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ambasciata-usa-roma29 marzo 2015
Illustrissimo Signor Ambasciatore
Ambasciata Stati Uniti D’America
Roma

Da parecchio tempo ormai, secondo notizie giornalistiche e lanci di agenzie di informazione, un tour operator americano avrebbe avuto un'idea, quella di organizzare turismo in Italia con una sosta nel sud  dell'Italia e programmare nel tempo svariati incontri guidati con il Signor Angelo Provenzano.
Il Signor Angelo Provenzano è il figlio di quel Bernardo Provenzano che il 27 Maggio 1993 come un "panzer" è passato in via dei Georgofili con quasi trecento chili di tritolo, partito da Palermo, lo ha fatto detonare sotto la Torre del Pulci a Firenze, a ridosso della Galleria del Uffizi, la quale ha subito ingenti danni.
Anche noi abbiamo subito ingenti danni, siamo 51 famiglie italiane che vivevano fra via dei Georgofili e la Lambertesca nel centro storico di Firenze.
Quella notte del 27 Maggio 1993, abbiamo perso i figli e la nostra esistenza è andata in pezzi.
Veniamo a noi a quello che pensiamo in merito al lavoro che il Signor Angelo Provenzano si è inventato suo malgrado sulla nostra pelle, ma soprattutto su quel tour operator di Boston che ha pensato, con la scelta fatta, di lucrare, anche lui inevitabilmente sulla sofferenza delle vittime della strage di via dei Georgofili.
Il Signor Angelo Provenzano è un uomo giovane in cerca di lavoro, come tanti, dice di voler stare lontano dalla mafia, non può certo mettersi a fare la vita da nababbo con i soldi del padre, altrimenti dovrebbe dire alle autorità italiane dove sono i capitali illeciti del patrimonio Provenzano e quindi si è ingegnato in quello che sa fare meglio: parlare di suo padre, perché questo pare l’agenzia turistica voglia da lui.
Per il tour operator di Boston, mi creda, non riusciamo a seguirlo, a dare un giudizio su quello che sta facendo, ci sconcerta e ci avvilisce.
Infatti: ma come si fa a portare cittadini americani a parlare con il figlio di un mafioso che ha sulla coscienza, se non tutte, buona parte le disgrazie dell’Italia?

E' chiaro che il Signor Angelo Provenzano è pur sempre un figlio, anche se come dice ha preso le distanze dalla mafia, un figlio che ama il padre, quindi ragione di più che la versione del figlio sulla vita di quel delinquente che è suo padre, ne esce distorta.
Perché lucrare così sulla disperazione, il dolore, la rabbia altrui?
Veniamo ora al perché apertamente ci rivolgiamo a Lei che in questo Paese esercita azione diplomatica, perché ci permettiamo disturbarLa.
Potremmo provare a cercare di capire se esistono strade legali per impedire ad un tour operator americano di offendere le vittime delle stragi del 1993, almeno sul piano morale, del resto Bernardo Provenzano il “sant’uomo” di cui si parla, è sotto processo a Palermo per “attacco politico a corpo dello Stato” e per quello che ci riguarda è stato condannato con sentenza  passata in giudicato per terrorismo eversivo, una forma di terrorismo quello esercitato da “cosa nostra” in Italia nel 1993 che nulla ha a che invidiare all’ISIS.
Ma, Lei forse sa bene quanto la legge per queste cose sia avversa alle vittime di mafia, se non altro per la sua lentezza nel dare giustizia.
Quindi ci siamo detti: proviamo a scrivere  apertamente a chi in Italia rappresenta l'America, la nazione che più al mondo combatte il terrorismo.
Ci permettiamo inoltre ricordare  quando con tutte le Associazione delle vittime del terrorismo in Italia, e Bernardo Provenzano è un terrorista eversivo mafioso, siamo venuti  a Roma per portare omaggio alle Vostre vittime dell'11 settembre.
E domandiamo, perché noi dovremmo invece come si dice in Italia assistere allo scempio dei "mercanti dentro il tempio" senza trovare aiuto per scacciarli, o quanto meno a renderli più discreti e sensibili?

La ringrazio a nome di tutti noi, le vittime della strage di via dei Georgofili, per quanto vorrà e potrà fare e nel contempo invio i nostri migliori saluti.

Giovanna Maggiani Chelli
Presidente
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili

In foto: l'ambasciata statunitense a Roma

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Lasciate che a parlarne siano le vittime