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montante calogerodi Calogero Montante
Il 20 aprile 2017, con la lettura del dispositivo della sentenza del processo sulla strage di Via D'Amelio, il cosiddetto “Borsellino Quater”, il presidente Antonio Balsamo ha prosciolto Vincenzo Scarantino per prescrizione, intervenuta poiché riconosciuta l'induzione a commettere il reato. A chiederne l'assoluzione, oltre al nostro avvocato Fabio Repici, era stato ovviamente anche il legale del “falso pentito”, Calogero Montante, il cui possibile commento sull'incredibile sentenza non ha suscitato l'interesse di nessun giornalista (fatto salvo Aaron Pettinari di Antimafia Duemila). Fate un test: aprite Google e digitate il nome del difensore di Mario Mori dopo la sentenza del processo di appello a carico del suo assistito per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano; il Giornale di Sicilia, la Repubblica, il Fatto Quotidiano, RaiNews24, solo per citarne alcuni, i giornali che ne hanno riportato i commenti. Di quelli dell'avvocato Montante, invece, neanche l'ombra. E non ci si venga a dire che la conferma del depistaggio sulla strage di Via D'Amelio non avrebbe “fatto notizia”. A maggior ragione dopo l'incisiva arringa di Montante dalla quale si poteva facilmente evincere il tenore delle dichiarazioni che avrebbe rilasciato, se qualcuno si fosse degnato di chiedergliele.

Proprio per questo vogliamo provare a riparare questo vuoto enorme lasciato dalla stampa italiana, pubblicando qui di seguito degli estratti dell'arringa di Calogero Montante. Cliccando sul link che troverete in fondo alla pagina, inoltre, si potrà leggere la versione integrale del suo intervento, lettura che consigliamo caldamente a chi ha interesse ad avere un'idea più chiara del depistaggio e delle prove che lo confermano, qualora non fossero bastate le precedenti conclusioni difensive di Fabio Repici, pubblicate anch'esse su questo sito.
Quanto alle dichiarazioni del legale di Enzo Scarantino sulla sentenza che ha visto prosciolto il suo assistito, potrete sentirle il 19 luglio 2017 a Palermo, in Via D'Amelio, poiché sarà ospite di Salvatore Borsellino, accanto a Fabio Repici.
Partiamo dalla conclusione del suo intervento, poiché racchiude chiaramente la forza di tutta l'arringa.

Redazione 19luglio1992.com


Il coraggio di prendere una posizione
“Ma, in realtà, il vero danneggiato di questa vicenda è proprio l'imputato. Cioé ma Voi avete idea di cosa sia Scarantino oggi? L'avete visto? Io ho avuto la possibilità, grazie a questo ufficio, di vederlo di persona, di conoscerlo, di capire quello che è oggi Scarantino a distanza di anni. Scarantino è rimasto solo, la famiglia non ne vuole più sapere di lui, lo ha completamente cancellato, senza lavoro, vive della Caritas, senza soldi, non riesce a trovare lavoro perché nessuno lo vuole assumere per il nome che ha, e mi venite a dire che questo è un imputato? Ma questo dallo Stato ha subito dei danni incalcolabili! Questo processo andrebbe fatto agli organi che in nome dello Stato hanno operato nel modo che abbiamo descritto, non a Scarantino! Scarantino dovrebbe essere visto come persona offesa.
Questo a voler tacere sul fatto che contro di lui si sono costituite Parti Civili perfino mafiosi, un mafioso, che ha la bella faccia tosta di costituirsi Parte Civile in questo processo, arroccandosi sulle sentenze passate in giudicato.

