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cocaina eurodi Andrea Malaguti
La ’ndrangheta “con le scarpe lucide” guadagna 30 miliardi l’anno Riservata e solvibile ha la fiducia dei cartelli colombiani e messicani

Il fiume di cocaina che segna il perimetro dell’omicidio di Luca Varani, della violenza fredda e paranoide di Marco Prato e Manuel Foffo costituendone il presupposto, alimenta le voglie e le ossessioni quotidiane di tre milioni di italiani e ne scatena l’aggressività nelle strade e nelle case, esondando dai suoi argini da Milano a Roma, da Bologna a Siena, da Napoli a Palermo, per ritrovare la sua fonte rigeneratrice nella Locride e consegnare alle cosche calabresi un tesoro da trenta miliardi l’anno. È quello che il magistrato Nicola Gratteri definisce «il più grande affare nella storia della ‘ndrangheta».  

Tutto comincia e finisce in questa striscia di terra incantata tra lo Ionio e il Tirreno, dove la natura vince, l’uomo perde, lo Stato è ridotto a comparsa e le regole non valgono. A meno che non siano quelle delle famiglie mafiose, confuse da tempo con la buona borghesia cittadina e ormai composte da avvocati, notai, imprenditori e commercialisti. È la ‘ndrangheta con le scarpe lucide, quella che, per chiudere il cerchio, si è alleata anche con la massoneria. «Migliaia di uomini e donne che mangiano negli stessi ristoranti, dividono gli stessi affari e gli stessi discorsi, gli stessi teatri e le stesse parrocchie delle famiglie perbene, rendendo sempre più difficile la possibilità di distinguere il bene dal male. Solo una cosa è certa nel reggino: nulla è possibile senza che la ‘ndrangheta abbia dato il suo benestare», dice il procuratore capo della Repubblica Federico Cafiero de Raho. E mentre parla sembra appesantito. Come se avesse guardato una cosa nera e lontana e all’improvviso fosse stato costretto a ingoiarla.  

«La scorsa settimana abbiamo arrestato i vertici del sistema Reggio a cominciare dall’avvocato Giorgio De Stefano, dimostrando una volta di più che in questa provincia la ‘ndrangheta non è presente solo nei grandi appalti, ma costringe le persone a piegarsi ai propri voleri anche per le singole ristrutturazioni casalinghe. Devi cambiare gli infissi? In quella via c’è la nostra azienda. Alberghi, ristoranti, negozi, nulla sfugge. E nessuno può crescere in un sistema in cui molti imprenditori vanno a cercare le famiglie prima che le famiglie cerchino loro. Chi può manda i figli a studiare altrove. Chi non può si adegua. La paura ha spinto tanti ad arrendersi. Eppure noi siamo qui. E qualcosa piano piano si muove». Ma come lo Stato si muove la ’ndrangheta reagisce. Come in questi giorni. Colpi d’arma da fuoco, minacce fisiche, auto in fiamme e biglietti intimidatori che contengono un ultimo avviso. «Viri chi porci campanu pocu». Vedi che i maiali hanno vita breve.

Per combattere le organizzazioni mafiose il governo investe due miliardi e mezzo l’anno. La sola ‘ndrangheta ne fattura 44. La capacita economica delle famiglie è enorme. E il 66% di queste entrate è fatto di cocaina. Tre milioni di italiani comprano, le famiglie prosperano e un pezzo del paese va alla deriva, tanto che Anna Rita Leonardi, giovane dirigente del Pd, è costretta a dire nelle interviste: «Se resto viva una cosa è certa, sono candidata sindaco e porterò Platì alle elezioni». Se resto viva. Platì, come San Luca, dove sono i carabinieri, secondo la procura, «ad essere circondati dalla ‘ndrangheta e non loro a circondare i mafiosi». Quanto è alto il prezzo della coca? E chi lo paga veramente?

Anche la camorra ci si è messa d’impegno, ma nessuno è bravo come i calabresi sul mercato internazionale della coca, nessuno conta quanto loro, capaci di stringere rapporti blindati con i colombiani, considerati duri quanto i messicani e però più affidabili. «Non amo fare l’elogio della criminalità, ma la considerazione internazionale della ‘ndrangheta è legata a due motivi: ha meno collaboratori di giustizia ed è solvibile. Paga fino all’ultimo centesimo», dice Gratteri. Così la cocaina, distribuita in ogni angolo d’Europa e del pianeta, arriva in Italia senza soluzione di continuità, passando dall’Africa, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania, dal Belgio e dall’Olanda e inondando i nostri porti. «Nei primi due mesi del 2016 ne abbiamo sequestrati settecento chili solo a Gioia Tauro», dice Cafiero de Raho.  

Nel porto di Gioia Tauro, il più grande terminal per trasbordo del Mediterraneo, passano tre milioni di container ogni dodici mesi. Controllarli tutti è impossibile ma dentro quei giganteschi parallelepipedi di metallo, assieme alla merce che finisce nelle nostre case, si trovano armi, rifiuti radioattivi e tonnellate di cocaina, che in genere vengono caricate all’insaputa di chi compie il trasporto manomettendo i sigilli dei container. Le cooperative addette allo scarico sono spesso infiltrate dalla ‘ndrangheta, o addirittura sono state fondate dalle famiglie.

