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di matteo c giannini big0Un altro pentito: “Il tritolo per lui è a Palermo”. Ma non si trova. Sfogo a Taormina
di Giuseppe Lo Bianco
Palermo. Il pm Nino Di Matteo ha una “brutta sensazione”, ma attorno a lui il silenzio è assoluto. Della politica, delle istituzioni e dei media. A Palermo parla un nuovo pentito, Francesco Chiarello, boss del Borgo Vecchio, interrogato da due pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che si occupano di mafia militare, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, e conferma uno dei segreti che Cosa Nostra custodisce meglio: “L’esplosivo per l’attentato al pm Nino Di Matteo è stato trasferito in un altro nascondiglio sicuro”. Che ancora non si trova: lo hanno cercato nelle borgate marinare e nelle campagne di Monreale, sono state fatte irruzioni e perquisizioni, ma di quei duecento chili di tritolo nascosti da qualche parte in città, o in periferia, non c’è traccia. Si sa solo che sono pronti ad essere utilizzati non appena le “menti raffinatissime” decideranno che il momento è arrivato. Di Matteo lo sa e le sue parole suonano come un’estrema denuncia di solitudine di fronte a un rischio che aumenta ogni giorno nel disinteresse generale.

PER GLI INVESTIGATORI, infatti, le parole del pentito sono un riscontro importante alle rivelazioni di Vito Galatolo, che l’anno scorso parlò del progetto di attentato al pm più blindato d’Italia voluto dal superlatitante Matteo Messina Denaro: “Fu sollecitato attraverso un pizzino che ci venne letto dal boss di San Lorenzo Girolamo Biondino in una riunione a Ballarò il pomeriggio del 9 dicembre 2012”. Oggi Chiarello conferma l’esistenza dell'esplosivo e i nomi dei protagonisti: a parlargliene, dice, è stato Camillo Graziano, suo compagno di cella: “Mi disse che per fortuna suo padre  era stato scarcerato, così aveva potuto spostare il tritolo”. E il padre di Camillo è Vincenzo Graziano, il vice di Vito Galatolo che lo ha indicato come il custode dei 200 chili di tritolo comprati in Calabria fra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, da utilizzare contro Di Matteo. Dichiarazioni raccolte in un verbale immediatamente inviato alla Procura di Caltanissetta che ha riunito in un fascicolo le indagini e i riscontri fin qui compiuti sul progetto di attentato: oltre a Galatolo e Chiarello a parlare dell’attentato è stato anche Carmelo D’Amico ai pm della Dda di Messina, e tracce della volontà dei boss sono venute a galla in una serie di intercettazioni per ora top secret.

L’unico a tenere la bocca chiusa è proprio Vincenzo Graziano, il custode del segreto: la notte del suo arresto si lasciò sfuggire solo una battuta con i militari della Finanza che lo stavano ammanettando: “L’esplosivo per Di Matteo dovete cercarlo nei piani alti”. Un’allusione ad ambientio ltre Cosa Nostra, come aveva fatto lo stesso Galatolo, rivelando che Matteo Messina Denaro avrebbe messo a disposizione un artificiere: “Avevamo l’ordine che non dovevamo presentarci con questa persona e questo ci stupiva: capimmo che era esterna a Cosa nostra e che poteva essere qualcuno dello Stato che era interessato a fare questa strage. Serviva a far capire a tutti che la mafia era ancora viva”.

Ieri mattina in Procura le facce degli agenti di scorta sono tornate tese nell’area blindata della Procura dove Di Matteo era appena tornato da un’udienza ordinaria: maltrattamenti in famiglia e abbandono non autorizzato di rifiuti. Ci sono anche questi reati nell’ordinaria giornata di lavoro del pm che scava nei misteri della trattativa Stato-mafia in un clima di crescente tensione. Ma dell’esplosivo Di Matteo non vuole parlare: a Taormina, alla presentazione del suo libro, ha detto di avere “una brutta sensazione”, ma adesso non vuole approfondire quell’espressione. Anzi, non vuole dire nulla. E attorno a lui il silenzio istituzionale è totale.

IL CLIMA non è cambiato da quando, nel dicembre del 2013, una delegazione del Csm venne a Palermo per esprimere solidarietà ai magistrati antimafia minacciati: erano appena state pubblicate dai giornali le parole di Riina (“questo Di Matteo non ce lo dobbiamo dimenticare e Corleone non dimentica”) ma il Csm preferì incontrare Silvana Saguto, presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, oggi indagata per corruzione e abuso d’ufficio, proprio per la gestione dei beni confiscati a Cosa Nostra. Il vice presidente Michele Vietti cercò di metterci una pezza: “Se avessi visto Di Matteo, lo avrei abbracciato. Ma non l’ho visto”. Forse perchè nessuno lo aveva invitato: né lui, né i suoi colleghi Teresi, Tartaglia e Del Bene, che restarono chiusi nelle proprie stanze. E ancora oggi non si sa che fine abbia fatto il trasferimento d’ufficio proposto dal Csm “per ragioni di sicurezza” e sospeso a richiesta del magistrato che voleva attendere l’esito della sua domanda alla Direzione nazionale antimafia.

La domanda fu bocciata, sul trasferimento il silenzio è totale. Come quello della politica sulle conferme del tritolo: in questi giorni dai politici Nino Di Matteo ha ricevuto una sola telefonata di solidarietà, quella del deputato del M5S Alessandro Di Battista. Ieri si è aggiunto un post di Beppe Grillo sul blog. Su Twitter cresce la campagna #iostocondimatteo

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 29 settembre

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