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abbate lirio 0di Rino Giacalone
Da Trapani alzata di scudi della Camera Penale a difesa dell’avvocato che a Roma ha attaccato il giornalista Lirio Abbate (nella foto)… ma ce ne è anche per lo scrittore Francesco La Licata

La camera penale di Trapani, guidata da uno tra i più anziani avvocati del foro, Vito Galluffo, ha deciso di alzare gli scudi a difesa del collega romano, avvocato Bruno Giosuè Naso, impegnato nel processo cosidetto “mafia capitale”, difensore di quel Massimo Carminati che per la procura romana guidava la cupola mafiosa della capitale e che, per rendervi conto di chi si tratti, fu intercettato al telefono con un ignaro operaio mentre a questo povero cristo senza mezzi termini gli ricordava che lui era uno del quale doveva aver paura. L’avvocato Naso di recente ha trovato modo e maniera per protestare (ma la parola poco si adatta a ciò che in realtà ci pare abbia fatto) platealmente contro il collega de L’Espresso Lirio Abbate, uno tra i pochi, se non l’unico, ad avere alzato il coperchio della pentola del malaffare mafioso insinuatosi nella Capitale ancora prima che venissero eseguiti gli arresti ordinati dalla procura di Roma a conclusione delle indagini dei carabinieri del Ros. Storpiandone il nome, Lirio è stato chiamato “Delirio”. Le parole dell’avvocato naso sono state contestate da più parti. La Camera Penale di Trapani ha deciso di far sentire su questo caso la propria voce, anche se in fin dei conti le vicende romane sono lontane da questa città. In sostanza la Camera Penale di Trapani, con un documento mandato al ministro della Giustizia Orlando, per sottolineare il rango di diritto inviolabile che la Costituzione riconosce alla difesa, prendendosela a male con i giornalisti che hanno stigmatizzato il comportamento dell’avvocato Naso, ma anche con il collega de La Stampa, Francesco La Licata, ha deliberato che ad apertura di tutte le udienze penali che si svolgeranno dal 22 al 26 febbraio, gli avvocati chiederanno che si metta a verbale la seguente dichiarazione: “l’avvocato difende la libertà con la libertà di difendere”. Cosa che pare prenda spunto da un articolo scritto da Francesco La Licata che ricordando su La Stampa, lo scorso 8 febbraio, i 30 anni dall’avvio del maxi processo di Palermo, ha ricordato gli scenari vissuti in quell’aula bunker: “Un quadretto a parte meritavano gli avvocati, la maggior parte dei quali appiattiti sulle richieste dei loro clienti, che li volevano strumenti per sabotare il maxiprocesso.

E così molti – un po’ come sta accadendo adesso al processo di “Mafia capitale” a Roma – finivano di assicurare il giusto diritto alla difesa per accostarsi quasi affettivamente ai loro assistiti e cedere a richieste poco decenti, come la lettura integrale degli atti, prassi desueta nei dibattimenti “normali” che sarebbe servita solo ad allungare il processo fino alla scadenza dei termini di carcerazione preventiva. Un’affezione clientelare giustificata anche dal ritorno economico che consentì a qualche legale l’acquisto di uno yacht, umoristicamente chiamato “Maxi”. La Licata ricordando quei comportamenti è diventato con Lirio Abbate altro obiettivo della reprimenda sottoscritta dal presidente della Camera Penale di Trapani, avvocato Vito Galluffo. Diciamo subito. L’iniziativa deliberata dalla Camera Penale indubbiamente deve essere apprezzata perchè sancisce ulteriormente l’assoluta libertà di azione che deve essere consentita nel rispetto della Costituzione ad ogni avvocato nell’esercizio del proprio ruolo. Ciò che non ci convince è l’occasione scelta per intervenire, abbiamo la sensazione che sia stata l’utile pretesto per dirne quattro al mondo dell’informazione. La Camera Penale di Trapani ha deciso di porsi contro i giornalisti, e se è così la cosa ci dispiace… ma non ci sorprende. A Trapani , come ha anche ricordato di recente il sindacato dei giornalisti, sempre più intensi si sono fatti gli attacchi ai giornalisti anche da parte di esponenti dell’avvocatura locale. I penalisti scrivono al ministro Orlando ma è ovvio che non è con lui che se la prendono. Noi pensiamo che una cosa è il diritto di difesa, una cosa è l’articolo 598 del codice penale – “non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un’Autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo – altra cosa è parlare in un’aula di Tribunale per dire sostanzialmente al proprio assistito che in caso di condanna è col giornalista che bisogna prendersela. Perchè questo ci sembra abbia fatto l’avvocato Naso che ci è apparso, al contrario di ciò che dice la Camera Penale di Trapani, davvero poco continente nei suoi interventi. Indubbiamente, ci può essere l’articolo 598 ma c’è anche l’articolo 21 della Costituzione che vale per tutti anche per gli avvocati ci mancherebbe altro!

E però non può che valere anche più propriamente per giornalisti come Francesco La Licata che su La Stampa, ricordando quel maxi processo alla mafia lontano 30 anni ha raccontato ciò che di vero è accaduto nell’aula bunker dell’Ucciardone, e cioè anche la pretesa di alcuni avvocati di non dar per letti i verbali, e questo per allungare i tempi del dibattimento e arrivare ad utili scarcerazioni. Francesco La Licata, e Lirio Abbate, non hanno inventato nulla, così la pensiamo noi. Non c’è stato nulla di precostituito per attaccare sui giornali i diritti delle difese, non c’è alcuna campagna di stampa contro l’avvocatura, ma si sono solo raccontati i comportamenti di alcuni difensori, in ultimo quello dell’avvocato Naso per esempio. La Camera Penale di Trapani però ha deciso di fare la voce grossa, scrivendo al ministro della Giustizia Orlando e ad una serie infinita di autorità. Rassicuriamo i penalisti trapanesi, non ci sono campagne di stampa in corso contro l’avvocatura. E senza indicare come esempio il documento della Camera Penale di Trapani diciamo a tutti che l’aggressione c’è invece chi vuol farla alla libertà di informazione. Non è una sensazione, ma è supportata da dati di fatto, minacce e querele che hanno il sapore di vere e proprie intimidazioni, querele cosidette temerarie, che da decenni , a Roma, come a Trapani, hanno dato forma alle aggressioni alla libertà di informazione, e l’aggressione si è fatta ogni volta più forte quando l’informazione è riuscita a far vedere ciò che si voleva nascondere, le cupole mafiose, le commistioni, i salotti dove mafie, poteri e massonerie di vario genere si accordavano o si accordano ancora oggi. A Roma…come a Trapani. Anzi…a Trapani come a Roma.
(13 febbraio 2016)

Tratto da: articolo21.org

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