(…) Cito le parole di Scarantino a conclusione del suo esame: "Io ho terrore, ho terrore di queste persone ancora liberi dello Stato, io ho terrore, signor Presidente, ho terrore. Io non ho paura dei mafiusi, completamente, io non ho paura. Lo Stato mi sta uccidendo, lo Stato mi sta uccidendo!" Lo Stato lo ha utilizzato, lo ha manipolato per i suoi fini e lo ha buttato. Lo Stato, chiaramente, perché questi signori hanno agito in nome e per conto delle istituzioni, che di per sé sono nobili e a cui noi crediamo. Ed è proprio perché ci crediamo e perché crediamo al significato delle nobili istituzioni che ci sorreggono, che io vi chiedo di prendere una seria posizione su questi eventi, per mettere una volta per tutte la parola fine su questa storia. Bisogna avere il coraggio di dare alle cose il loro nome, di dire quello che è successo! E i fatti, le prove per poterlo dire ci sono, ...bisogna avere il coraggio di prendere una posizione!

Vi lascio, dopo avervi tediato, con un piccolo inciso letterario tratto dalla prefazione alla "Morte dell'inquisitore" di Leonardo Sciascia, che era un uomo molto più acuto di me su questi fatti. Sciascia, parlando di inquisizione, dice che bisogna sempre stare attenti quando si parla di inquisizione e dice: "E a quanto pare bisogna andar cauti anche in Italia e dovunque, in fatto di inquisizione - con iniziale minuscola - ci sono persone e istituti che hanno la coda di paglia o il carbone bagnato: modi di dire senz'altro pertinenti, pensando ai bei fuochi di un tempo. - Inquisizione - E viene da pensare a quel passo dei < > quando il sagrestano, alle invocazioni di Don Abbondio, attacca a suonare ad allarme la campana e a ciascuno dei bravi che stanno agguatati in casa di Lucia, < tocchi il suo nome, cognome e soprannome>>. Così succede appena si dà di tocco all'inquisizione: molti galantuomini si sentono chiamare per nome, cognome e numero di tessera del partito cui sono iscritti".
Ecco, chissà che questo non sia successo anche a certi nostri testimoni citati nel corso del presente processo.

Vi ringrazio e concludo chiedendo l'assoluzione del mio imputato perché il fatto non costituisce reato”.


Quando un processo non funziona?
“E', dunque, una macchina complessa questo processo, che si fonda sulla molteplicità di ingranaggi, il cui buon funzionamento è garantito dal funzionamento dell'efficienza di questi stessi ingranaggi; se uno di questi ingranaggi si inceppa, ecco che si inceppa anche la macchina, ecco che la macchina non funziona o se apparentemente funziona, non dà gli stessi risultati in termini di giustizia, in termini di equilibrio che dovrebbe garantire. E questi ingranaggi da che cosa sono rappresentati? Signori miei, dagli uomini, perché un processo è fatto di uomini, a prescindere dai ruoli che ognuno di loro possa avere dentro quel processo, giudicanti, requirenti, difensori, imputati, persone offese, sono tutti uomini. Ma ce ne sono alcuni su cui bisogna istituzionalmente fare un particolare affidamento, non fosse altro perché ce lo dice il Codice; ce ne sono alcuni il cui operato è fondamentale per garantire che questo macchinario funzioni bene e consenta di giungere ad una sentenza giusta alla fine di tutto. Questi uomini sono gli inquirenti. E quando, come si è verificato nei processi Borsellino 1 e Borsellino bis, gli inquirenti non attendono a quei doveri di lealtà e trasparenza che dovrebbero avere nello svolgimento delle loro funzioni, bene, la conclusione inevitabile è che questo complesso meccanismo si inceppa”.


La “Santa Inquisizione”
“Signori miei, che cosa ci dice questo teste? Ci dice una cosa inaccettabile in uno Stato di diritto qual è il nostro, che considera la libertà personale sacra per costituzione, ci dice che è stato torturato e non da delinquenti di strada, ci dice che è stato torturato da organi inquirenti.
(…) Perché poi sono gli strumenti tradizionali della tortura, storicamente sono sempre stati gli stessi. Non so se ricordate da qualche libro di storia la storia dell'inquisizione, della santa inquisizione. In cosa consisteva la santa inquisizione? Nel far confessare, mediante tortura, determinati soggetti di crimini che non avevano commesso, di eresie che non avevano mai professato, di stregoneria addirittura, per poi magari farli finire bruciati sul rogo. Dico, sono cambiate le modalità, magari oggi non c'è più il rogo, grazie a Dio è stata abolita la condanna a morte, però il metodo è sempre quello: torturare per fare confessare l'inconfessabile”.


