Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

caccia paoladi Ottavia Giustetti
Intervista alla vigilia del verdetto sull'omicidio di 34 anni fa: "Quasi del tutto ignorata la pista che aveva indicato il nostro avvocato. Ma su una cosa siamo d’accordo con il pm: Schirripa è colpevole"
Paola Caccia
, domani, lunedì, è il giorno della sentenza al processo per l'omicidio di vostro padre. Con quale stato d'animo l'aspettate?
"Spero con tutto il cuore che sia pronunciata una sentenza giusta. Erano molto superiori le aspettative su un nuovo processo per l'omicidio di mio padre, non posso negarlo. Ma spero che il lavoro fatto fin qui non vada sprecato".

Nessuno di voi famigliari è stato sentito in aula. Può raccontarci un ricordo che le è rimasto di suo padre?
"L'ultima volta che l'ho visto mi ha fatto una visita veloce e inaspettata. Era mattina, e la scorta era rimasta sotto casa. Era venuto a rivedere il nipotino che aveva una ventina di giorni, e che aveva visto solamente in ospedale. Disse sorridendo: "Guarda come è cambiato, che faccino disteso e sereno".

Come è cambiata la vostra vita dopo?
"Mio padre ci dava grande sicurezza. Era una persona riservata e mai autoritaria o invadente. A noi figli faceva raramente delle ramanzine e non ci imponeva divieti. Però ci sembrava sempre che sapesse cosa era giusto fare. È stato difficile ritrovare l'equilibrio e la serenità di quando era presente".

Il vostro avvocato, Fabio Repici, al termine di un lunghissima arringa ha chiesto la condanna di Rocco Schirripa. Ma le persone che avevate accusato nei tre esposti alla procura di Milano erano altre. Avete cambiato idea?
"Il fascicolo aperto dopo i nostri esposti era a carico di altri due sospettati: Rosario Cattafi e Domenico Latella. Repici, li aveva individuati dopo un approfondito lavoro sugli atti già presenti nella vecchia inchiesta. Ma sono forti i legami di persone e interessi tra la pista calabrese di Belfiore-Schirripa e quella di matrice siciliana interessata alle casse del casinò di Saint Vincent per il riciclaggio del denaro mafioso. Questa pista è stata quasi del tutto ignorata nel processo, solo Repici vi ha dedicato parte delle sue conclusioni. Ciononostante il nostro avvocato è in totale accordo con il pm sulla responsabilità di Schirripa".

Un elemento che ha sottolineato Repici deve aver colpito in particolare voi figli: da questo processo è stato fatto sparire Bruno Caccia. Cosa ne pensa?
"È vero. Del procuratore Bruno Caccia, di come lavorava, di cosa si occupava prima di morire, di quali inchieste stava chiudendo, si è parlato molto poco. Continuo a credere che sarebbe stato utile ascoltare i suoi colleghi di allora per avere elementi utili alla comprensione del movente. Che è ciò che più di tutto a noi interessa".

Siete stati presenti praticamente a ogni udienza. Molte richieste della parte civile sono state respinte dalla Corte. È vero che le vostre posizioni sono state più vicine alla difesa che all'accusa del pm Tatangelo?
"Vicini alla difesa assolutamente no. Piuttosto a volte non siamo stati sulla stessa lunghezza d'onda dell'accusa. Molti testimoni ci sono stati negati, e le domande di Repici spesso sono state respinte perché secondo i giudici non rientravano nel "perimetro dell'ordinanza". Posso dire che dopo un'attesa di 32 anni questo "perimetro" è stato difficile da accettare".

Lei ha incontrato di recente, durante le indagini, Domenico Belfiore. Perché? Sperava che potesse rivelarvi un pezzo di verità mai trovata?
"Nella mia ingenuità speravo che, gravemente malato, avrebbe sentito il bisogno di confessare. Dando magari un cotributo alle nuove indagini. Ma non lo ha fatto. Non ha mai detto nulla. Anzi, ha continuato a dirsi estraneo all'omicidio".

È vero che Torino ha rimosso la morte di Bruno Caccia?
"La città l'abbiamo sentita solidale in diverse occasioni: nell'intitolazione del Palagiustizia, nella cerimonia per il trentennale della morte, ogni anno alla consegna del premio Bruno Caccia istituito dal Rotary. Dal 1995 poi, ci è stata molto vicina l'associazione Libera che ha anche intitolato a mio padre uno dei beni confiscati alla 'ndrangheta".

È vero che una parte dei colleghi magistrati a un certo punto vi ha abbandonati?
"A loro siamo riconoscenti per come ci hanno raccontato una storia che non conoscevamo: da loro abbiamo scoperto come era nostro padre al lavoro. Ci hanno scritto lettere bellissime e sono stati negli anni vicini alla mamma. È stato dopo che lei è morta, quando abbiamo deciso che volevamo capire di più sull'omicidio, che avrei desiderato un sostegno diverso. Sono pochi quelli che ci hanno incoraggiati in questa impresa difficile. Dobbiamo ringraziare Mario Vaudano che ora è in pensione, ma al tempo era un giovane giudice istruttore, è stato a ofrrire il suo aiuto sostanziela al nostro avvocato".

Avete chiesto un risarcimento da 10 milioni. Perché? Che cosa rappresenta per voi?
"Come abbiamo detto tante volte quel che ci interessa è ottenere la verità. L'arringa del nostro legale si è chiusa senza parlare di cifre ma di un generico risarcimento come è prassi. È disponibile in Rete per chiunque volesse riascoltarla su Radicale. Mi sarebbe piaciuto trovare invece articoli sulle otto ore di conclusioni del nostro avvocato, frutto di quattro anni di lavoro intelligente e approfondito".

Cosa succederà dopo che la Corte d'Assise di Milano avrà deciso? Questa sentenza chiude per sempre la vostra battaglia per la ricerca degli assassini di Bruno Caccia?
"Dopo questa sentenza continueremo a chiedere la parte di verità che ancora manca, sperando che si possa indagare anche nella direzione indicata nelle nostre denunce. Chiederemo che sia completato il quadro di questo omicidio, un quadro che nonostante tutto ci pare ancora incompleto".

Tratto da: torino.repubblica.it