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tranfaglia-nicola-web5di Nicola Tranfaglia - 21 marzo 2013
Un problema di cui parlano molto poco i canali televisivi e i giornali del nostro paese è la crescita progressiva dell'usura, come la sua diffusione omogenea sul territorio nazionale.
D'altra parte, a questa forte diffusione corrisponde un impressionante calo delle denunce da parte delle vittime.
E questo si spiega con un dato molto noto alle forze dell'ordine come alla magistratura: lo sfruttamento della povertà in cui sono caduti interi settori della popolazione, che prima di questa crisi godevano di un relativo benessere, e la presenza sempre più incisiva delle mafie, che al contrario sono sempre più ricche e investono con successo in questo settore.
D'altra parte, colpevoli di questa situazione in un momento così grave per l'economia sono senza alcun dubbio le banche, che invece d'intervenire adeguatamente a favore dei loro clienti in difficoltà,  hanno chiuso completamente le possibilità di credito senza immediate garanzie.

Sono le nostre quattro associazioni mafiose, da Cosa Nostra alla 'Ndrangheta alla Camorra campana, in particolare con la sua punta più attiva, il Clan dei Casalesi, e la Sacra Corona Unita, che intervengono  tramite le intimidazioni e le minacce a far diminuire il numero delle denunce. Così riescono ad avvolgere nel silenzio e a proprio vantaggio una delle azioni più vili che i clan svolgono da sempre nelle zone in cui dominano ad oggi -  presenti come sono - in tutta la penisola. 
Il giro d'affari è stimato in trenta miliardi di euro (si tratta di una cifra molto prudente) e riguarda tra i centocinquantamila e i duecentomila esercizi commerciali. Ebbene, di questo traffico la metà, se non di più, è ordinatamente gestito dai mafiosi.
Mentre in Europa la soglia di tolleranza nei prestiti è del trenta per cento, in Italia è del cinquanta per cento. Se si va in giro per il mondo si scopre che i limiti negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri paesi che partecipano come l'Italia ai vertici dei paesi sviluppati hanno percentuali molto più basse, pur lasciando ai singoli Stati - se hanno ordinamenti federali - la possibilità di introdurre proprie scelte che si spostano (ma di poco) dalle decisioni nazionali.
Già, noi siamo sempre uno dei paesi che, pur facendo parte dei club più esclusivi in termini di ricchezza se non di tutti i cittadini almeno di quelli più fortunati, non solo non abbiamo limitato ma abbiamo visto crescere negli ultimi trent'anni il peso dell'usura, affidato sempre di più alla criminalità mafiosa organizzata.
D'altra parte - è il caso di ricordarlo - noi restiamo il paese delle mafie combattute in maniera inefficace, senza un'educazione civile adeguata, con un'informazione giornalistica e televisiva che - ad essere indulgenti - mostra troppo scarso interesse su questi problemi.
Non c'è dunque da stupirsi che anche se - come tutti ci auguriamo - i prossimi anni segneranno una nuova crescita economica del Paese con misure di politica economica affidate a governi più efficaci e capaci di quelli che ci hanno governato di recente, questo non significherà automaticamente che l'usura sia combattuta e veda diminuire il peso centrale che, nella sua gestione, conserva l'universo mafioso.
Del resto quello che ci impedisce di essere ottimisti (come pure vorremmo essere) è che ben due leggi recenti - nel 1996 e nel 1999, quando governava  la coalizione di centro-sinistra - sono state approvate per combattere l'usura. La prima, numero 108 del 7 marzo 1996, inasprisce  le pene e disciplina diritti e tutele delle vittime dell'usura. La seconda, numero 44 del 1899, stabilisce opportunamente all'articolo 20 la possibilità di sospendere le azioni esecutive quali pignoramento della casa di proprietà o sfratto da essa.
Purtroppo - dobbiamo sottolinearlo - nè l'una nè l'altra hanno sconfitto l'illegalismo che domina di fatto la nostra vita sociale ed economica, e rende possibile alle associazioni mafiose di sopravvivere e conseguire i propri obbiettivi. Considerazione amara, dirà qualcuno, ma che nasce soltanto dall'osservazione della realtà.

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