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dalla chiesa nando web4Saggi e non rassegnati, conoscono perfettamente la microfisica del potere locale, ma il futuro è lontano da casa
di Nando dalla Chiesa
Ora però ascoltateli. “Viviamo in un deserto culturale, economico, sociale. Nulla ci dà speranza. Perché restare?”. La domanda resta appesa negli occhi del giovane che mi sta parlando. Sembra un interrogativo retorico e invece ho l’impressione che Luigi si attenda da me una risposta. Che desideri un refolo di speranza in questo paese dell’alto Tirreno calabrese dove la speranza è in agonia. “Ma lo Stato ha capito in che razza di situazione viviamo? Come è possibile che davanti a queste cifre di reddito pro capite e disoccupazione giovanile, davanti alla scelta di tanti di andarsene, nessuno pensi a intervenire?”.
“Certo”, continua il ragazzo come se non volesse recitare la parte del meridionale che si lamenta dello Stato, “è vero che dovremmo essere noi i primi artefici del cambiamento, di uno sviluppo sostenibile e duraturo. Ma ce ne sono le condizioni? Abbiamo gli strumenti giusti? E se ci sono, perché non ci insegnano a usarli?”. La questione calabrese è ormai uscita, sul piano politico, dall’agenda del paese. E semina vittime senza futuro. Partiti come macchine d’affari, gli affari come benzina per i clan. I soldi che arrivano che non serviranno mai a rispondere alle domande di Luigi e di Antonello, di Roberta e di Luca, questa infornata di studenti universitari, scienze politiche, biologia e giurisprudenza, Luca a Catanzaro gli altri a Cosenza, che mi circondano e mi scrutano come a vedere l’effetto che fa, se mi scuoto abbastanza. “La politica, dice? Ma lo sa che cosa è qui la politica? In Calabria la quasi totalità dei comuni ha meno di 3-5mila abitanti. Sa che cosa succede durante le campagne elettorali? Sa come viene gestito il potere locale? Si combatte per il potere personale, cercando di distruggere l’avversario. In un comune con mille abitanti, tre liste e trentatré candidati, schieramenti di comari e compari che polverizzano il voto di opinione. Pensi poi se c’è tra i candidati un medico. Un elettorato militarizzato e soprattutto riconoscibile. Ma quale ideologia vuole avere? La legge dice che l’importante è che sia riconoscibile l’intenzione di voto, capisce quanti modi di votare? Un modo perfetto per controllare gli elettori. Se ci volessero rendere liberi basterebbe intervenire su questi meccanismi, non costerebbe nulla, qui la spesa pubblica non c’entra”.
Sono implacabili, questi ragazzi. Conoscono bene i meccanismi, sanno la microfisica del potere, la vedono in funzione tutti i giorni. “Una volta eletti, gli amministratori diventano dei signorotti. Nessun controllo di legittimità sui loro atti. Con segretari comunali zitti e servizievoli, possono favorire gli amici elettori uno per uno e penalizzare chi non li ha votati, scegliere ditte e professionisti”. “Vede, ogni tanto pensiamo che si possa fare qualcosa. Ad esempio mettere sulle liste elettorali i nomi dei candidati, debitamente ridotti, e poi lasciare al loro fianco solo una casella dentro cui mettere una x. E allora ti saluto riconoscibilità… Si rende conto della rivoluzione? Magari a lei sembra poco, ma solo perché non vive qui, mi scusi”. Roberta ha pure un’altra idea: “Anzi, si potrebbero unificare le urne e poi verificare le schede tutte insieme, così i giochi di controllo capillare saltano”. C’è anche un altro giovane che parla e si accalora nel gruppo. Lo chiameremo Girolamo, nome di fantasia, preferisce non comparire, “sa, io ho un ruolo nel Pd”. Ed è detto tutto.
E l’università, ragazzi? “Per favore… L’università è assente nei processi sociali. Spesso il titolo universitario viene utilizzato dai professori per rafforzare il loro stato di professionisti, per ottenere incarichi dalle pubbliche amministrazioni. Ma è gente che fa molto poco per le associazioni di giovani o per il territorio. Magari si servono proprio delle associazioni giovanili per arrivare agli amministratori. E non parliamo della stampa che campa di inserzioni pubblicitarie pubbliche”.
I miei interlocutori hanno storie di speranza da raccontare, e parlerebbero per ore. Ma difficilmente compare come in questo caso l’amarezza di essere giovani. Non rassegnazione, perché non ne vedo; ma amarezza sì, e grande come il mare che abbiamo sotto, qualche centinaio di metri più giù. Parlano un linguaggio che mi appare contemporaneamente familiare e sconosciuto. Ma quell’idea della scheda elettorale, quella rivoluzione senza costi e senza sangue che avanza nella loro fantasia, qualcuno avrà voglia di farla? Pensando a Luigi e Antonello, a Roberta e Luca. Alla Calabria che non si vuole arrendere.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano 23 settembre 2017