Il “monaco trappista”
“E la cosa più significativa è ricordare quello che ci viene a dire con faccia tosta, devo dire non indifferente, il dottore Ricciardi nel corso di questo dibattimento. Ricciardi, nel descrivere l'arresto del Candura, cui ha preso parte, non fa nessun tipo di ammissione, sostanzialmente dice: "L'abbiamo arrestato, poi, ad un certo punto, si è messo a piangere immotivatamente e noi, di fronte a questo pianto, gli abbiamo chiesto: 'Ma perché stai piangendo?'". Cioé, ragazzi, un monaco trappista, quest'uomo ha una carità degna veramente di San Francesco. Questa fu una domanda, se ricorderete, che feci io in controesame, in un clima così pesante qual è quello che si respira a Palermo un mese dopo la strage di via D'Amelio, che seguiva la strage di Capaci, dove erano morti i tuoi colleghi di lavoro, amici di una vita, gente con cui si faceva servizio assieme, gente con cui magari il fine settimana si usciva assieme con le famiglie, con i figli, pressato oltre che dalla tua rabbia personale, anche dagli organi di stampa, che cercano di sapere in tutti i modi se tu hai fatto dei passi in avanti sulle indagini, nelle indagini, tu in questo clima mi vieni a dire che ti trovi tra le mani il primo presunto organizzatore della strage e non gli fai nulla, quantomeno non utilizzi nei suoi confronti un tono di voce alterato? Ma è credibile una cosa del genere? E' credibile che un teste ci venga a prendere in giro in questi termini?

(...)

Questo è per fare un inciso anche sul fatto che siccome il processo è fatto di uomini, lo dicevo all'inizio del mio intervento, bene, anche questo è materiale umano; il materiale umano non è rappresentato solo dai personaggi da "Mary per sempre", come Candura, o solo dai personaggi come Scarantino, che per i suoi limiti culturali non sanno mettere una parola dietro l'altra, il materiale umano è rappresentato anche da questi personaggi che delinquono sotto una divisa.

Sappiamo tutti come dopo queste vicende Candura viene portato al carcere di Bergamo, putacaso il luogo dove Ricciardi era di casa. Dico, tra tutti i carceri italiani non se ne poteva trovare un altro in Sicilia? No, doveva essere proprio il carcere di Bergamo. E per quale motivo Candura viene trasferito a Bergamo? Ci dice Ricciardi: "Per consentirgli di meglio meditare, di riflettere meglio". Cioé, in pratica, il carcere di Bergamo era un ritiro spirituale, che secondo la mentalità di questo superpoliziotto/monaco trappista, avrebbe potuto meglio consentire al Candura di riflettere su ciò che avrebbe dovuto dire”.

(…) E io questa domanda la feci all'epoca al dottore Ricciardi che partecipò all'interrogatorio, e sapete che cosa mi ha risposto? "No, io perplessità non ne ho avute". Stiamo parlando di un superpoliziotto, era la crema, l'elite dell'investigazione italiana dell'epoca, che mi viene a dire che lui dubbi non ne ha avuti su questa panzana! Lui dubbi non ne ha avuti.

Ed è anche la stessa persona, lo stesso teste, che sempre su mio controesame, in un passo delle sue dichiarazioni mi viene a dire: "Ma io veramente un uomo d'onore nemmeno so che cosa sia, nemmeno so come si svolgono le cerimonie di affiliazione". Oddio, ma io non è che te l'ho chiesto perché supponevo che ci avessi fatto parte, io te l'ho chiesto perché ho fatto una domanda tecnica ad un uomo che, per la sua esperienza nel campo delle investigazioni su questo tipo di reati, dovrebbe veramente essere un professore nei miei confronti, no nei confronti di Scarantino, nei miei confronti, e tu mi rispondi che nemmeno sai che cosa sia un uomo d'onore? Presidente, ma è normale? E' ammissibile accettare una dichiarazione del genere? Letteralmente offensiva delle intelligenze di tutti i presenti!”


