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piazza-fontana-bigdi Gianni Barbacetto e Silvia Truzzi - 4 ottobre 2012
L’inchiesta a Milano. Nuove piste percorse dalla Procura dopo il libro di Cucchiarelli. Ma nessuna ha convinto i pm, che hanno chiesto l’archiviazione. Il giudice studia gli atti. Ecco cosa c’è nelle carte dell’ultima inchiesta, condotta dall’ultimo carabiniere che indaga, sull’attentato che fece perdere l’innocenza all’Italia Nuove strade (senza uscita?). Sono scoppiate due bombe e non una? Oppure il mandante è il finanziere Michelangelo Virgillito? Che ruolo ha avuto Ivano Toniolo, uno dei “ragazzi” del neonazista Franco Freda? Chi è il giovane di Milano che Giovanni Ventura ha indicato come l’esecutore materiale dell’eccidio nella banca?

ACHE PUNTO è la notte? La storia infinita della bomba di piazza Fontana è ancora aperta, dopo dodici processi e nessun colpevole (tranne Carlo Digilio, che si è autoaccusato di aver contribuito alla preparazione dell’esplosivo). Le carte dell’ultima indagine della Procura di Milano sulla strage del 12 dicembre 1969 – 16 morti, 88 feriti – sono ora davanti al giudice delle indagini preliminari Fabrizio D’Arcangelo, che ha preso tempo per decidere se archiviare o avviare un nuovo processo. Ha domandato anche di poter avere l’archivio digitalizzato di tutte le inchieste sulla strage, migliaia di pagine, dalle prime indagini milanesi a quelle, via via, di Roma, Catanzaro, Bari, poi di Treviso e ancora di Milano. Gli atti dell’ultima inchiesta, mandati al gip nel maggio scorso dai pm Grazia Pradella, Maurizio Romanelli e Armando Spataro, sono quattro nuovi filoni aperti dopo la pubblicazione del libro di Paolo Cucchiarelli Il segreto di piazza Fontana. Al gip hanno chiesto d’archiviare, ritenendo che quelle quattro piste non portino da nessuna parte. Anzi: hanno espresso molto chiaramente perplessità sui metodi d’indagine usati dall’investigatore che ha battuto quelle piste, il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, che invece lamenta di non aver potuto concludere i suoi accertamenti (come quello sul casolare di Paese, indicato da Digilio come luogo utilizzato da Giovanni Ventura per depositare armi e esplosivi, ritrovato nel gennaio 2012 dagli investigatori che indagano a Brescia su Piazza della Loggia). “Assoluta inverosimiglianza” per la tesi della doppia bomba, una anarchica e una fascista, sostenuta da Cucchiarelli. Assurde le ricostruzioni di un nuovo testimone, Alfredo Virgillito. Inutili gli spunti forniti da due vecchi testimoni, Gianni Casalini e Giampaolo Stima-miglio. Così dicono i pm. Il legale dei famigliari delle vittime di piazza Fontana, Federico Sinicato, si è invece opposto all’archiviazione, sostenendo che almeno le ultime due piste varrebbe la pena di percorrerle.

Pista 1. La doppia bomba
Paolo Cucchiarelli, scrittore e giornalista, per raccontare “il segreto di piazza Fontana” è ripartito dalla vecchia analisi dell’esplosivo realizzata dal perito Fernando Trementini. Pur ammettendo che “i risultati non sono mai certi, anche se si agisce a scena calda”, Trementini osservò il cratere provocato dall’esplosione del 12 dicembre 1969 e concluse: “Quantificando tali danni, e rapportandoli al raggio di efficacia dell’ordito e al numero di vittime provocato, sono portato a ipotizzare che sia esplosa una carica di peso ragguardevole: presumibilmente non meno di sei chilogrammi, di una sostanza di potenziale esplosivo pari a quello della gelatina dinamite”. Sei chilogrammi, sostenne Trementini, non sarebbero stati nel contenitore utilizzato. La scatola metallica Juwel “aveva misure esterne di 30 x 24 x 9 centimetri, cui va sottratto lo spessore delle pareti metalliche e lo spazio occupato da timer, pile di alimentazione e detonatore”. Quindi: “La capienza utile rimanente per ospitare i candelotti esplosivi è tale da non poterne contenere più di circa quattro chilogrammi (consideriamo qui candelotti cilindrici di gelignite)”. Dunque in piazza Fontana esplosero due bombe. E sul palcoscenico del delitto si mossero più persone. Il sosia di un anarchico parzialmente inconsapevole, Pietro Valpreda, e l’attentatore, un neofascista. Forse, si spinge a ipotizzare Cucchiarelli, Claudio Orsi.

