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caselli-gian-carlo-web12L’analisi
di Gian Carlo Caselli - 29 maggio 2015
Palermo, Fiandaca e i processi modello Kafka
Chi glielo spiega a Franco Lo Voi che il professor Fiandaca sta dalla sua parte e avrebbe voluto proprio lui a capo della Procura di Palermo? Se qualche temerario provasse a convincerlo, Lo Voi potrebbe prenderlo a male parole. Sul Foglio del 27 maggio, Fiandaca ha scritto un lungo articolo intitolato a tutta pagina “La verità sul caso Lo Voi”. L’esordio è ineccepibile: il Tar del Lazio non poteva che annullare la nomina di Lo Voi. Il Csm per farlo vincere ha violato palesemente i suoi consueti canoni di giudizio attitudinale. Gli altri candidati (Lo Forte e Lari) avrebbero dovuto tranquillamente prevalere grazie al maggior peso dei loro titoli. Fine del discorso? Macché. Secondo Fiandaca, l’annullamento del Tar è in realtà dovuto “per dir così, ad atteggiamenti omertosi” del Csm, che non ha voluto “esplicitare le vere ragioni della bocciatura” di Lari e Lo Forte. Ad aggiustare la motivazione del Csm provvede allora Fiandaca, ma inerpicandosi su un sesto grado di capziosità.
Sostiene Fiandaca che la bocciatura di Lo Forte e Lari sarebbe stata legittima se il Csm avesse avuto il coraggio di fare un “processo al processo”. Per la precisione al “processo sulla trattativa”. Ma è dogma per tutti che il Csm, trattativa o no, non può e non deve interferire in alcun modo con la giurisdizione, altrimenti – invece di difenderne (com’è suo elementare dovere) il libero esercizio – la metterebbe a repentaglio. Ma c’è di più. Per giustificare la bocciatura di Lari e Lo Forte, il “processo al processo” – ancorché assurdo – avrebbe necessariamente dovuto coinvolgerli. Per contro, è lo stesso Fiandaca a riconoscere che nulla era loro “seriamente” addebitabile: per cui neppure Kafka saprebbe inventare qualcosa di più surreale!

In realtà, il “processo al processo” che abusivamente avrebbe dovuto fare il Csm è un pretesto per rovesciare – sui magistrati dell’accusa che hanno “concepito, gestito o anche non impedito” il processo sulla trattativa – una scarica di improperi che neanche il Berlusconi dei tempi migliori... Il compiaciuto catalogo delle supposte nefandezze spazia dall’impreparazione giuridica e professionale alla carenza di cultura costituzionale, per chiudersi con un tintinnio di manette (disciplinari) per gravi scorrettezze di comportamento che il Csm avrebbe dovuto contestare – come e perché rimane un mistero – a magistrati assolutamente estranei alla rosa entro cui si doveva scegliere il nuovo capo della procura. Peccato che nella furia di dare addosso ai pm il prof. Fiandaca dimentichi una bagattella, cioè il ruolo decisivo del gip, senza del quale i pm non possono concepire o gestire un bel niente. Quanto ai pm, nessuno sfugge a tale furia. Fiandaca avrebbe voluto la nomina assumendo “il criterio della discontinuità rispetto al passato a parametro selettivo del nuovo capo”. Si tratta però di un criterio che presenta alcuni difetti. Robetta da poco. Come la sua estraneità all’ordinamento giudiziario. E soprattutto la sinistra evocazione dell’umiliazione a suo tempo inflitta a tal Giovanni Falcone. Quando il Csm gli preferì, come capo dell’Ufficio istruzione, un magistrato privo di attitudini specifiche, ma “geneticamente” contrario al metodo di lavoro del pool, perciò in grado di garantire – pensa te – “discontinuità rispetto al passato”. Con i devastanti risultati a tutti noti, sia per l’antimafia che per la credibilità del Csm.

In conclusione, “La verità sul caso Lo Voi” è che il Csm ha sbagliato nominandolo al posto di chi vantava “corposi titoli” più di lui, ma per legittimare una nomina sbagliata il Csm avrebbe dovuto commettere un abuso: processare un processo, oltretutto entrando a piedi giunti nella nevralgica fase dibattimentale, al cui sereno svolgimento tutti – a partire proprio dal Csm – dovrebbero tenere. Ecco perché Lo Voi, leggendo l’articolo, temo abbia reagito col classico “dagli amici mi guardi Iddio...”. Subodorando che la “verità” del prof. Fiandaca potrebbe rivelarsi un siluro capace di affondarlo definitivamente.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2015