Una delle prove incontrovertibili del depistaggio
“A questo punto domande e perplessità, numerose, ancora una volta, talmente numerose che, ripeto, sono costretto a fare una scaletta. Anche se le dichiarazioni di Andriotta (l'altro falso pentito che “collaborò” con i magistrati rivelando le mai avvenute confessioni avute in cella da Scarantino, nda) vanno prese con le dovute cautele, viene da chiedersi come sia possibile che prima dell'inizio della collaborazione di Scarantino, quando ancora non si conoscevano i nomi dei soggetti che avrebbero potuto prendere parte alla strage, Andriotta parla di Scotto Gaetano, Orofino e Profeta, come se li avesse sentiti da Scarantino. Erano nomi che certo non poteva conoscere, perché Andriotta proveniva da un contesto delinquenziale geografico completamente diverso. Cioé Andriotta è del nord, lui la mafia siciliana, la mafia palermitana nemmeno sa che cosa sia, figuriamoci se sa i nomi di coloro che fanno parte delle consorterie mafiose. Ma poi c'è un altro dubbio: questi nomi chi glieli ha fatti? Chi glieli ha detti ad Andriotta? Gli organi di stampa? Non è possibile, perché in quel momento in cui Andriotta inizia a collaborare, questi nomi ancora non si sapevano. Scarantino? Ma se lui non lo sapeva! Chi glieli ha detti? L'ordinanza cautelare dello Scarantino? Che Scarantino stesso ammette: "E' possibile che l'abbia letta", perché erano in due celle attigue, è probabile. Ma io pure ho ragionato su questo elemento, signori miei, ma mi sono anche chiesto una cosa: l'ordinanza cautelare che interessava lo Scarantino in quel momento, certamente poteva contenere tre nomi al più: Scarantino, Candura e Valenti, al limite, certo non poteva contenerne altri. Cioé sicuramente in quella ordinanza non ci potevano essere i nomi di un Profeta Salvatore, di un Orofino, di un Riina, di un Aglieri, di un Greco; questi nomi sicuramente non ci potevano essere. Quindi questi nomi chi glieli ha detti? Quindi, ancora una volta, non si può rispondere a queste domande se non si accetta che ci sia stato un depistaggio; non si può rispondere a queste domande se non si accetta che a fare questi nomi ad Andriotta siano stati propriamente gli inquirenti!”


Le torture di Pianosa
“Chiuso il capitolo Busto Arsizio, passiamo alla vicenda Pianosa. Se Venezia è il luogo della conoscenza e dello studio da parte dei depistatori della personalità dello Scarantino, Busto Arsizio è il luogo delle pressioni psicologiche fatte anche con lo spettro della condanna a nove anni di reclusione per il reato di traffico di sostanze stupefacenti, Pianosa è il luogo delle torture, sì, delle torture. Perché è inutile che mi vengano a dire che a Pianosa Scarantino ha subito delle forzature, è stato destinatario di pressioni, diamo alle cose il loro nome, come diceva Cassirer, diamo alle cose il loro nome: a Pianosa Scarantino è stato torturato, perché io non posso definire altrimenti quello che ha subito Scarantino a Pianosa in quel periodo. E Scarantino ce lo ha raccontato. Scarantino a parte che perde lui, uomo corpulento, non so quanti chili in quel periodo a Pianosa, e lui ci spiega il motivo, perché non poteva nemmeno mangiare, Guttalax nel latte, pipì nella minestra, e poi le minacce, signori miei.

