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proto graziella1di Valeria Scafetta
“Per raccontare il Sud servono tante voci, libere, non bastano pochi giornalisti, e soprattutto bisogna aiutare chi sta in frontiera”. Graziella Proto (in foto) ha una storia che la lega al giornalismo siciliano antimafia: un destino che non teme etichette, la rende una dei riferimenti di molti cronisti, non solo nell’isola. Dopo aver raccolto l’eredità de I Siciliani, fu eletta presidente della cooperativa subito dopo la morte di Fava, pagando in tutti i sensi l’onere della sopravvivenza e quelli del fallimento, nel 2006 ha fondato una società editoriale Le Siciliane e ne dirige il bimestrale Casablanca, dal 2009 solo online. Un impegno che non si ferma nonostante le difficoltà, soprattutto economiche, lascino poco spazio alla speranza e più alla consapevolezza che c’è bisogno di continuare, ma, affinché ci si riesca, serve la solidarietà reale di tutti.

“Ho finito questa mattina di sistemare il numero di Casablanca, come al solito una grande fatica tutta sulle mie spalle”. Graziella Proto, erede del giornalismo etico di Pippo Fava, parla del bimestrale che dirige dal 2006, online dal 2009, come di un cartaceo, perché il suo modo di raccontare e divulgare è nei caratteri impressi della stampa.
Per portare avanti il suo impegno, dopo la chiusura per problemi di bilancio, ha accettato la convenienza, solo economica per lei, dello strumento virtuale. Lo fa da sola, o quasi, con l’aiuto di due amiche, una professoressa universitaria ed una grafica, seguita da alcuni ragazzi per i quali rimane un solido punto di riferimento. “I simboli hanno una certa importanza, per me continuare a parlare di Pippo Fava e del suo concetto di giornalismo etico è fondamentale”.
La sua carriera doveva essere altra, biologa con l’aspirazione di diventare oncologa, incontrò Pippo Fava e si mise a collaborare con I Siciliani. Lo faceva da esterna, fino a quando non vide il corpo crivellato di colpi del direttore e decise che avrebbe dedicato la sua vita agli organismi viventi, in un altro modo, allenando le loro menti alla conoscenza e i loro muscoli alla battaglia per il rispetto dei diritti e delle regole.
“Io non nasco giornalista, sono una biologa quasi oncologa: sono una donna, bellina, appariscente e questo mi si è rivoltato spesso contro. Ho lavorato con Biagi e Sandro Curzi, ma quando ho deciso di aprire un giornale mio, Casablanca, ho dovuto sottostare all’immagine comune “impossibile una fimmina che dirige un giornale, per di più antimafia”. Ma io sono andata avanti con tanti giovani che mi seguivano anche se non potevo promettere loronulla”.
Nel 2009 troppi i debiti anche per Graziella, che non ha esitato a farsi ipotecare la casa per farvi fronte, e si decide di continuare online con qualche scotto da pagare. “Fino a quando eravamo in edicola, cartacei, benché nascosti dietro altre testate, eravamo più appetibili per i ragazzi, aspiranti giornalisti, ora che siamo online e che non possiamo neanche garantire 100 euro al mese, cosa promettiamo: un futuro di miseria? Alcuni di quelli che si sono formati con noi poi sono andati a lavorare a Il Fatto Quotidiano o a Repubblica, altri hanno percorso strade diverse. Siamo stati comunque una buona scuola”.
I giovani la considerano un esempio e non lo nascondono, in tutte le assemblee nelle quali la invitano, da Milano a Trapani: è per loro che Graziella non si rassegna, perché ancora crede che debbano rimanere nell’isola, perché c’è bisogno del loro lavoro. Proprio questo è uno dei motivi per cui si arrabbia con i colleghi che, in Sicilia o a Roma, si occupano di mafia con maggiore visibilità, nelle testate e nei tg nazionali, e non sentono l’esigenza di tutelare chi prova a farlo dai territori, con più rischi e meno coperture.
“Quando Sciascia attaccò i professionisti dell’antimafia, io mi arrabbiai molto, ero addolorata; ma oggi, con lo stesso dolore, devo ammettere che aveva ragione. Io non mi so autopromuovere, è un mio limite. Dopo due mesi che eravamo in edicola, entrarono nella redazione e si portarono via il computer, il server, con tutto il tavolino, mouse compreso, senza scassinare per dimostrare che potevano entrare quando volevano. Noi non abbiamo fatto proclami, siamo finiti nella lista dei giornalisti minacciati, con la grande solidarietà, a parole, di tutti. Io sono 35 anni che scrivo e mi espongo, hanno provato a farmi uscire fuori strada sulla scogliera e non l’ho nemmeno denunciato. Ma mai un giornalista di quelli “potenti”, quelli che hanno la visibilità nazionale, anche in televisione mi ha dimostrato solidarietà concreta. Vieni alle mie iniziative, segui il mio lavoro, dai visibilità a quello di cui mi occupo e soprattutto: se vuoi veramente essere solidale con chi fa giornalismo in frontiera, stai con noi. Le grandi firme potrebbero mobilitarsi affinché vengano offerti stage gratuiti ai ragazzi che provano a fare questo mestiere qui, ospitare chi cerca di far sopravvivere piccole testate nelle trasmissioni o nei quotidiani nazionali. Questa è vera solidarietà. Non la commemorazione quando diventi un simbolo perché ti hanno ammazzato”.
In tutti i suoi interventi pubblici la Proto ci tiene a precisare che sul territorio ci sono tanti piccoli-grandi giornalisti che stanno in trincea, gomito a gomito col nemico che combattono. Spesso prendono il caffè allo stesso bar nello stesso momento. È a questi colleghi che dire solo “sono solidale con te” non basta.
“Sono cambiati i tempi, ci sono magistrati che preferiscono passare le notizie ai giornalisti delle grandi testate, e non a chi è sul territorio. Va bene, perché loro hanno gli strumenti, ma, almeno, che i colleghi ci stiano vicino, seguano le storie che approfondiamo. Ci sono tante piccole realtà editoriali che resistono, ma sono dei sogni che purtroppo vanno a morire”.
Casablanca vive, nonostante sembri sempre sul punto di arrendersi.
Su www.lesiciliane.org/casablanca si possono continuare a leggere le inchieste e la storia di una Sicilia che difficilmente raggiunge le prime pagine. È la voce di chi si batte contro la mafia, di chi è disperato prima che tale sofferenza venga intercettata e risolta a loro modo proprio dalle organizzazioni criminali. Si racconta la resistenza soprattutto di chi non vuole che il territorio dell’isola diventi l’ennesima merce di scambio e venga definifivamente distrutto.
“Noi rimaniamo per un giornalismo etico, ci occupiamo di ambiente e diciamo no alle trivellazioni in mare e ogni numero abbiamo più approfondimenti sul tema dell’immigrazione. Continuo a crederci, anche se mi manca la redazione fisica, quel confronto diretto: guardarsi negli occhi e mandarsi anche a quel paese. Non credo molto nel giornalismo che faccio ora, ma lo faccio perché non ho alternative. Ho chiamato la mia impresa Le Siciliane perché siamo tra le donne più libere e moderne d’Italia anche se ne ho incontrate troppe che hanno paura a riconoscerlo e a lottare per i nostri diritti, però la mia determinazione è fimmina. La prima donna del mio giornale sono io, non le grandi firme, di cui posso fare a meno. Per cui il prossimo numero ci sarà per tutti quei ragazzi che me lo chiedono. Mi sembra di pestare acqua nel mortaio ma dobbiamo andare avanti”.
(14.03.2016)

Tratto da: dossiersud.it

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