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rostagno telecameraIntervista
di Angelo Mastrandrea
La pista dei servizi segreti deviati e del traffico d’armi internazionale che arriva al caso Alpi
Carla Rostagno ha un solo cruccio: non aver scoperto prima l’archivio abbandonato di suo fratello Mauro. «Chissà quanto altro materiale avremmo potuto ritrovare», dice oggi, speranzosa che la Corte d’Appello confermi la sentenza di primo grado che ha condannato all’ergastolo Vito Mazzara e il boss trapanese Vincenzo Virga. Dopo ventotto anni, è soddisfatta a metà, perché si è fatta luce sugli assassini del giornalista, ma rimangono ancora molti misteri. Uno su tutti: cosa aveva per le mani Mauro Rostagno quando fu ucciso? Di cosa aveva parlato con il magistrato Giovanni Falcone?

Com’è possibile che nessuno abbia mai pensato di riportare alla luce l’archivio degli editoriali e delle inchieste televisive di suo fratello?
È una pena che mi sono portata nel cuore per tanto tempo. Credevo che Rtc, dopo il fallimento, si fosse presa tutto il materiale. Quando Alberto Castiglione è venuto a intervistarmi per il documentario e mi ha detto di aver visto quelle cassette abbandonate in un magazzino a Trapani, sono sobbalzata e ho deciso di recuperarlo. Almeno siamo riusciti a mostrare quello che Mauro stava facendo. Pensi che già all’epoca ogni mattina trasmetteva un telegiornale in arabo per i tunisini e i marocchini che vivevano a Trapani.

Nel frattempo erano passati quasi vent’anni.

Chissà quanto materiale è scomparso. Le faccio solo un esempio: l’intervista ad Alessandra Faconti, la collaboratrice di cui Mauro più si fidava, al punto da mandarla a incontrare Falcone, distrutta su insindacabile giudizio di un maresciallo dei carabinieri. Non è l’unico episodio inquietante.

Difficile immaginare che si sia trattato solo di negligenze.
A voler essere gentili, possiamo dire che le indagini sono state come minimo superficiali. Le persone che si dovevano occupare del territorio e della sicurezza non hanno nemmeno transennato l’area. Tutti toccavano tutto, hanno lasciato impronte dappertutto, e nessuno ha preso l’impronta delle ruote dell’auto. E poi, se Mauro era già morto, perché l’hanno spostato? Non si tocca un cadavere sul luogo del delitto.

Poi ci sono state le false piste e i depistaggi.
Il procuratore Antonino Ingroia aveva detto che il tipo di depistaggi messi in atto indicava un altro livello nell’omicidio.

Vuol dire che la mafia trapanese avrebbe solo eseguito la sentenza di morte e che dietro il delitto ci sia un livello più alto?

Le motivazioni della sentenza lo lasciano intendere. Non si può organizzare un omicidio di questo tipo a Trapani senza il consenso della mafia. Sono contenta del risultato raggiunto, i magistrati sono stati bravi dopo tanti anni, ma ci sono ancora molti punti interrogativi. Di sicuro quella sera ad aspettare Mauro erano in cinque, solo uno dei killer è stato condannato.

Rimane tuttora inevasa la domanda principale: perché Mauro Rostagno è stato ucciso?
Mauro amava parlare chiaramente, era una voce scomoda, indisciplinata. Diceva che «la rivoluzione è qui, a Trapani, adesso». Sentiva il bisogno di aiutare quella gente soggiogata dalla mafia, come in precedenza, dai tempi di Lotta Continua, si era occupato degli emarginati. Con lui la città siciliana ha vissuto la sua unica primavera. Mauro si è trovato in mezzo ai lupi, da solo, e i lupi l’hanno sbranato. Non sarebbero riusciti a imbavagliarlo, lo sapevano e per questo lo hanno ucciso.

Una delle piste seguite è stata quella del traffico internazionale di armi.
Bisognerebbe capire cosa aveva in mano, di cosa aveva parlato con Falcone. Sicuramente doveva essere qualcosa di molto scottante. Quella sera a Trapani in tanti hanno brindato. Ancora oggi qualcuno sa bene di cosa si trattava.

Tratto da: ilmanifesto.info