Perché non sciogliete le cooperative e ripartite da zero? «Legalmente non si può. Perché ne prendi due o tre e magari ti dicono che tutti gli altri sono sani. Che fai mandi tutti a casa? Porti via lavoro?», risponde Cafiero de Raho. Così polizia, carabinieri e guardia di finanza combattono una guerra che non possono vincere e per ogni container che viene scoperto ce ne sono nove - secondo le dichiarazioni dei pochi collaboratori di giustizia - che passano indenni. «Non c’è nessuna merce al mondo con un rapporto così smisurato tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita», ha spiegato il professor Isaia Sales, esperto di criminalità economica.  

Il business mondiale della droga supera i 500 miliardi di dollari e a favorire il giro dei narco-euro sono funzionari di banca, avvocati e broker, perciò, secondo Giuseppe Lombardo, magistrato a Reggio Calabria: «dobbiamo essere consapevoli che contrastare le mafie significa impedire, in un certo senso, che l’economia riparta». È il suo modo per segnalare quello che forse è il punto più controverso del problema: siamo sicuri che l’economia legale riesca a sopravvivere senza quella illegale? E chi si porta dentro questo dubbio ha voglia di mettere la criminalità organizzata con le spalle al muro? «La crescita della criminalità economica non è stata ostacolata dall’economia legale. I soldi della cocaina fanno gola a molti, non soltanto in Italia. Io e il professor Nicaso lo sosteniamo da tempo: è necessaria una azione di contrasto a livello internazionale», chiosa Gratteri.

Esiste lo spaventoso giro d’affari con le conseguenze fuori controllo sull’organizzazione di regioni come la Calabria e la Campania ed esistono gli effetti che la cocaina, considerata una droga socialmente accettabile, produce sui consumatori. «Io temo che i consumatori di cocaina nel nostro paese superino abbondantemente i tre milioni», dice il colonnello Paolo Iannucci, della direzione centrale dei servizi antidroga. Solo a Roma, nel corso del 2015, sono stati sequestrati 310 chili di polvere bianca e secondo Michele Andreano, legale di Manuel Foffo, il suo cliente «non avrebbe ucciso se non fosse stato un cocainomane». Difficile stabilire se abbia ragione, più facile notare la distanza che corre tra la straordinarietà dell’omicidio Varani e la diffusione «epidemica» - secondo Federico Tonioni, responsabile dell’area dipendenze del policlinico Gemelli - della cocaina. «Una sostanza che in fase acuta produce una sospensione della capacità di fare esami di realtà». Il collega Luigi Janiri, direttore dell’unità di psichiatria del policlinico, racconta che la cocaina «è il più potente antidepressivo che ci sia, ma ha un effetto così forte che non può essere usato come farmaco». La cocaina non solo non cura la depressione ma produce dipendenza, può causare ictus, infarti, crisi epilettiche e certamente moltiplica esponenzialmente l’aggressività. «I cocainomani sviluppano idee paranoidi, diffidenza, ostilità. Immaginano di essere seguiti dalla polizia. O magari spiati dai genitori. Noi li trattiamo come se fossero pazienti psicotici, per esempio bipolari o schizofrenici. E sappiamo bene che una bella responsabilità sui comportamenti antisociali che registriamo per strada sono addebitabili alla cocaina», dice Janiri.  

Mattia F. ha 49 anni ed è cresciuto alla Magliana. Era bambino quando la banda prendeva il controllo della Capitale, ma è con loro che è cresciuto e a sedici anni ha cominciato a tirare. Ha continuato fino al 2011 e solo adesso sta finendo il suo ciclo di disintossicazione. «Per la prima volta in vita mia riesco a fare i conti con me stesso. Sto imparando a capire chi sono, che cosa voglio, che cosa è importante per me». Come se avesse sempre vissuto in una dimensione parallela.  

Elegante, i capelli chiari, una faccia da duro buono, Nicola ripercorre le curve della sua vita complicata. Dà l’impressione di essersi tolto la cravatta un minuto prima, anche se forse non l’ha mai portata e di venire da un ambiente più elevato. Un paradosso ambulante. Un padre violento, i primi reati, i lavori per il cinema. «Guadagnavo bene. Anche perché poi integravo andando a lavorare nei locali. Mi alzavo e il mio primo pensiero era la cocaina. Lo stesso che avevo prima di andare a letto. Quando ci andavo. In una sera ero in grado di prenderne anche 25 grammi». I rapporti personali che vanno a pezzi, il bisogno di denaro costante, il consumo che si aggiunge allo spaccio. «Ne avevo quanta ne volevo e la prendevo nei posti giusti. Pura all’83%. Un giorno mi hanno arrestato con sette grammi in tasca. Il giudice mi ha chiesto: dove l’hai presa? A Termini. Quello ha riso: vai in galera, va». Cocaina così pura può arrivare solo dal grossista, ‘ndrangheta o camorra. Nelle dosi standard il grado di purezza può toccare il 15% se sono per le periferie, il 45% se sono per i quartieri bene. E i prezzi possono ballare tra i 15 e i 200 euro. «La ‘ndrangheta ha trasformato la cocaina da droga per ricchi a sballo di massa», dice Gratteri. Uno sballo perfetto per la modernità. Mattia, che oggi fa l’artigiano, in galera ci è rimasto due anni. E’ uscito e ha ricominciato. «Mi sono rovinato fisicamente. Scatenavo risse con chiunque, ogni motivo era buono per fare a pugni, in strada, nelle discoteche, nei bar». Una donna l’ha spinto a cambiare vita. A scoprire finalmente la sua. «Con lei è finita. Ma oggi so chi sono. E mi piace».

Tratto da: lastampa.it

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