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giacalone-rino3di Rino Giacalone - 27 febbraio 2014
La prima telefonata è come un colpo di frusta che ti coglie in un momento spensierato, con le tue figlie. “Rino, il prefetto Sodano non c’è più”. Sapevi che un giorno o l’altro qualcuno te lo avrebbe detto. E ti ripeti dentro di quante volte ti eri ripromesso di andare a Palermo a trovarlo. Porti dentro l’amaro di una incomprensione che tra te e il prefetto si era creata ma sol perché non erano state spese le giuste parole. Ma poi ti riprendi e ricordi l’ultima chiacchierata telefonica con la moglie, la signora Maria. Non c’erano state incomprensioni. Non ce ne potevano essere tra noi. Le altre telefonate tocca farle a te.

Una comunicazione triste. Poche parole per chiudere il telefono e dar possibilità di far scendere qualche lacrima, intima, personale. Fulvio Sodano a 67 anni ha posto fine alla sua sofferenza fisica, con tanti condivideva quella morale. Fulvio Sodano ci ha però lasciato il dovere di continuare, lui che da anni era immobile, inchiodato alla sua poltrona che lo ha stretto fino a stamattina, ci ha dimostrato a noi che stiamo bene, che non abbiamo malanni, che possiamo camminare, scrivere, parlare…urlare, che per combattere le mafie non c’è bisogno di avere l’uso degli arti, della parola, ma l’uso della mente, dell’intelligenza, la vivacità degli occhi, il ricordo. “Ascolta la pianta dei tuoi piedi che calpestano la terra…” (Gandhi) ecco quello che nel nome di Sodano oggi ci resta da…continuare a fare. Calpestare questa terra percorrendola in ogni dove e raccontare quello di bello e di brutto che vediamo. Sodano questo ha fatto. Fin quanto ha potuto ha calpestato la terra sulla quale ha vissuto, ha saputo continuare a farlo anche quando è rimasto schiacciato su quella poltrona, ha continuato a vedere e a farci vedere la bellezza di questi nostri luoghi e ha scelto di non fermarsi mai dal ripulirla di quello che di sporco c’era, anche dentro quei palazzi dove dovrebbero abitare la fedeltà e il rispetto verso le Istituzioni. Non dobbiamo fare altro che questo e ci accorgeremo che Sodano non è mai morto, è vivo. Vivo nei nostri ricordi, nelle nostre azioni. Ad accompagnarci ci saranno le molecole di Fulvio Sodano che restano eterne: mi piace dire così come diceva Margherita Hack…”quelle, le molecole, restano eterne e andranno a comporre altri oggetti…altri corpi”. Uomo di Stato fino alla fine. Nonostante tutto. Come lo disegnò benissimo Vauro resta testimone di come lo Stato ingiusto sa far piangere i propri uomini migliori.

Quel pianto dinanzi alle telecamere di Anno Zero nell’ottobre del 2006, non era solo Suo, era anche nostro. Fu anche nostro. Muovendo le mani che gli servivano a scrivere le risposte alle domande di Stefano Maria Bianchi, raccontò quello che gli era accaduto facendo il prefetto a Trapani, sfidando i mafiosi, il boss Matteo Messina Denaro, evitando che Costa nostra continuasse a detenere i beni confiscati, che la mafia riuscisse nell’intento di riprendersi la Calcestruzzi Ericina, un impianto che oggi vive nel nome di Sodano, col cuore e l’impegno degli operai che hanno costituito una cooperativa trasformando quell’impresa in qualcosa di unico, eccezionale, e non solo perché hanno saputo riconvertirla, ma perché la Calcestruzzi Ericina Libera è stato il primo dei beni confiscati ad essere tornato sul mercato. Chiama Giacomo Messina, il presidente della cooperativa. Anche lui poche parole, poche frasi. Sodano era stato il loro nuovo padre, i mafiosi li volevano disoccupati, Sodano ridiede a loro lavoro e speranza. E divenne anche lui operaio onorario della Calcestruzzi Ericina Libera. Quello che è accaduto è storia. I mafiosi intercettati che parlavano di lui facendo grande offesa, che auspicavano che se ne andasse via da Trapani, l’ex sottosegretario all’Interno che con un pretesto (la mancata visita del presidente Ciampi alle sue saline) lo richiamava e poi si sarebbe adoperato per farlo trasferire da Trapani, Sodano già ammalato si ritrovò nell’estate del 2003 prefetto ad Agrigento, poco tempo dopo costretto dalla malattia a lasciare ogni incarico. D’Alì per quella intervista fece causa civile contro Sodano e il giornalista che realizzò il servizio. Perse la causa. Un altro giudice però non fu altrettanto attento con Sodano. Non lo ammise come parte civile al processo penale contro l’ex sottosegretario accusato di concorso esterno. E dove i pm sostenevano che il trasferimento di Sodano spinto dalla mafia, sarebbe stato chiesto da D’Alì mentre era al Viminale. Deve essere il ministero a costituirsi non la persona. Paradossale: a costituirsi parte civile avrebbe dovuto essere quel ministero dell’Interno che probabilmente ha saputo nascondere le ragioni dell’improvviso trasferimento da Trapani ad Agrigento del prefetto Sodano. L’ultima intervista che gli feci ha lasciato parole scolpite nella mia mente, “la gente vede e capisce…e capisce che le cose possono cambiare, che il vento sta cambiando”. L’ultima telefonata che ricevo mentre finisco di scrivere è quella di un ex mafioso, un imprenditore che domenica ha finito di scontare la sua pena, che è tornato in carcere ed ha accettato di tornare in carcere anche dopo avere raccontato ai magistrati tutto quello che sapeva sulla mafia trapanese, anche sul trasferimento di Fulvio Sodano. Domani sul giornale ci sarà anche il suo necrologio. Sodano non ha perso, ha vinto. Abbiamo vinto. Sodano non è morto, è vivo. E noi dobbiamo saper restare vivi con lui, col suo ricordo. Ciao mio Grande Prefetto!

Tratto da: liberainformazione.org

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