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tinti-bruno-web2di Bruno Tinti - 12 aprile 2013
La sentenza della Corte costituzionale che ha respinto le eccezioni di legittimità nel procedimento Ilva non è facile da decifrare. In attesa delle motivazioni, si conosce solo il dispositivo e quanto risulta da un comunicato della Corte, da cui si capisce che, secondo i giudici, il decreto salva Ilva non impedisce il proseguimento del processo né l’eventuale condanna degli imputati; il che fa cadere ogni presunta violazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Il ragionamento è condivisibile: gli eventuali reati commessi prima del decreto costituiscono un fatto storico non “coperto” dalla legge: per essi si è aperto un procedimento che continuerà senza problemi. Il punto però è un altro, già evidenziato nei ricorsi della Procura della Repubblica per conflitto di attribuzioni, dichiarati (a mio parere giustamente ) inammissibili; e non si capisce se è stato valutato.

L'autorità giudiziaria aveva sottoposto a sequestro lo stabilimento perché l’inquinamento prodotto da Ilva, se avesse continuato a produrre, aggravava le conseguenze dei reati commessi e ne avrebbe cagionati di nuovi. Il decreto del governo, però, non si era limitato a impartire a Ilva le disposizioni cui gli impianti avrebbero dovuto uniformarsi (la cosiddetta AIA) ma aveva anche autorizzato la riapertura degli impianti. Il che, considerato che la messa a norma dello stabilimento sarebbe avvenuta, secondo la legge, non prima della fine del 2014 (ma in realtà, secondo il parere di tutti i tecnici, non prima del 2017/18), significava praticamente consentire l’inquinamento fino alla scadenza di questo termine. Come ulteriore conseguenza, gli eventuali reati commessi in questo periodo non sarebbero stati perseguibili perché di fatto “legittimati” dal decreto. E questo si che incideva sulla obbligatorietà dell’azione pena-le: reati punibili a norma di codice penale e leggi speciali ma di fatto autorizzati da altra legge dello Stato. Attenzione: è vero che il decreto Ilva prevede salate multe (amministrative, non penali) in caso di violazione delle norme AIA. Ma questo non ha nulla a che fare con reati commessi prima della scadenza del termine per la messa a norma degli impianti che, si ripete, sono di fatto “depenalizzati” dall’autorizzazionecontenutaneldecreto a mantenerli aperti e a proseguire l’attività.
È dunque sotto questo profilo che la legge dovrebbe essere ritenuta incostituzionale; ma di ciò nulla dice la Corte. Il che non vuol dire che nella motivazione della sentenza il problema non sarà affrontato. Ma certo la soluzione appare difficile. Il-va è in piena attività per espressa disposizione di legge, anche se i suoi impianti non rispettano la normativa AIA (ci vogliono quasi due anni prima che ciò avvenga), l’inquinamento continua e la gente certamente avrà tempo per ammalarsi e anche morire. Il tutto senza conseguenze penali; cosa diavolo volete, risponderanno i responsabili di Ilva alla Procura che cercherà di processarli per i reati commessi dalla data di emissione del decreto e fino al 2014, ci ha autorizzato Clini.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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