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borsellino manfredi c castolo giannini1L’intervista
di Enrico Bellavia
Per il figlio del giudice ucciso nel '92 proprio su ordine del capo di Cosa Nostra, la scelta di viale Mazzini "è incredibile"

Roma. "Mi verrebbe voglia di non dire nulla e non certo per reticenza. Perché questa storia ha dell'incredibile". Manfredi Borsellino, commissario di polizia, figlio del giudice Paolo ucciso nel 1992 proprio su ordine di Riina e soci, risponde cortese ma con malcelato fastidio. Ne nasce una conversazione che in più punti si avvita sulla convinzione che parlarne è già regalare vantaggio a chi non dovrebbe averne.

"Perché è proprio questo il punto, parlandone si rischia di fare proprio un favore a chi come il figlio di Riina è evidente che cerchi il massimo del clamore. Lui vende la sua merce ma il paradosso è che lo invitino a promuoverla".

Per dire del privato del clan familiare dei Riina?
"Io non mi scandalizzo più di tanto se il figlio di un feroce criminale, mafioso anche lui, voglia dire la sua, trovo incredibile che gli si offra una ribalta televisiva, per di più pubblica. Ognuno può avere le opinioni che crede. Ammetto pure che ci possa fare un libro, ma potere diffondere su larga scala l'idea che suo padre sia un eroe, ecco questo mi sembra semplicemente incredibile. È la promozione che crea il caso, con il risultato di accrescere un interesse che non ci sarebbe stato. Ecco perché penso che parlarne sia l'esatto contrario di quel che dovrei fare".

Interesse o no, questa vicenda la turba?
"In questi 24 anni ho assistito a talmente tante cose che ho maturato una scorza di disincanto, frutto della leggerezza che è tra le eredità che ho ricevuto da mio padre. Leggerezza non superficialità. Il figlio di Riina scrive un libro che può attizzare curiosità, non certo la mia, che ho ben altre curiosità, a partire dalla verità sul 1992. Non c'è alcun elemento di utilità che posso ricavarne. Non capisco però perché questo debba essere accolto con una tale enfasi da farlo diventare un caso. Qui è del mezzo che discutiamo. Poi ci sono tante altre considerazioni possibili".

Per esempio?
"Salvo Riina è lui stesso un condannato che ha espiato una pena per mafia. Non c'è alcuna presa di distanza. Anzi. Stando ai fatti è una persona che ha condiviso in pieno i disvalori del padre e dei suoi sodali. Che può veicolare il quadro da famiglia normale in cui privato e pubblico sono distinti e si tace del tutto del secondo. Ma ripeto, io riesco a guardare a tutto questo con distacco".

Per altri invece non è così, non crede?
"Sì, quella intervista riacutizza una ferita che non può mai chiudersi. E soprattutto da' l'immagine di un mondo sottosopra. Perché ciò che si dice non è secondario e non lo è neppure il mezzo attraverso il quale quelle cose si dicono e l'effetto che hanno. Tra noi familiari di vittime, come è normale, ci sono emotività e approcci diversi e rispettabili".

Vede l'intervista?
"Vedo la partita di Champions e la risolvo così: diciamo che ho un carattere che mi aiuta. Provo a immedesimarmi in chi ha un modo di vivere il proprio dolore in maniera diversa e allora capisco perfettamente che si tratta di uno schiaffo".


Tratto da: repubblica.it

Foto © Castolo Giannini