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salvi-giovanni-wedi Salvo Vitale - 21 febbraio 2014
«La sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di Raffaele Lombardo è importante ed è il frutto di un impegno sinergico fra la procura della Repubblica di Catania e le forze dell’ordine. È la dimostrazione che il lavoro dell’intero ufficio è stato fondato in maniera rigorosa sull’accertamento dei fatti. È la prima volta che un ex presidente della Regione viene condannato per questo specifico reato».

Così il procuratore capo della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi (in foto), risponde alla domanda sulla notizia giudiziaria di questi giorni, la condanna dell’ex governatore Lombardo. Salvi, uno dei protagonisti in prima linea nella lotta contro la mafia in Sicilia, delinea il contesto della battaglia dello Stato per la legalità: «La mafia sta tentando di rialzare la testa. I segnali negativi che abbiamo visto di recente a Catania, la scritta contro lo scrittore Saviano, le minacce contro il sindaco Enzo Bianco, ma ancor più alcuni omicidi e alcuni progetti di attentati, sventati dalla prontezza delle indagini, possono essere segno della rabbia dei clan mafiosi che vogliono nascondere le loro sconfitte. Bisogna tenere alta la guardia ma non farsi impressionare, i mafiosi reagiscono al fatto che interi clan vengono sgominati. Va invece colto l’aspetto inquietante del loro messaggio subliminale, vogliono dimostrare soprattutto al loro mondo che non hanno perduto del tutto il controllo del territorio».

Può fare un bilancio della situazione degli ultimi anni?
«Le vittorie riportate contro le mafie, soprattutto in Sicilia, stanno creando un forte senso di rabbia nei clan mafiosi, sarebbe pericoloso sottovalutare le loro reazioni. Ma sarebbe sbagliato anche lasciarsi scoraggiare, la mafia ha costruito il suo potere sulla paura della gente. La mafia si è alimentata del mito dell’invincibilità, ma la decapitazione dei vertici di Cosa Nostra e di tanti clan mafiosi dei territori hanno dimostrato e dimostrano che non sono invincibili».

Ma la battaglia è ancora lunga e difficile...
«La battaglia è complessa ma bisogna prendere coscienza dei risultati e confrontarli con il passato. Negli ultimi lustri magistratura e forze dell’ordine hanno inanellato un successo dopo l’altro. Chi avrebbe mai pensato che Riina, Provenzano, Santapaola e tutta una schiera di quadri della mafia in tutta l’isola venissero catturati? Non solo interi clan vengono sgominati ma appena tentano di ricostruirsi siamo in grado di colpirli nuovamente. Di recente a Catania vi sono state una serie di operazioni che hanno dato nuovi duri colpi alla mafia etnea».

Le recenti operazioni antimafia di Catania mostrano però anche la rapidità dei clan di riorganizzarsi o tentare di farlo. Quali sono le ragioni profonde di questo fatto?
«Ma il fatto che recuperino facilmente manovalanza non vuol dire che trovino subito nuovi “uomini d’onore”. La formazione dei boss non avviene nel giro di poco tempo, non è casuale che alcuni di loro cerchino di continuare a comandare dalle carceri nonostante siano all’ergastolo o al 41 bis. I clan sono indeboliti dai continui arresti, colpiti anche nella struttura di comando, ma hanno ancora un potere di attrazione verso un certo mondo, questa è una sfida da combattere anche sul piano della prevenzione, con la cultura della legalità. Bisogna smitizzare i mafiosi, riusciamo a catturarli molto più facilmente che in passato, fanno una vita dura, nascosta».

Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale di Confindustria, ha spiegato che a Catania vi è la migliore imprenditoria del Sud ma anche la peggiore, se molti competono lealmente ve ne sono diversi collusi con la mafia. Come stanno le cose allo stato attuale? «Vi è una imprenditoria sana, positiva, ma vi è un pezzo di imprenditoria malata, collusa con la mafia. Non vi sono solo casi di grandi imprenditori accusati di concorso esterno ma anche colletti bianchi organici ai clan mafiosi. Il caso Catania per gli intrecci fra economia, politica e mafia è già stato alla luce dei riflettori nazionali, non v’è alcun dubbio che occorre indagare con rigorosa determinazione, cosa che stiamo facendo, senza guardare in faccia a nessuno».

Torniamo alle minacce contro lo scrittore Saviano ed il sindaco Enzo Bianco. Qual è la sua interpretazione?
«Non possiamo ancora fare attribuzioni certe. Agganciandomi alle riflessioni precedenti, lo definirei comunque un fallo di reazione e di frustrazione. Nel caso della scritta contro Saviano si vuole colpire un simbolo della legalità per la sua efficace forza comunicativa. Nel caso di Bianco, non solo è un sindaco che si è pronunciato a favore della legalità, ma che concretamente ha fatto atti importanti, dalla battaglia contro l’abusivismo ai rifiuti. Vorrei ricordare che a Catania, spesso l’illegalità diffusa si lega alla criminalità organizzata. Di recente in sinergia con la Procura, il sindaco ha proceduto a far abbattere case abusive. Ma la nostra attenzione è alta ed indaghiamo su tutti i fronti. Dato che il sindaco Bianco ha invitato Saviano a venire in città, non solo rafforzo l’invito, ma dico allo scrittore che è importante che venga. Venga tranquillamente a discutere di libri e legalità, sarebbe un segnale molto forte».

Tratto da: unita.it

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