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investigazioneAll’attenzione del Viminale una lista di mafiosi da poco scarcerati: potrebbero eseguire gli ordini di morte del padrino
di Salvo Palazzolo - 31 gennaio 2014
Dopo le minacce di Riina a Di Matteo, l’intelligence mappa i fedelissimi del boss ora in libertà
Chi, in Cosa nostra, potrebbe raccogliere l’ordine di morte lanciato da Totò Riina contro il pm Nino Di Matteo? È la domanda che da giorni inquieta magistrati e investigatori fra Caltanissetta e Palermo. La domanda è risuonata anche all’ultimo Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza tenuto lunedì scorso al Viminale: Riina può contare ancora su un gruppo di fedelissimi a Palermo? L’intelligence antimafia ha già predisposto una lista di venti mafiosi che sono stati scarcerati negli ultimi mesi: è una lista che fa paura, perché è fatta da nomi che rievocano un passato oscuro.

A San Lorenzo, passeggia tranquillo Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina. Ha tutta l’aria di un anziano pensionato, ma è lui in cima alla lista finita all’attenzione del Viminale. Da tre mesi è tornato a Brancaccio Giuseppe Giuliano, detto “Folonari”: si è fatto 22 anni di carcere senza mai dire una sola parola ai giudici che lo accusavano di omicidi ed estorsioni. Strategia da vero uomo d’onore, strategia vincente, perché “Folonari” è sempre stato assolto dall’accusa di omicidio. E in Cosa nostra è diventato quasi un mito per i più giovani: la notte del 25 marzo 1991, si fece arrestare durante un inseguimento, salvando i suoi compagni che lo precedevano su un’auto e una moto di grossa cilindrata. Quello era un commando di mafia: “Folonari” nascondeva una 357 Magnum, una tanica di benzina e un casco.
A Porta Nuova è tornato un altro pezzo da novanta di Cosa nostra: Tommaso Lo Presti, che prima di entrare in carcere era il capo del mandamento più importante del centro città. Qualche mese fa, le porte del carcere si sono aperte per un gruppo di suoi fedelissimi: Nunzio Milano, Emanuele Lipari, Gaetano Badagliacca, Salvatore Gioeli, Settimo Mineo e Rosario Inzerillo. Hanno avuto tutti uno sconto di pena di tre anni, grazie a un intervento della Cassazione, che ha escluso l’aggravante della recidiva. E così i duri di Cosa nostra arrestati poco dopo la cattura di Bernardo Provenzano, nel 2006, sono tornati liberi pure loro.
Da questa lista di scarcerati eccellenti si riparte per passare ai raggi x l’attuale stato di Cosa nostra siciliana. Apparentemente, l’organizzazione sembra fiaccata da arresti e sequestri. Ma nessuno dimentica che fra la fine del 2011 e l’inizio del 2013 i clan hanno eseguito due omicidi eclatanti nella simbologia mafiosa: sono stati ammazzati uno storico padrino come Giuseppe Calascibetta e poi un boss navigato come Francesco Nangano. E i due commandi — su moto di grossa cilindrata e con caschi integrali e pistole in pugno — sono scomparsi nel nulla dopo aver seminato il panico in strada, fra Santa Maria di Gesù e Brancaccio.
«In questo momento circolano tante armi in città — sussurra uno degli investigatori che sta cercando di decifrare gli ultimi misteri di Palermo — e non mancano certo i giovani rampanti vogliosi di mettersi in mostra ». Di sicuro, in questo momento, Cosa nostra non ha sul campo un capo riconosciuto. E negli ultimi cinque anni, sono falliti due progetti di ricostituzione di una nuova Cupola: non solo per i blitz di carabinieri e polizia, ma anche perché fino a oggi ha prevalso la linea dei vecchi. Che sostengono: «La commissione provinciale può essere riconvocata solo dal suo presidente, ovvero da Totò Riina». Almeno, fino a quando lui sarà vivo. Ecco perché preoccupa l’ordine lanciato dal capo dei capi in carcere. Perché in assenza dell’organismo di vertice dell’organizzazione, Riina resta l’unico capo riconosciuto dal popolo della mafia siciliana.

Tratto da: La Repubblica del 31 gennaio 2014