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russia-proteste-webdi Riccardo Noury - 28 maggio 2012
Proteste autorizzate, proteste represse; proteste che hanno deposto tiranni, proteste che sono state ignorate. Ore, giornate e settimane trascorse in piazza per dire che il cambiamento è possibile, che le persone devono venire prima dei profitti e che la violazione dei diritti umani non è inevitabile.

Rabat, Algeri, Tunisi, Tripoli, Cairo, Amman, Tel Aviv, Ramallah, Damasco, Manama, Riad, Baghdad, Sana'a. E poi Mosca, Pechino, Londra, Madrid, Atene, Tokyo, Phnom Penh, New York, La Paz. Kampala, Dakar...

Lo spazio di questo post potrebbe essere riempito solo dall'elenco delle città nelle quali nel 2011 si sono svolte proteste di massa: contro l'ingiustizia, la tirannia, la discriminazione e la corruzione, le politiche di austerity. Per la libertà, per la dignità, per la giustizia, per i diritti umani.

Proteste autorizzate, proteste represse; proteste che hanno deposto tiranni, proteste che sono state ignorate. Ore, giornate e settimane trascorse in piazza per dire che il cambiamento è possibile, che le persone devono venire prima dei profitti e che la violazione dei diritti umani non è inevitabile e non può più essere consentita e subita in silenzio.

In quell'anno ruggente, il 2011, molti governi sono sprofondati sempre più in una crisi di consenso e lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha mostrato di essere sempre più inadeguato al suo ruolo di garante della pace e della sicurezza.

Del resto, quale pace e quale sicurezza possono essere garantite se i cinque stati membri permanenti sono anche tra i principali venditori di armi?

Questo è il quadro generale descritto dal Rapporto annuale 2012 di Amnesty International, diffuso oggi da Amnesty International: lo stato di salute del mondo raccontato in 155 schede paese (c'è anche quella sull'Italia, andate a leggerla).

Due numeri ci dicono subito che la situazione resta preoccupante: in 101 paesi vi sono stati casi di maltrattamenti e torture; in 91 paesi vi sono state limitazioni alla libertà di espressione, nelle piazze o sulla rete.

Del Medio Oriente e dell'Africa del Nord abbiamo parlato a lungo in questo blog. Le rivolte popolari hanno deposto regimi al potere da decenni. Lì la situazione non è particolarmente migliorata, ma nei paesi i cui governi hanno resistito alle proteste è andata pure peggio.

In Yemen, un vergognoso accordo per la transizione ha garantito l'impunità al presidente 'Ali 'Abdallah Saleh. Il nuovo governo dell'Egitto non è intervenuto per fermare le violenze in piazza, se non addirittura le ha incentivate, per dimostrare che non c'era alternativa a una giunta militare per garantire la sicurezza.

Nella "nuova" Libia ci sono ora 8500 prigionieri senza processo in carcere, sono avvenute punizioni collettive contro gruppi sospettati di aver collaborato alla precedente repressione, la tortura è diffusa e ci sono stati almeno 12 casi mortali. In Siria sono avvenuti crimini contro l'umanità; migliaia i manifestanti uccisi, decine di migliaia quelli arrestati o quelli che hanno lasciato il paese, oltre 300 i morti di tortura.

Nelle Americhe le forze di sicurezza hanno proseguito a commettere torture, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni. Difensori dei diritti umani in America Latina e nei Caraibi hanno subito minacce, intimidazioni e attacchi mortali. I popoli nativi hanno continuato a lottare per i loro diritti, specialmente quello alla terra, ma gli interessi delle aziende hanno spesso prevalso sulle loro rivendicazioni. Migranti in transito per il Messico sono stati attaccati, stuprati e uccisi. La violenza di genere e la violazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle ragazze sono rimaste una preoccupazione diffusa.

Per quanto riguarda gli Usa, il centro di detenzione di Guantánamo Bay ha continuato ad operare e, nonostante le promesse del presidente Obama di chiuderlo entro il 22 gennaio 2010, è oggi nel suo decimo anno di attività con oltre 170 prigionieri ancora reclusi. A Cuba nonostante il rilascio dei prigionieri di coscienza condannati nel 2003 sia stato ultimato, il dissenso continua a essere soffocato.

Nell'Africa Subsahariana si sono svolte manifestazioni antigovernative, represse con la violenza dalle forze di sicurezza che hanno usato armi letali contro i dimostranti rimanendo quasi sempre impunite. La violenza e i conflitti armati hanno provocato indicibili sofferenze e innumerevoli vittime in Costa d'Avorio, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Sudan. Giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici hanno subito minacce e intimidazioni, arresti arbitrari, imprigionamenti e attacchi mortali.

