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lo-bello-ivan-web3di Ivan Lo Bello - 29 agosto 2014
Direte: ma cosa c’entra tutto questo? Ebbene sono convinto che questa sia la chiave per dare delle risposte ai tanti familiari delle vittime della mafia, al dolore cumulato nei decenni, agli scempi perpetrati, per dare un senso ancora più forte ai tanti indimenticabili eroi civili. Il fronte antiracket ha in Sicilia una lunga tradizione, basti ricordare Tano Grasso, a Capo d’Orlando, la Fai, Addio pizzo, Libero futuro e tante altre che nel tempo hanno rappresentato un punto di riferimento decisivo per tanti imprenditori di ogni settore e ciò, nonostante la profonda crisi economica. Alcuni hanno provato a strumentalizzare la crisi, suggerendo priorità economiche e sociali che invece bene possono e devono convivere con il supporto ai tanti operatori economici ancora oggi taglieggiati dal racket. Insieme ai tanti successi giudiziari delle procure siciliane e delle forze dell’ordine, le associazioni antimafia, testimoniano quotidianamente una Sicilia che vuole e prova a cambiare. Sono associazioni che hanno sostenuto e supportato tantissimi imprenditori nella delicatissima scelta della denuncia. In larghissima parte collaborano tra di loro e non vogliono essere solo “solisti dell’antiracket”, ancora oggi il loro ruolo è insostituibile.

La società siciliana è cambiata, o meglio è oggi molto diversa da quella del ‘91; è una società che si è polarizzata, tra chi guarda ad una Sicilia fatta di mercato e regole, sviluppo e coesione sociale, innovazione e nuova imprenditoria, tra chi cerca di difendere fino in fondo la vecchia Sicilia ed i suoi rituali e chi invece sta nel mezzo. È questa la componente più ampia, la Sicilia silenziosa, in mezzo al guado, in larga parte indifferente ai cambiamenti, sfiduciata da decenni di promesse, una Sicilia che ha paura del futuro. È questo pezzo di società che può fare la differenza, chiudere per sempre la lunga stagione delle clientele, delle compiacenze con la mafia, della spesa pubblica improduttiva, del circuito clientelare tra politica e società. Purtroppo ancora oggi la sua inerzia rafforza la mafia, ne perpetua il ruolo «sociale e politico», ostacola i cambiamenti necessari. Questo pezzo di società è il cuore della «questione siciliana», della sua arretratezza sociale ed economica ma anche delle possibilità di cambiamento. Il vero, grande tema, però, sono le condizioni sociali ed economiche che perpetuano la mafia ed il ruolo della politica. Questo è da tempo uno snodo decisivo: scarsa cultura di mercato, settori tradizionali a bassa tecnologia, clientele diffuse, mafia e pezzi della politica come «regolatori sociali », hanno costruito un blocco sociale che è oggi più debole, ma che permane in tante parti della nostra terra e perpetua una “politica” parassitaria. È qui che si cementa da decenni il rapporto tra mafia, politica e imprenditoria. La questione economica e politica è cruciale nelle vicende siciliane; senza grandi cambiamenti la Sicilia rischia di rimanere la regione del sottosviluppo, come strumento funzionale ad impedire qualunque forma di innovazione sociale ed economica.
Ricordo ancora oggi la folla che aveva riempito nel 2007 il teatro Biondo a Palermo, in occasione della presentazione di Libero Futuro, l’entusiasmo, la sensazione diffusa che fosse la volta buona, tantissimi giovani in platea e ricordo ancora quando presi la parola dal palco e lì senza una traccia scritta, chiesi scusa a Pina Grassi, alla sua famiglia ad Alice e Davide ma fu come chiedere scusa alla Sicilia, a Libero, ai tanti morti per mafia, lo feci anche e soprattutto nel nome di Confindustria, perché Libero Grassi, non fu ucciso solo dalla mafia, ma anche dalla indifferenza della società palermitana e dalla Confindustria palermitana che non solo fu indifferente, ma osteggiò apertamente Libero Grassi. Oggi siamo in un’altra stagione. Confindustria sta da tempo dalla parte giusta, ha dato e dà un forte supporto alla lotta antimafia. Non ho conosciuto Libero Grassi, ma lo ricordo in televisione, ricordo la sua lettera agli estortori, ricordo il suo eloquio diretto senza paura e soprattutto senza retorica, un esempio ed uno stile che tutti dovremmo osservare.

Tratto da: La Repubblica del 29 agosto 2014