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tranfaglia nicola web2di Nicola Tranfaglia
A livello dell'Unione Europea il contributo dell'economia sommersa al Prodotto Industriale Lordo è calato in dieci anni,dal 2003 al 2013, passando dal 22,4% al 16,5% mentre nella media dell'area euro la performance si abbassa al 15 per cento. In valori assoluti il primato europeo spetta alla Germania che ha una cifra di 351 miliardi di euro di economia sommersa sul PIL davanti all'Italia con 333 miliardi di valore del "nero". Il peso sul PIL dell'Italia è stimato tra il 17% e il 21% contro il 13% del dato tedesco.
Ma i rapporti di forze cambiano se si prende in considerazione le regioni del Mezzogiorno. Qui il sommerso incide per il 27 per cento sul PIL e l'economia criminale/illegale per circa l'undici per cento.
Una proposta è arrivata al governo e al Ministero dello Sviluppo Economico da parte dell'Ufficio Studi della Banca Intesa/San Paolo: se l'Italia riuscisse ad abbassare il proprio livello di economia sommersa allineandosi ai livelli medi dell'area euro (ossia a un dato del 15% dell'area Euro invece che come è ancora oggi al 17-21%) si otterrebbe una emersione di gettito fiscale e contributivo di circa 40 miliardi di euro all'anno.
Con effetti benefici indubbi sulle casse dello Stato e una conseguente crescita del PIL stimata in circa dieci miliardi di euro. Peraltro quattro imprese del settore commerciale (82,4%) si sentono colpite dai meccanismi commerciali fuori dalle regole, un fenomeno particolarmente accentuato nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno d'Italia. Oltre la metà delle impresesi ritiene danneggiato in modo più o meno grave dall'azione dell'illegalità (il 37%,3% delle imprese "molto" o abbastanza danneggiato" e il 20% "mediamente" danneggiato) mentre soltanto il 17,6% afferma di non sentirsi danneggiato dal problema. Più di un terzo delle imprese, il 34,9 %, segnala l'acuirsi del fenomeno, mentre soltanto per il 7,2% i fenomeni illegali sono diminuiti. Per il 57,9% l'intensità sarebbe rimasta invariata.
Per il 75,3% delle imprese del terziario l'azione della illegalità, in tutte le sue forme, in primo luogo genera concorrenza sleale, o riduce i ricavi e il fatturato a causa delle "mancate vendite". Proprio a causa della concorrenza sleale di coloro che, operando illegalmente, non sostengono i costi delle imprese in regola,il 13,6% delle imprese dichiara di dover rinunciare ad assumere nuovi addetti o, in qualche caso, a mantenere i livelli occupazionali attuali.
Per il 66,4% delle imprese la crisi economica-non ancora superata- sta favorendo l'acquisto di prodotti e servizi illegali. Per oltre il 70 per cento degli imprenditori il motivo principale dell'acquisto di prodotti o servizi illegali è prevalentemente di natura economica.
Tra i consumatori uno su quattro ha fatto negli ultimi dodici mesi un acquisto consapevole di merci contraffatte. Più in generale gli imprenditori ritengono che i consumatori acquistino prodotti contraffatti o ricorrano a servizi esercitati in modo palesemente abusivo perché:
a. pensano di fare un buon affare, risparmiando (79,3%);
b. ritengono che l'acquisto di un servizio abusivo costa meno (71,2%);
c. anche se "pericoloso" il prodotto illegale è più economico e si risparmia (70,6%);
d.i prodotti illegali costano comunque meno rispetto a quelli non illegali (53,8%);
e .per mancanza di sufficiente informazione sui pericoli che si corrono acquistando beni e servizi illegali (28%).
Insomma, ancora una volta, le ragioni si considerano in una che è sempre la stessa nella penisola: perché non conoscono bene la realtà complessiva con cui hanno a che fare.

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