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ingroia-c-barbagallo-bigdi Antonio Ingroia - 13 novembre 2012
Primo giorno di lavoro, dopo vent'anni, lontano dalla Sicilia e dalla Procura di Palermo. Un po’ di nostalgia, ma nessun rimpianto. Qui ambiente di lavoro molto stimolante che inizio con autentico entusiasmo, ma situazione molto difficile e complessa. Da anni ormai l'epicentro delle strategie criminali delle grandi mafie internazionali si è andato spostando verso l'area dell'America Centrale.

Il Messico è zona strategica da tempo, per la sua posizione ai confini con il più grande e ricco mercato della cocaina e cioè gli Stati Uniti che finora, finanziando politiche criminali di dura repressione del traffico ma anche del consumo, ha finito per espandere l'area del consenso dei narcos anziché far terra bruciata intorno a loro.

IN QUESTO quadro il Guatemala, che è ancora democrazia giovane perché uscita con fatica da una lunga e sanguinosa guerra civile, si trova al centro di questi grandi traffici pagando la debolezza di un'economia nazionale che favorisce un sempre più elevato tasso di corruzione nel mondo politico e istituzionale. Non è un caso se il Guatemala è il settimo Paese al mondo per tasso di omicidi in relazione alla popolazione e se il 98% dei delitti rimane impunito. Una situazione disperata? Se dovesse essere affidata alle sole forze nazionali, probabilmente sì. Ed ecco l'importanza della cooperazione internazionale, che qui vuol dire Onu, presente su più fronti, dalla tutela dei diritti umani alla lotta contro l'impunità. È proprio su quest'ultimo terreno che ho ritenuto di dare il mio contributo accettando l'offerta di incarico delle Nazioni Unite come capo dell'Unità di Investigazione della Cicig (Commissione Contro l'Impunità in Guatemala), organizzazione internazionale che da anni opera con profitto per supportare l'azione delle istituzioni guatemalteche nel difficile compito di rafforzare il contrasto a ogni forma di criminalità. Un'esperienza professionale per me straordinaria, un'occasione unica per confrontarsi con una realtà estremamente difficile, ben più di quella già sperimentata in anni di impegno antimafia in Sicilia. Si tratta di un incarico temporaneo, annuale, anzi meno, visto che la Cicig è un organismo non permanente che dovrebbe chiudere la sua attività entro il settembre 2013. Anche se c'è da supporre e da auspicare che i Paesi che sostengono anche finanziariamente la Cicig, tra cui l'Italia, non si disimpegnino in una fase così delicata per queste popolazioni. Il che sarebbe pure nel nostro interesse , visto che questa criminalità organizzata non è poi così lontana dall'Italia, essendo legata alle mafie italiane nella gestione dei grossi traffici illeciti e dei conseguenti flussi finanziari di ritorno, del riciclaggio del denaro sporco verso i paradisi fiscali, non molto lontani da qui.

QUELLO CHE più mi ha colpito e mi ha convinto di aver fatto bene ad accettare l'offerta di incarico che mi è stata fatta parecchi mesi fa, prima ancora che chiudessi le più recenti e contestate indagini sulla “trattativa Stato-mafia”, è che, da queste parti, la magistratura italiana, e in particolare quella antimafia, è molto apprezzata, e non solo per la fama dei comuni “maestri” Falcone e Borsellino. Ma perché qui conoscono e hanno studiato, seppur da lontano, il “metodo investigativo italiano” e lo apprezzano: apprezzano i magistrati italiani e gli strumenti che quei magistrati utilizzano. Perfino il concorso esterno, tanto vituperato in Italia, è qui considerato uno strumento potenzialmente idoneo per punire la corruzione e la collusione con i poteri criminali. A volte, quando leggo certi giornali italiani e le polemiche che si scatenano attorno e soprattutto contro certe nostre iniziative giudiziarie, antiche e recenti, sulla criminalità dei colletti bianchi e degli uomini delle istituzioni, mi chiedo se non ci sia più speranza qui in Guatemala che in Italia di liberarsi di certi fenomeni criminali. E mi confermo sul fatto che, sì, ho fatto bene a venire qui. Ma di questo magari parliamo la prossima volta...

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Giorgio Barbagallo