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casablanca-38di Graziella Proto - 8 marzo 2015
Daniela, Marilena e Teresa. A Catania alcune donne si stanno battendo per fare uscire le loro famiglie dal tunnel dell’usura, e dell’estorsione. Con coraggio hanno preso in mano le redini delle loro situazioni di sfruttamento, minacce e violenze, e assieme ai loro mariti hanno denunciato le famiglie e le cosche che le taglieggiavano. “Famiglie” conosciute, importanti nell’universo criminale. Pericolose.
Un piccolo, piccolissimo esercito mortale per i criminali che pensavano già di averla vinta con i loro metodi di sopraffazione, arroganza, violenza e per certi versi – almeno rispetto a un passato abbastanza recente – impunibilità.
La guerra è in atto, ma già hanno vinto una bella tappa. Hanno ripescato i loro mariti dall’incubo, le loro famiglie sono ritornate normali. Il resto dipende dai Tribunali, dalle leggi e dai giudizi. Si vedrà. Intanto ci si gode questa prima vittoria. La strada è scoscesa e in salita, ma loro, lo sanno e continuano a percorrerla.
Armi e libertà femminili. I media inquadrati e moderati sono dei tritatutto. Triturano qualsiasi evento per presentarlo poi come meglio gli aggrada. Come meglio gli torna utile. Un esempio per tutti, il tema delle guerrigliere curde. Quasi tutti i giornali hanno parlato delle loro fattezze: sono alte, slanciate e belle. Non hanno nulla da invidiare alle ragazze che stanno sulle copertine di riviste patinate. Donne che fanno paura ai guerriglieri dell’IS.

Ma a parte il fatto che non si capisce perché dovrebbero invidiare le altre donne che hanno scelto di fare altro e a parte il fatto che fra le guerrigliere ci sono anche nonnette, questo modo di ammiccare e presentare le guerrigliere assomiglia molto a un pettegolezzo.
È un voler sminuire il fenomeno e il dato politico che andrebbe affrontato invece in ben altro modo.
Che siano belle, alte, slanciate, o che per ciò intimoriscano i soldati dell’IS non importa a nessuno. La Resistenza Curda, che è fatta PREVALENTEMENTE dalle donne, non è una diceria, è una RIVOLUZIONE e come tale andrebbe affrontata. Invece si preferisce narrare le guerrigliere come donne svuotate di ogni contenuto politico. Non militanti portatori di idee, rivendicazioni e proposte politiche. Certo, le armi.
E il pacifismo? La non violenza? La guerra? Il legame sesso, guerra pace? Dall’articolo di Paola Rudan, Le armi della libertà femminile (“il manifesto”, 16 ottobre 2015) estrapoliamo sottoscriviamo: “Migliaia di donne curde yezidi sono state catturate. Quelle che non sono state uccise per essersi ribellate o aver tentato di fuggire e quelle che non si sono uccise per scampare al proprio destino sono state stuprate, ridotte in schiavitù e vendute a combattenti ed emiri al solo scopo di soddisfare le loro esigenze sessuali e la necessità di produrre e allevare martiri jihadisti... Dietro all’odio sfrenato dell’IS nei confronti delle donne – obbligate da norme ferree che regolano il loro abbigliamento e limitano la loro mobilità, che le dichiarano «disponibili allo stupro» – c’è la loro riduzione a strumenti di riproduzione di un ordine violentemente patriarcale secondo una logica che, per quanto estremizzata e connotata confessionalmente, ha un carattere terribilmente globale”.
Questo è un punto sostanziale della rivolta, non a caso la maggior parte delle guerrigliere sostiene: “Noi lottiamo per tutte le donne nel mondo”.

La rivoluzione è donna
È successo anche in passato con le rivolte arabe del 2011, la stampa italiana è stata molto superficiale, ha raccontato gli eventi senza spiegarne il contesto. Come se le cosiddette “primavere” fossero nate dal nulla. Le rivoluzioni sia in Tunisia sia in Egitto erano state precedute da un lungo periodo di lotte sindacali – molto dure. In Egitto in particolare, ove era nato il Movimento giovanile 6 aprile oggi morto e sepolto, c’era stata la lotta per il salario nelle industrie tessili. In questi paesi non c’era il pluralismo politico, e il sindacato era l’unico punto di riferimento importante. Ma non ha fatto la rivoluzione.
All’interno delle rivolte, araba o no, movimenti rivoluzionari o no, la vera modernità sono state e sono le donne attive. La loro terminologia. Il modo
stesso di arruolamento. In Tunisia man mano che il corteo, privo di simboli di partiti o di religione, passava dalle strade, le donne scendevano anche in pantofole e si univano ai manifestanti.
Certamente non tutti i movimenti arabi sono stati rivoluzione, per esempio in Libia, ridotta solo a mercato di armi.
Non tutti i movimenti sono Non violenti. Ormai non si parla più di non violenza.
La parola più usata è stata dignità, una rivendicazione molto comune, ovunque. Nonostante la grande partecipazione delle donne tuttavia in linea di massima ha vinto il partito islamico. Grande contraddizione!
Sia allora che oggi, le donne impegnate nelle rivolte rivendicano la “Rivoluzione è donna”... quella dei leader maschi è finita.

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