Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

bene-sequestrati-mafia fulldi Luca Tescaroli* - 8 novembre 2014
È in discussione al Parlamento un progetto di modifica d’iniziativa anche popolare “per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”. Un’occasione importante per aggiornare e migliorare la disciplina in base all’evoluzione delle mafie. La realtà giudiziaria ci ha mostrato che le aziende, con l’intervento della misura patrimoniale, sono destinate al fallimento o alla cessazione (9 su 10 chiudono), il che dimostra all’esterno l’incapacità dello Stato di gestire le imprese mafiose. Le istituzioni devono sostituirsi all’imprenditore e trovare il percorso per fornire agli stakeholders (o portatori di interessi: clienti, fornitori, finanziatori – banche e azionisti –, collaboratori, ma anche gruppi d’interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all’azienda) garanzie analoghe, se non rafforzate, rispetto a quelle che è in grado di assicurare il mafioso. Il patrimonio sequestrato può di per sé costituire la fonte delle garanzie, se gli operatori di giustizia adottano iniziative idonee a non depauperare le risorse e a valorizzare le prospettive imprenditoriali. Non è certo agevole in terra di mafia. L’ingresso dello Stato nell’impresa mafiosa dovrebbe produrre effetti positivi, una volta superato l’impatto traumatico iniziale (soprattutto sui rapporti pendenti: crediti e debiti con i fornitori e con gli istituti bancari). Si tratta, quindi, di far ripartire un meccanismo economico depurato dalle logiche di gestione mafiosa.

Qualche esempio recente. Per due società che si occupano del settore nautico in area demaniale, si è proceduto alla stipula di due contratti d’affitto delle relative aziende a favore di altre due imprese del settore prive di rapporti con la criminalità organizzata: queste corrispondono un canone mensile e si sono impegnate a far fronte al pagamento degli oneri concessori al demanio in proprio. In un’altra società sono stati assegnati in comodato d’uso gratuito sette immobili del suo patrimonio al comune di Olbia, tre dei quali ancora in fase di costruzione, per ospitare famiglie in difficoltà: il Comune si è impegnato a completare i tre immobili, ad accatastare le medesime porzioni e a far fronte a tutte le spese afferenti alla gestione delle sette unità.
Queste iniziative consentono di soddisfare il diritto dei lavoratori a continuare a lavorare e il diritto d’iniziativa economica e di proprietà privata, di cui sono titolari il proposto e i terzi intestatari fino alla pronuncia della confisca definitiva. Le aziende e i compendi patrimoniali sottoposti a misure di prevenzione, ancorché riconducibili alla criminalità, sono di per sé una risorsa per il tessuto imprenditoriale locale e richiedono il coinvolgimento dei rappresentanti sindacali e istituzionali sul territorio.
Per far emergere il lavoro nero, l’amministratore può farsi carico di pagare gli oneri contributivi e previdenziali per i dipendenti che avevano vissuto nell’ombra senza garanzie né tutele. I fornitori e gli acquirenti possono uscire dal giro mafioso e contrattare liberamente i prezzi. Il mafioso ha interesse che l’iniziativa imprenditoriale statale fallisca, perché ciò rafforza il suo potere, dimostrando che solo la presenza mafiosa produce ricchezza e occupazione. Che fare allora per valorizzare le imprese sequestrate e non disperdere l’occupazione? Il procedimento di prevenzione dev'essere celere. Uno studio della Banca d’Italia, nel 2013, ha evidenziato che “con l’aumentare degli anni di permanenza in amministrazione giudiziaria diminuisce l’accordato nei confronti delle imprese mentre si deteriora la qualità del credito”. Creare un apposito fondo di garanzia sarebbe molto utile per sostenere gli investimenti e affrontare i “costi di legalizzazione”: rispetto dei contratti collettivi di lavoro e della normativa ambientale, fiscale e sulla sicurezza del lavoro. L’Agenzia nazionale dei beni confiscati dovrebbe: trasformarsi in una holding propulsiva capace di coordinare le esigenze delle varie imprese confiscate, in modo da fare incontrare domanda e offerta, assicurando una gestione consortile e non parcellizzata delle aziende sottoposte a misura di prevenzione patrimoniale; verificare se queste possano avere rapporti commerciali per sostenersi a vicenda e sopperire al fisiologico sviamento della clientela da parte del mafioso dopo il sequestro; stipulare, con organi rappresentativi di strutture bancarie, protocolli per individuare banche virtuose che impediscano il ritiro del credito. È poi necessario lo sgravio contributivo anche temporaneo per le imprese sequestrate e confiscate che fanno emergere il lavoro nero e per chiunque usufruisca di lavori, servizi o forniture da esse erogati. Sul versante internazionale, occorre aprire varchi per agevolare l’esecuzione dei sequestri anticipati all’estero, disposti dai nostri tribunali. La guerra ultracentenaria alle mafie si potrà vincere solo se si riuscirà a valorizzare le ricchezze confiscate, dimostrando che si può salvaguardare, se non aumentare l’occupazione generata dal mafioso, nel rispetto della legalità.

*sostituto procuratore presso la Dda di Roma

Tratto da: Il Fatto Quotidiano dell'8 novembre 2014

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos