
Finisce qui? No, è in corso un prolungamento dell’inchiesta sulla strage di Capaci in un nuovo procedimento contro Matteo Messina Denaro. Mentre la Commissione Antimafia ha chiesto l’acquisizione degli ‘atti di impulso’ cioè del lavoro istruttorio fatto dalla Procura nazionale antimafia guidata da Pietro Grasso e per ora secretato. Potrebbe non essere finita qui.

Tratto da: affaritaliani.it