Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

lodato-scarpinato-web2di Saverio Lodato - 7 ottobre 2014
Adesso i giornali ci raccontano che qualche zampina anonima ha fatto sparire dalla telecamera del Palazzo di giustizia di Palermo le immagini che si riferivano ai giorni in cui, uno o più Incappucciati, violarono gli uffici del Procuratore Generale, Roberto Scarpinato. Adesso i giornali ci informano che i magistrati della Procura di Caltanissetta, competente per territorio, indaga "contro ignoti", ma non per il reato di "mafia". La lettera anonima densa di informazioni su inchieste pubbliche e riservate trattate da Scarpinato e di plateali precisazioni ("non vogliamo fare eroi") e adagiata sulla sua scrivania, così come il rudimentale monito "accura" (stai attento!), vergato a mano sulla polvere di una porta, meritano adesso, da parte dei quotidiani, un aggettivo che dice tutto e che non dice niente: "scottanti".

Che l’intera materia sia "scottante", è fuori discussione. Ma lo è ad occhi superficiali, occhi che hanno paura di guardare, occhi da troppo tempo colpiti da un grave strabismo. Vediamo perché. Non c’è dubbio che in questa storia, a essere "scottante", è innanzitutto l’intreccio. Ma è mai possibile, e concepibile, e convincente, e sostenibile, che nel Palazzo di giustizia più blindato d’Europa si debba registrare un andirivieni degno di un suk mediorientale? Il Potere, perché anche in questo caso di Potere si tratta, è così nudo, indifeso, esposto ai quattro venti? Tanto che l’Incappucciato può entrare e uscire dalla stanza di un Procuratore Generale con l’invisibilità di un alito di vento? Tanto che può tornare sul luogo del malfatto disegnando i suoi graffiti minacciosi sulla polvere di una porta? Tanto che può, con un semplice click, cancellare quindici giorni di immagini da un dispositivo visivo che verrebbe naturale ritenere controllato da un numero di addetti da contare sulle dita di una mano?
Non è vero che in questa storia "qualcosa non quadra". In questa storia non quadra proprio nulla. O, al contrario, quadra tutto sin troppo bene, perché tutti i tasselli stanno nella giusta casella. Dipende dagli occhi con cui si guarda.
Ma cari colleghi, ce lo vedete uno schedato mafioso, un pregiudicato mafioso, un condannato mafioso che si avventura nel cuore dell’ accampamento dei nemici  per andare a minacciarne, vis a vis,  uno dei generali più rappresentativi? 
Proviamo invece a capovolgere il punto di vista. Tutto apparirà ai nostri occhi, quasi per incanto, di banale e disarmante semplicità.
La mafia non c’entra nulla in questa pesante intromissione nella vita professionale di Scarpinato. Sgombriamo il campo da questo automatico pregiudizio. Lo scrissi nell’immediatezza del fatto, titolando: "Non sono i mafiosi a volere la morte di Scarpinato". Colgo l’occasione per ripetermi, visto che il tempo è galantuomo.
Mettiamo al centro, di quest’ipotetica inchiesta giornalistica, proprio la figura di Roberto Scarpinato. E’ lui che vogliono minacciare, intimidire, colpire, avvertire. Su questo dovremmo essere tutti d’accordo. Ma allora ci sarà una qualche relazione fra le molle che spingono l’Incappucciato (gli Incappucciati) ai suoi messaggi e il destinatario finale dei messaggi stessi? Scarpinato, da una ventina d’anni, indaga su quello che lui stesso, nel libro "Il Ritorno del Principe", mi spiegò essere il "volto osceno" del Potere; in altre parole, qualcosa di molto apparentabile a quegli "indicibili accordi" di cui avrebbe poi parlato, mettendo nero su bianco, Loris D’Ambrosio, consulente del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, poco prima di morire e in riferimento alla Trattativa Stato-Mafia. Non è un mistero che Scarpinato recentemente avrebbe raccolto prove, a suo giudizio utilizzabili processualmente per il reato di "favoreggiamento alla mafia", a carico del generale dei carabinieri, Mario Mori, all’epoca in cui dirigeva il Ros. E’ risaputo che Scarpinato fu uno dei pubblici ministeri di punta nel "processo del secolo" quello che, in Cassazione, si concluse assai male per Giulio Andreotti. E potremmo continuare nell’elenco delle inchieste scomode (e urticanti per il "Potere osceno") a sua firma.
E li vogliamo ricordare i guai che nell’ultimo anno ha passato, e continua a passare, Antonino Di Matteo, pubblico ministero nientemeno che nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia? Ha ricevuto minacce di morte d’ogni tipo e misura, e con l’aggravante, persino, dei deliri a reti unificate di Totò Riina, un’attempata escort di Stato ormai buona per tutte le stagioni.
Giovanni Falcone diceva che se i crimini di Cosa Nostra venivano "parcellizzati", perdendone la visione d’insieme, Cosa Nostra avrebbe continuato a farla franca. Lo stesso si può dire oggi dei crimini di certi Noti Incappucciati. Sarebbe insensato - è questo che vogliamo dire - cercare di capire cosa sta accadendo a Scarpinato, dimenticando la storia ventennale di una Procura che, ai tempi di Caselli, per dirne una, vide violati i suoi computer segretissimi per le inchieste a carico di Silvio Berlusconi. Tutte storie note, e che affondano le loro radici nella notte dei tempi.     
Vedete allora come è limpido lo specchio d’acqua dentro il quale stiamo guardando? A essere veramente "scottante", ci vien da concludere, non è altro che il prolungato strabismo dei media che, alla lunga, rischia di degenerare in cecità.

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.