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di Marta Genova - 19 luglio 2014

1992-2014. Ventidue anni da quel 19 luglio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, ClaudioTraina,  Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina. Una strage, avvenuta in una Palermo ancora sotto shock per  quella avvenuta solo 57 giorni prima, quella di Capaci.

Ecco, è così che si annienta un popolo, con la guerra; e in corso c’era una guerra, che non è mai finita.  E le guerre fanno vittime, fanno vedove e orfani. Manfredi Borsellino è uno di questi e se ci si mettesse per un attimo davvero nei suoi panni e non lo si ascoltasse solo da semplici spettatori, la sua commozione sarebbe percepita in modo diverso. Scuoterebbe ognuno di noi, in modo diverso, perchè ognuno di noi è figlio e immaginare cosa si possa provare nell’aver portato via un un padre  a 21 anni e in quel modo atroce,  è possibile.  E va fatto.

Le parole del figlio del giudice Paolo Borsellino, sono cariche di dolore, ma al contempo di forza e Amore, e pensiamo siano inevitabilmente il più bel ricordo per questa giornata in cui si susseguiranno, come ogni anno, fin troppi ricordi stucchevoli carichi invece di retorica e banalità.  Ed è così che saranno finché la Verità non emergerà. Ma la verità Vera, in cui i responsabili pagheranno per quel sangue versato. Una Verità ancora taciuta, talmente pesante che nonostante siano passati 22 anni, ancora non si vuol fare emergere. Perchè due stragi a distanza di 57 giorni, in cui vengono ammazzati uomini delle Stato, non possono essere state pensate e organizzate solo dalla mafia.  E che qualcuno voglia continuare a raccontarla così è a dir poco imbarazzante. 

Parole, quelle di Manfredi Borsellino, pronunciate ieri nell’ Aula magna del Tribunale di Palermo. Parole che racchiudono il pensiero e il dolore dei familiari degli agenti di scorta e di tutti quelli che in questa guerra hanno perso qualcuno. “La morte di mio padre, questa bomba esplosa in via D’Amelio, per me è ancora troppa vicina, e a un figlio no si può chiedere o pretendere il ricordo di un padre quando ancora il cadavere è caldo. La presenza di mio padre l’avverto così ancora forte, come il suo umorismo”. Queste sono le prima parole pronunciate prima di scoppiare in un pianto.

Poi ha aggiunto “Non dovete pensare che vogliamo sottrarci a questi momenti perchè alimentare la memoria è fondamentale, ma il testimone passa a voi, io spero che ancora per moltissimo tempo in questo palazzo di Giustizia alberghi quel sorriso di mio padre, quelle battute, quel non prendersi sul serio di mio padre che però prendeva sul serio il suo lavoro, la sua missione di vita”.

Tratto da: palermo.sudpress.it

Foto © Castolo Giannini