...Ed è questo quello che viene fatto: Scarantino a Pianosa subisce di tutto e di più, perché se a Venezia si era capito che tipo era, che era facilmente suggestionabile, e questo lo si era capito, perché Pipino ce lo riferisce, se a Busto Arsizio si era capito che, tutto sommato, con il discorso della droga non si poteva arrivare a convincerlo e ancora c'erano delle resistenze, bene, adesso bisognava giocare sporco, bisognava arrivare fino in fondo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione dell'inquisizione, tutti, ad iniziare dalle minacce pesanti sulla vita, sull'incolumità, sulla libertà propria e dei propri familiari, che gli venivano rivolte, non a caso, da questi angeli custodi; perché Pianosa in quel periodo è anche una località turistica dove si recano periodicamente, avvicendandosi, a passare le proprie vacanze questi uomini del gruppo Falcone - Borsellino che gli fanno da angeli custodi dentro una struttura penitenziaria. Presidente, ma si è mai vista una cosa del genere? Questa cosa, veramente, contravviene a tutte le norme! A me non risulta che la Legge sull'ordinamento penitenziario preveda la presenza di figure del genere all'interno di una struttura carceraria, soprattutto per un uomo che in quel periodo era detenuto al regime di carcere duro, 41 bis!

(…) E si potrebbe richiamare lo stato di necessità, l'art. 54 del Codice Penale, ossia Scarantino sarebbe stato costretto a dire quello che ha detto, spinto dalla necessità di difendere sé o altri dal pericolo attuale di un danno ingiusto. Dico, le minacce sulla vita e sull'incolumità dei figli che cosa sono? Quelle che venivano dette sovente a Pianosa. Le minacce di fare la stessa fine di Gioè, morto ammazzato in carcere, che cosa sono? Le minacce di farsi il carcere a vita che cosa sono? Le minacce di dire: "Ti sei fatto questi nove anni, ti puoi fare l'ergastolo se non collabori", che cosa sono, se non il pericolo attuale di un danno ingiusto da cui ci si deve difendere? E se non c'è scriminante in questo caso, dove la dobbiamo avere la scriminante?”


Gli “indottrinamenti” di Scarantino
Come posso giustificare un colloquio investigativo dopo l'inizio della collaborazione, se non per indottrinare il mio Re Travicello? Che senso ha fare dei colloqui investigativi dopo l'inizio della collaborazione, quando già quello ha vuotato il sacco? Ditemelo, perché io non l'ho capito.

(…) è provato che in quel periodo in cui Scarantino viveva a San Bartolomeo al Mare, in questa famosa villetta, oltre alla Squadra Mobile che gli faceva da scorta, oltre alla Polizia che lo sorvegliava dall'esterno, c'erano anche membri del gruppo Falcone - Borsellino. Ce lo dice Bo, ce lo dice lo stesso Mattei, ce lo dice Ribaudo, ce lo dice Di Gangi (sottoposti del funzionario di Polizia Mario Bo, nda), è un dato, è provato. Perché però? Quello che non si comprende è questo: per quale motivo? Qual è l'esigenza della presenza di questi signori nell'abitazione dello Scarantino? Me lo dite? Io non l'ho compreso. E nemmeno posso accettare, perché sono offensive della nostra intelligenza, le spiegazioni che mi viene a dare un Mattei, che mi dice: "Noi andavamo semplicemente per confortarlo, per rendergli più gradevole il soggiorno". Ma che cosa siete, degli operatori turistici, degli intrattenitori? Avete dimenticato che fate parte di un corpo di Polizia e non di un gruppo di intrattenitori da villaggio turistico?

La verità era che la presenza di questi signori era dettata dalla necessità di aggiustare e quindi di indottrinare, perché quello era il periodo in cui erano necessari degli aggiustamenti alle dichiarazioni precedentemente rese...”


Le prove legali non esistono
“Perché, badate, nel nostro ordinamento e nel nostro Codice, grazie a Dio, non esistono prove legali, non è che per quanto venga a deporre un funzionario di Polizia, quindi un pubblico ufficiale o un ex pubblico ufficiale, la sua parola deve essere oro colato. No! Sono tutti uomini le cui parole devono essere da Voi valutate secondo il vaglio dell'attendibilità, a prescindere dal fatto che poi queste parole vengano dal materiale umano Candura o dal materiale umano Ricciardi, o dal materiale umano Basile; è tutto materiale umano, è tutto materiale umano! Il processo si fonda sugli uomini!”