In Asia, la libertà d'espressione ha subito restrizioni; poeti, giornalisti, blogger e oppositori sono stati ridotti al silenzio, l'uso di Internet è stato sottoposto a forti controlli. In India sono state introdotte nuove restrizioni ai social media, in Thailandia sono state inflitte dure pene detentive per offese alla famiglia reale.

Duecentomila dissidenti rimanevano alla fine del 2011 nei campi di prigionia della Corea del Nord, dove la tortura risulta diffusa, così come in Cina dove hanno probabilmente avuto luogo migliaia di esecuzioni, nonostante il governo si ostini a non rendere pubblici i dati, impedendo così di confermare la dichiarata diminuzione dell'uso della pena di morte.

Le minoranze etniche e religiose hanno continuato a subire discriminazioni; in Pakistan due politici sono stati assassinati per aver contestato l'uso delle leggi sulla blasfemia.

In tutta l'ex Unione sovietica i difensori dei diritti umani e i giornalisti sono stati frequentemente perseguitati, intimiditi e picchiati. In Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan persone che avevano criticato le autorità sono state sottoposte a processi irregolari e a persecuzioni. In Russia corruzione, oligarchismo, e scarsa tenuta del processo democratico hanno alimentato un ciclo di proteste mai visto dalla fine dell'Urss, soprattutto in occasione delle scadenze elettorali. Diverse manifestazioni sono state represse con violenza e i loro organizzatori arrestati.

Le proteste antigovernative in Bielorussia sono state stroncate con la violenza o dichiarate illegali e i loro organizzatori imprigionati. In Azerbaigian, il dissenso è stato stroncato duramente e 17 attivisti non violenti sono stati condannati al carcere. In Ucraina la tortura è rimasta estremamente diffusa.

Almeno 1500 migranti e rifugiati, tra cui donne incinte e bambini, sono annegati nel 2011 mentre cercavano di raggiungere l'Europa attraverso il mar Mediterraneo. L'Unione europea ha respinto imbarcazioni piuttosto che cercare di impedire la morte delle persone a bordo. L'Italia ha espulso molte persone arrivate dalle Tunisia e altri paesi, come Francia e Regno Unito, hanno rifiutato di reinsediare migranti libici.

Le minoranze, come i migranti, i rom e le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno subito ampie discriminazioni. Gli stati membri dell'Unione europea non sono riusciti ad adottare una nuova direttiva antidiscriminazione, che avrebbe potuto tutelare coloro che subiscono discriminazione per motivi di disabilità, religione, orientamento sessuale ed età.

Le buone notizie arrivano da Myanmar, dove il governo ha preso la storica decisione di liberare oltre 300 prigionieri politici e di consentire ad Aung San Suu Kyi di candidarsi alle elezioni (conquistando poi un seggio in parlamento); e dai passi avanti della giustizia internazionale sulle guerre dell'ex Jugoslavia: i due ultimi "superlatitanti" Hadzic e Mladic arrestati; due generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, condannati a 24 e 18 anni di carcere per i crimini commessi nel corso dell'Operazione tempesta, con cui tra l'agosto e il novembre 1995 la Croazia riconquistò la regione della Krajina compiendo massacri e deportando dal territorio la popolazione serba; un generale serbo, Momcilo Perisic, condannato a 27 anni di carcere per crimini contro l'umanità e crimini di guerra durante l'assedio di Sarajevo dal 1992 al 1995 e il massacro di Srebrenica del luglio 1995.

Tra le richieste fatte da Amnesty International in occasione dell'uscita del Rapporto annuale, alcune riguardano i singoli stati: porre fine all'ipocrisia e all'uso strumentale del linguaggio dei diritti umani, cessare di proteggere i regimi autoritari solo per ragioni di alleanza politica o di profitto economico; non continuare a sfruttare sincere preoccupazioni per la sicurezza o per gli elevati tassi di criminalità allo scopo di giustificare o ignorare violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza.

Alle Nazioni Unite, l'organizzazione per i diritti umani chiede per l'ennesima volta di prendere sul serio le responsabilità che le riguardano e realizzare un sistema di "governance" internazionale in cui gli stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza e le potenze emergenti investano in sistemi e strutture basate sui diritti umani e sullo stato di diritto, sulla trasparenza, sull'uguaglianza politica e legale delle donne, sulla lotta alla discriminazione, alla corruzione e all'impunità; è indispensabile l'adozione di un Trattato sul commercio di armi, che possa porre termine alla vendita irresponsabile di armi che alimenta conflitti e rafforza regimi che compiono violazioni dei diritti umani.

Tra le richieste avanzate al governo italiano, una su tutte: colmare un ritardo che, rispetto alla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, ha raggiunto quasi un quarto di secolo e introdurre finalmente nel codice penale il reato di tortura.

Le persone e la dignità

Tratto da: cadoinpiedi.it

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