Pista 2. L’alta finanza
La figura più stramba di questa nuova indagine è Alfredo Virgillito: classe 1960, laureato in Scienze politiche, ultima professione lustrascarpe, attualmente disoccupato, ma collaboratore, a suo dire, dell’Fbi. Parente di Michelangelo Virgillito, il “finanziere pio” che dalla Sicilia sbarcò negli anni Venti a Milano, dove fece fortuna, assieme ad Antonino La Russa, padre di Ignazio e Romano: il padre di Alfredo Virgillito, Carmelo, è cugino del discusso finanziere. Al pm racconta anche la sua versione della strage di piazza Fontana. Dice di aver conosciuto negli Stati Uniti un collaboratore della Cia, chiamato Joe, che era stato in contatto con il Virgillito finanziere. “Mi raccontò di essersi recato a Milano precedentemente alla strage, in tre o quattro occasioni, nel settembre o nell’ottobre ‘69. In pratica Joe propose a Virgillito, paventandogli un guadagno attraverso le speculazioni in Borsa, di finanziare degli attentati a Milano in alcune banche, attentati che, a dire del Joe stesso al Virgillito, sarebbero dovuti avvenire in orario notturno e quindi senza arrecare danni alle persone. Joe stesso mi ha detto che la ragione spiegata a Michelangelo Virgillito non era in realtà il vero movente dell’operazione, che consisteva invece nella destabilizzazione della sinistra italiana e in particolare delle componenti del movimento studentesco presso l’università Statale di Milano e del sindacato in relazione alle quali gli americani erano letteralmente terrorizzati in quanto erano consapevoli della forza del Partito comunista italiano in ambito europeo. Joe mi disse che Michelangelo Virgillito volle sapere i nominativi degli esecutori materiali di questo progetto, dicendogli più o meno: ‘Se spendo soldi voglio sapere tutto’. Joe allora diede al Virgillito un foglio recante cinque nomi e un numero di telefono. Joe avrebbe dovuto fare da supervisore a queste persone e quindi il 12 dicembre era a Milano perché me lo ha specificato lui. Mi ha detto che la bomba utilizzata per piazza Fontana era stata custodita presso l’hotel Ambasciatori che a quell’epoca apparteneva allo stesso Virgillito”. Il finanziere disse a Joe che “avrebbe comunicato questo progetto eversivo a una cordata di speculatori finanziari da lui conosciuti, ovvero: Antonino La Russa, Michele Sindona e i Ligresti”. La bomba, dunque, avrebbe avuto anche una motivazione finanziaria. Joe è stato cercato dalla procura, ma risulta “persona ignota”. I pm hanno invece trovato all’ospedale Fatebenefratelli la documentazione medica dell’inizio degli anni 90 su Alfredo Virgillito, “da cui risultano condizioni di instabilità psichica”.

Pista 3. I ragazzi di Freda
Gianni Casalini è un neofascista di Padova del gruppo di Franco Freda. Nel 1969 partecipa agli attentati sui treni che preparano il grande botto finale di piazza Fontana. Ma è anche un informatore dei servizi segreti, come “fonte Turco”. Nel 1975 il generale del Sid Gian Adelio Maletti, preoccupato per quello che Casalini stava cominciando a raccontare, scrive un appunto a mano in cui annota che la “fonte Turco” voleva “scaricarsi la coscienza” e poi conclude: “Bisogna subito chiudere la fonte”. Vent’anni dopo, il giudice Guido Salvini scopre il rapporto di Maletti, individua Casalini e lo interroga. Ora, più di 30 anni dopo, la “fonte Turco” torna a parlare. Racconta di Ivano Toniolo, un altro dei ragazzi di del gruppo Freda. “Toniolo mi disse di farmi trovare alla stazione di Padova due giorni dopo”, dice riferendosi all’agosto del ’69, “perché saremmo andati a Milano ‘per fare dei botti’; io ho ovviamente capito che si doveva andare a Milano per piazzare degli ordigni esplosivi”. Segue racconto delle bombe messe alla stazione Centrale: “Un ordigno su un vagone sul binario 14”, “l’altro su un treno diretto a Venezia”, “proprio sul treno che poi abbiamo preso noi stessi per tornare a Padova”.
È nella casa padovana di Toniolo che si svolge la riunione del 18 aprile 1969, a cui partecipa anche Guido Giannettini, giornalista e agente del Sid: riunione cruciale, in cui si mette a punto la strategia delle bombe che culminerà con l’attentato di piazza Fontana. “Sarebbe interessante”, dice l’avvocato Sinicato, “indagare ancora su Toniolo e gli altri giovani del gruppo Freda”: Aldo Trinco, Pino Romanin, Marco Balzarini, Massimiliano Fachini... Già fatto in passato e senza risultati, risponde la procura. E poi, che credibilità processuale può avere un testimone che, scrive lo psichiatra Giovanni Carollo, è gravemente disturbato fin dalla adolescenza?

Pista 4. Il viaggio dal terrorista
Giampaolo Stimamiglio è uno dei ragazzi di Ordine nuovo di Padova. Negli ultimi anni ha raccontato che dentro il movimento (o accanto) esistevano correnti e gruppi più segreti, come quello chiamato “Scuola”, o come “Ananda Marga”, o come “Ludwig”... Rivela le confidenze ricevute da Giovanni Ventura, “nell’ultima occasione in cui lo vidi in Argentina”: “Presso la Banca dell’agricoltura aveva operato un ragazzo molto giovane di Milano che faceva parte del gruppo della Fenice e che aveva stretti rapporti con Massimiliano Fachini. Ventura aggiunse, se ben ricordo, che il padre di questo ragazzo era un funzionario di banca. A dire di Ventura, Delfo Zorzi (assolto nell’ultimo processo milanese, ndr) si era limitato a curare una parte del trasporto dell’ordigno... Ventura mi vincolò al silenzio su quanto mi aveva rivelato. Ora, morto Ventura, mi sento libero di poter riferire quanto da lui confidatomi”. “Perché non indagare in questa direzione?”, chiede Sinicato. “Chi è il ragazzo indicato da Stimamiglio come l’esecutore della strage?”. La parola ora passa al giudice.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano