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donciotti-papadi Carlo Lania - 15 marzo 2014
Il fondatore di Libera. Il 21 giornata della Memoria e dell’impegno

E’ la prima volta che un papa par­te­cipa alla gior­nata della memo­ria per le vit­time della mafia. Come nasce que­sto evento?
Da un incon­tro con lui in cui abbiamo riflet­tuto insieme. Non ha esi­tato ad accet­tare di essere pre­sente a que­sto momento di rifles­sione, di silen­zio e anche di pre­ghiera. Per noi è un grande dono e un segno di grande, grande valore.

Lei ha detto che da parte di papa Fran­ce­sco c’è stato subito grande disponibilità.
E’ una per­sona molto attenta, che sa ascol­tare e capace di sen­tire gli altri den­tro di sé. L’ha dimo­strato a Lam­pe­dusa, ma anche andando nelle car­ceri mino­rili di Roma e acco­gliendo il popolo della strada. Sono segni molto impor­tanti. Tonino Bello direbbe: il potere dei segni con­tro i segni del potere.

In que­sti giorni ricorre anche l’anniversario della morte di don Diana, assas­si­nato dalla camorra a Casal di Prin­cipe il 19 marzo del 1994. Venti anni esatti.
Il grande don Pep­pino Diana. Non dimen­ti­cherò mai il docu­mento ’Per amor del mio popolo’ che nel 1991, con i par­roci della fora­nia, aveva scritto pro­prio per dire basta alla pre­senza della camorra, per invi­tare i camor­ri­sti a smet­terla con la vio­lenza. Ma anche per invi­tare la gente a una rivo­lu­zione delle coscienze. Quando ha chiesto ai suoi par­roc­chiani di salire sui tetti per enun­ciare parole di vita. Dovremmo farlo un po’ tutti anche oggi, salire sui tetti delle nostre case, sui tetti della nostra vita per essere per­sone che si assu­mono la respon­sa­bi­lità del cambiamento.

Un altro sacer­dote vit­tima della cri­mi­na­lità è don Puglisi, bea­ti­fi­cato da papa Francesco.
E’ stato un modello di san­tità cri­stiana, con il suo impe­gno sacer­do­tale, la sua voglia di togliere i ragazzi dalla strada, il suo corag­gio sociale. Lui era un prete, un prete che la mafia voleva cac­ciare in sagre­stia, per­ché le mafie vor­reb­bero che non ci occu­pas­simo di loro. Atten­zione: don Puglisi viene ucciso per odio alla sua fede. Viene ucciso da un’altra chiesa, da un’altra reli­gione, la reli­gione della vio­lenza, che non tol­lera la vista del testi­mone dell’amore di Cri­sto. La reli­gione che ha messo il padrino al posto del padre. La mafia non ha nulla di cri­stiano. E’ signi­fi­ca­tivo quello che il 19 ago­sto 1993, venti giorni prima dell’omicidio di don Puglisi, in Ame­rica il col­la­bo­ra­tore Fran­ce­sco Marino Man­noia dice all’Fbi. Que­ste le testuali parole: ’Nel pas­sato la chiesa era con­si­de­rata sacra e intoc­ca­bile. Ora invece Cosa nostra sta attac­cando anche la Chiesa per­ché si sta espri­mendo con­tro la mafia’. Gli uomini d’onore man­dano mes­saggi chiari ai sacer­doti: non inter­fe­rite. E invece la Chiesa deve inter­fe­rire, deve farlo dove viene cal­pe­stata la dignità, la libertà delle per­sone. Ma per­ché Man­noia manda que­sto segnale? Per­ché il 9 mag­gio del 1993 nella valle dei Tem­pli Gio­vanni Paolo II aveva alzato improv­vi­sa­mente la voce per dire con forza che la mafia è incom­pa­ti­bile con il Van­gelo. Era un grido per scuo­tere, per invi­tare i sici­liani a non sco­rag­giarsi e a rea­gire. Ma era anche una con­danna chiara al gioco cri­mi­nale mafioso.

Lei ha citato le parole di Gio­vanni Paolo II. Dopo di lui, nel 2010, Bene­detto XVI a Palermo fece un altro forte appello.
Sot­to­li­neò con forza «la mafia strada di morte».

Nono­stante que­sti appelli non si può però non ricor­dare come spesso la Chiesa abbia guar­dato da un’altra parte.
Dob­biamo inter­ro­garci sui silenzi e le reti­cenze del passato.Aveva ragione padre Bar­to­lo­meo Sorge quando, lasciando Palermo dopo molti anni, lui arrivò dopo le stragi, fece una dichia­ra­zione che fa riflet­tere e che io con­di­vido, per­ché molte pru­denze, ritardi, sot­to­va­lu­ta­zioni e com­pli­cità sono pre­senti ancora oggi. Sorge disse: ’Mi sono sem­pre chie­sto per­ché que­sto sia potuto acca­dere, il silen­zio della chiesa sulla mafia. Non si potrà mai capire come mai i pro­mul­ga­tori del Van­gelo, delle bea­ti­tu­dini, non si siano accorti che la cul­tura mafiosa ne era la nega­zione’. Il silen­zio se ha spie­ga­zioni, non ha giustificazioni.

Come valuta la nomina del pm Raf­faele Can­tone all’Autorità anticorruzione?
Can­tone è una per­sona brava, gene­rosa e soprat­tutto com­pe­tente. Quindi ben­venga. Ma una nomina non basta, il pro­blema è più vasto. Le mafie hanno ripreso alla grande e con nuove moda­lità, hanno nuove stra­te­gie, usano nuove tec­no­lo­gie. Sono tor­nate a essere forti e in un momento di grande crisi eco­no­mica e finan­zia­ria loro hanno liqui­dità e inve­stono. Lo Stato, gli appa­rati isti­tu­zio­nali hanno fatto delle cose impor­tanti in que­sti anni, ma non sono suf­fi­cienti. Biso­gna met­tere in grado magi­stra­tura e poli­zia di agire meglio, con più stru­menti, uomini e mezzi. Forse ser­vono meno leggi e più legge. Biso­gna rive­dere i reati che nell’82 ven­nero defi­niti di mafia, per­ché nel frat­tempo le cose sono cam­biate. Allora non si par­lava di eco­ma­fie o di traf­fico di stu­pe­fa­centi con la forza con cui ne par­liamo oggi, non si par­lava della tratta di esseri umani, né del gioco d’azzardo. Quindi serve una let­tura molto più ampia rispetto ai reati e agli inter­venti che devono essere por­tati avanti.

Tratto da: ilmanifesto.it

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