Pubblici ministeri, non mi venite a dire che...
“Non mi venite a dire che è stato solo lo Scarantino a fare tutto, non ci credo, e nessuno mi convincerà mai del contrario. L'ingranaggio difettoso è dato dalla malafede di chi, con il ruolo di inquirente e detenendo in maniera monopolistica il controllo dei rapporti con i magistrati, ha scelto deliberatamente di pilotare le indagini in un determinato modo!

“(…) A Como Scarantino dice le stesse cose che aveva detto a Mediaset, le stesse cose, eppure non gli hanno creduto. E che è colpa di Scarantino se non gli hanno creduto? E' stato pure condannato per calunnia proprio perché non gli hanno creduto! Ma non mi venite a dire che ha ritrattato solo perché è stato messo con le spalle al muro”.


Le ombre dei mandanti del depistaggio
“Del resto, però, ci sono dei dati documentali che ci devono indurre a riflettere, che vi devono indurre a riflettere. Il primo è che il Procuratore Tinebra, competente sulle indagini per le stragi, già all'indomani della strage di via D'Amelio prende contatti con il dottore Contrada dei Servizi Segreti per chiedergli aiuto e collaborazione per le indagini. Presidente, ma si è mai vista una cosa del genere? Io, da Codice, non sono riuscito a trovare una norma che preveda che un Pubblico Ministero faccia affidamento su un corpo diverso dalla Polizia Giudiziaria per svolgere le indagini. E' inconcepibile, è inaudito! Eppure c'è stato. Le note del SISDE sono un dato provato, che ovviamente sono conseguite a questa richiesta. Quindi, dicevo, altro dato è la nota del SISDE del 13 agosto del '92, in cui il SISDE di Palermo, con questa nota indirizzata al SISDE, alla direzione SISDE di Roma, parla del luogo in cui l'auto rubata sarebbe stata ricoverata prima di essere utilizzata per la strage di via D'Amelio, e questo si sapeva prima ancora di fare l'arresto di Candura e quindi delle propalazioni che sarebbero venute dalle accuse - poi false, lo abbiamo compreso - di Candura, però è ovvio che anche questa nota fa riflettere, perché indicando la Guadagna come luogo in cui l'auto sarebbe stata ricoverata, hanno tracciato una pista, che era quella di dire: "Orientatevi sulla Guadagna", Guadagna, Guadagna, Guadagna.

“(...) Altrettanto documentale è l'intercettazione ambientale del dicembre del '93 tra la Castellese e il marito Santo Di Matteo, era il periodo in cui era stato da poco sequestrato il piccolo Giuseppe. I due genitori che cosa fanno per parlare del modo migliore per potere cercare di salvare la vita al figlio? Cioé immagino la concitazione del momento, l'angoscia di quel momento. Eh, che cosa fanno? Parlano di Polizia deviata, Polizia infiltrata, la moglie che dice al marito: "Guarda che tu non devi dire nulla, non devi parlare di via D'Amelio", cioé anche questo è un dato che io voglio offrire alla vostra riflessione. Attenzione, non sto dicendo che è una prova, però rifletteteci, perché se l'ipotesi di lavoro è quella per cui dietro il depistaggio ci siano delle precise mire dei Servizi Segreti, di sicuro questi dati documentali accreditano queste ipotesi.

E c'è poi una dichiarazione resa in questo processo dal teste Onorato Francesco, nel corso dell'udienza del 16 ottobre del 2014, sappiamo chi è Onorato, è un mafioso di spicco, collaboratore di giustizia dal 1996, non è un uomo qualsiasi, (…) Sapete cosa ci dice Onorato? Ci dice una cosa: Biondino Salvatore, l'autista di Riina, gli dice che La Barbera era in mano ai Madonia. Vito Galatolo gli dice anche che La Barbera aveva le corna dure a depistare le indagini sulla strage”.

Calogero Montante, arringa del processo “Borsellino Quater”, 7-8 febbraio 2017, Caltanissetta

Tratto da: 19luglio1992.com

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