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patuelli antonio c ansadi Giorgio Meletti
Il capo della lobby bancaria chiede i nomi di chi è stato finanziato dagli istituti in crisi. Ma i grandi buchi sono stati frutto di un “lavoro di squadra”

Nell’immenso caos delle banche sembra che i protagonisti non sappiano di che cosa parlano. L’ultima ideona l’ha avuta l’onorevole Antonio Patuelli, ex politico a 24 carati e oggi presidente dell’Associazione bancaria (Abi). “A titolo personale” ha chiesto che le banche salvate con denaro pubblico, in primis il Monte dei Paschi, rendano nota la lista dei “primi cento debitori insolventi”. Ci vuole però, annota, una legge che elimini il diritto alla privacy dei suddetti insolventi. A stretto giro il garante della Privacy, Antonello Soro, fa sapere che le persone giuridiche, cioè le società, non hanno alcun diritto alla privacy. Ohibò, Patuelli non lo sapeva? Comunque fin da oggi le banche salvate dai contribuenti e assimilabili (Mps, Etruria, Banca Marche, Cariferrara, Carichieti, Popolare di Vicenza e Veneto Banca) possono pubblicare senza esitazione le liste. Vedremo.

Segue la domanda più interessante: che cosa dovrebbe imparare il contribuente dalle liste delle imprese che hanno preso soldi in prestito dalle banche e non li restituiscono, formando il monte dei 200 miliardi di crediti inesigibili, note in gergo come “sofferenze”? Secondo Patuelli, la pubblicazione delle liste dei portatori di sofferenze “contribuirebbe a evidenziare più facilmente i casi di violazione di una norma che si chiama mendacio bancario, attualmente vigente e che si verifica quando qualcuno prende in prestito dei quattrini raccontando cose false alla banca a cui li chiede”.

È la terza e la più clamorosa post-verità dello storytelling dell’Abi. La prima fu che era colpa dell’ignoranza dei risparmiatori se venivano truffati allo sportello. Parafrasando il mitico brocardo di Beppe Viola (“Non sono io razzista, sei tu che sei negro”), l’Abi ha proposto l’indimenticabile: “Non siamo noi imbroglioni, siete voi che siete fessi”. La seconda è che le banche, caricandosi di crediti inesigibili, hanno fatto da ammortizzatore sociale a famiglie e imprese dopo l’inizio della crisi. La terza post-verità arriva oggi: imprenditori senza scrupoli hanno imbrogliato i banchieri, ottenendo crediti con dati di bilancio falsi. Ma qui di falso c’è solo la versione di comodo di Patuelli. Non c’è un solo istituto che abbia denunciato un cliente per “mendacio bancario” (articolo 137 del Testo unico bancario). Come mai?

La spiegazione è semplice. Innanzitutto il grosso delle sofferenze bancarie sono prodotte dai grandi debitori, non dalle famiglie né dalle piccole e medie imprese. Tra i grandi debitori insolventi la parte del leone la fanno i costruttori e gli immobiliaristi, uomini di relazioni forti, ammanigliati con le consorterie politico-affaristiche locali che spadroneggiano sulle banche. Ogni volta che gli ispettori della Banca d’Italia e la magistratura aprono un cassetto scoprono che dietro una sofferenza c’è la complicità tra il banchiere e il cliente.

Basta guardarsi intorno. Nel caso Tercas l’ex direttore generale Antonio Di Matteo è rinviato a giudizio insieme ad alcuni grossi clienti della banca. Tra essi gli immobiliaristi Raffaele Di Mario, Pancrazio Natali, Pierino Isoldi, Gilberto Sacrati, Vittorio Casale, Cosimo De Rosa. L’ex direttore generale di Banca Marche, Massimo Bianconi, è a giudizio per corruzione tra privati, e con lui alla sbarra ci sono gli immobiliaristi Vittorio Casale (ancora lui) e Davide Degennaro. L’ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, indagato per bancarotta, era immobiliarista in proprio, come presidente della grande coop di costruzioni Castelnuovese.

Veneto Banca ha promosso azione di responsabilità contro l’ex dominus Vincenzo Consoli (arrestato lo scorso agosto) e tutti gli amministratori dell’epoca, notando tra l’altro che “è stata rilevata una consolidata prassi di delibera degli affidamenti nonostante le informazioni raccolte nella fase di pre-istruttoria, istruttoria e proposta fossero alternativamente indicative di criticità della controparte, carenti o del tutto assenti”.

La Popolare di Vicenza ha deciso di fare azione di responsabilità contro l’ex presidente Gianni Zonin e gli altri esponenti del vertice rilevando “profili di irregolarità nella gestione di talune rilevanti posizioni creditizie”. L’atto di accusa specifica che “la Banca ha fornito sostegno finanziario a investimenti immobiliari e mobiliari, pur a fronte di apporti di capitale, da parte dei beneficiari, nulli o, comunque, marginali”, e ha fatto ciò “all’esito di istruttorie di tenore meramente descrittivo e spesso carenti di analisi sulla capacità di rimborso dei beneficiari o caratterizzate dall’assenza di idonee garanzie”.

In molti casi l’elenco degli insolventi dice poco. Nel caso di Mps, per esempio, i circa 600 milioni prestati al gruppo De Benedetti per il disastro Sorgenia non sono sofferenze perché sono stati convertiti in azioni (per cui adesso Mps è anche produttore di elettricità). Il debito con le banche del gruppo Marcegaglia, buona parte del quale con Mps, è stato “ristrutturato” meno di un anno fa, e quindi nell’elenco degli insolventi la presidente dell’Eni Emma Marcegaglia non c’è.

Rimane dunque la grande nebbia della narrazione patuelliana. Secondo lui, gli imprenditori hanno imbrogliato i banchieri. Secondo la Banca d’Italia e la Consob, i banchieri hanno imbrogliato la Vigilanza (infatti sono stati quasi tutti denunciati per ostacolo alla Vigilanza). Secondo la magistratura, i banchieri e i loro clienti-amici hanno imbrogliato la banca a loro affidata.

Probabilmente la verità sta nel mezzo. Banchieri, clienti-amici e Vigilanza, accusandosi gli uni con gli altri, stanno prendendo in giro i contribuenti.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Ansa